L’attributo costante che attraverso i secoli ha caratterizzato l'architettura giapponese è il suo concetto di tempo e di temporaneità.
Inizialmente, il concetto di temporaneità è nato come una risposta razionale alle caratteristiche ambientali e geografiche dell'arcipelago giapponese. Come è noto, il Giappone si trova all'incrocio delle quattro piastre tettoniche caratterizzate da un continuo movimento. Di conseguenza, l’arcipelago è uno dei contesti più instabili di tutto il mondo. Non è un caso che il Giappone sia stato sempre noto come terra di frequenti calamità naturali che colpiscono costantemente le sue isole, con disturbi lievi o gravi disastri.
Di conseguenza, il primo capitolo di questa tesi illustrerà come a causa delle assai aspre qualità ambientali l’originale atto tettonico giapponese sia stato ridotto ad un minimo: ad una architettura quasi inesistente.
D'altra parte, il concetto di tempo ha implicato un insieme di peculiari caratteristiche fisiche nelle architetture locali come la semplicità strutturale, la flessibilità, la leggerezza e l’apertura. Queste proprietà nel tempo hanno poi acquistato una loro autonomia, distaccandosi dal loro significato originario: una architettura trasparente e minimale, una architettura come un supporto neutrale, una architettura fusa con la natura e, soprattutto, una architettura come dispositivo flessibile. Come vedremo attraverso la presente tesi, l'importanza del concetto del tempo nell’architettura giapponese rimane viva anche oggi.
Ma non solo. L'idea del tempo e della temporalità rappresenta una delle prospettive principali attraverso cui l'architettura giapponese ha interagito nel corso degli anni con i nuovi concetti e principi di progettazione provenienti dall'esterno. In questo senso, il concetto del tempo è venuto a rappresentare il punto di vista fermo che ha permesso di assorbire (o rifiutare) nell'architettura giapponese le idee straniera a seconda della loro capacità di essere (e meno) reinterpretate secondo i principi nativi giapponesi di non-permanenza e flessibilità.
A questo proposito, nel secondo capitolo vedremo come nonostante la presenza di un intenso scambio culturale con le principali civiltà del continente asiatico, il concetto giapponese del tempo abbia persistito, diventando, come accennato, di fatto la linea guida nel processo di giapponesizzazione delle influenze esterne. Vedremo, quindi, attraverso una seria di illustrazioni come le idee straniere siano state ricondotte alle peculiarità locali attraverso questa strada.
Il seguente terzo capitolo metterà a confronto due scuole di architettura: la giapponese e quella occidentale. Un breve confronto dei due approcci così diversi ancor prima del loro successivo incontro è utile per comprendere l'atteggiamento dell’architettura giapponese del XX° secolo verso l'influenza occidentale (il tema oggetto del capitolo quarto). Più in dettaglio, si vedrà come, mentre l’architettura tradizionale giapponese cerchi 'l’eternità' attraverso la temporaneità, ovvero attraverso la flessibilità, l’architettura occidentale lo fa attraverso la strategia opposta di permanenza e durata. L' evidente contrapposizione tra le due scuole sarà supportata da numerosi esempi volti a sottolineare la difficile compatibilità delle due idee.
Infine, il quarto capitolo prenderà in analisi, come già accennato, l'età moderna e contemporanea dell’architettura giapponese e le conseguenze del suo interscambio con l'Occidente. In particolare, vedremo come, dopo un periodo relativamente breve di brusca “occidentalizzazione” dell’architettura giapponese caratterizzato dall’affermarsi di progetti ‘monumentali’ ed ‘ingombranti’, l’architettura locale (ri)torni verso principi orientati all'approccio tradizionale. In effetti, la discussione di numerosi casi suggerisce come le opere contemporanee giapponesi siano ampiamente caratterizzati dal concetto di tempo.
I quattro capitoli riporteranno molti commenti estratti dalle interviste da me effettuate con diversi protagonisti dell’architettura giapponese (architetti e studiosi) condotti in due distinti periodi (dicembre 2011, dicembre 2012-gennaio 2013). Sostenendo (a volte criticamente) il punto di vista proposto sul ruolo del tempo nell’architettura giapponese, questi commenti aiuteranno a meglio illustrare e circostanziare la presente ricerca con l'aggiunta di un (insostituibile) punto di vista locale.
Riassumendo, questo lavoro cerca di dimostrare la continuità del concetto del tempo nella storia dell'architettura giapponese e, in particolare, la sua persistenza nonostante (o forse proprio grazie a) l’intensi interscambi con culture altre nel corso dei secoli. In effetti, riprendendo le parole di Kakuzo Okakura, una architettura 'facile da tirare giù e facile da ri-costruire' come quella giapponese fondata sui principi di temporaneità, flessibilità, leggerezza, apertura, e concepita come 'uno spazio che è dato dalla natura', piuttosto che 'uno spazio che gli esseri umani hanno strappato dalla natura', rimane una costante lungo la storia giapponese.
The constant feature that has been characterizing Japanese architecture through centuries is its concept of time: temporality (or impermanence) is in fact the characteristic inherent to Japanese architecture of the past and the present.
Initially, the concept of temporality was born as a rational answer to environmental and geographical characteristics of the Japanese archipelago. As it is well known, located at the junction of the four ever-shifting tectonic plates, Japan is one of the most unstable context in the entire world. In fact, Japan has been always knows as the land of frequent natural disasters constantly hitting the islands as minor disturbance or major catastrophes.
Accordingly, the first chapter of this thesis will illustrate how the original Japanese tectonic act was reduced to a minimal and nearly non-existing architecture due to the ruthless qualities of the natural environment.
On the other hand, the concept of time implied a given set of distinctive physical features such as structural simplicity, flexibility, lightness and openness. These features were translated over time into a set of autonomous architectural concepts detached in a way from their original meaning: transparent and minimal architecture, architecture as a neutral support, architecture merged with nature and, above all, architecture as a flexible device. Through that, as we will see through the whole research, the influence (and the presence) of the concept of time remains present also in nowadays Japanese architecture.
But not only that. The idea of time and temporality represents one of the main perspective through which Japanese architecture and Japanese architects have been interacting over the years with new concepts coming from abroad. In this sense, the concept of time is a kind of standpoint that allows Japanese architecture to absorb (or to reject) those foreign ideas that can (or cannot) be reinterpreted according to the native Japanese principles of impermanence and flexibility.
In this regard, in the second chapter we will see how nonetheless the presence of an intense cultural interchange with predominant ‘advanced’ countries of the Asian mainland, the Japanese concept of time did persisted. What is remarkable, the concept of time did not simply remained intact, it became in fact the guideline in the process of japanization of the foreign import. We will see, therefore, how foreign ideas were adopted to the local peculiarities following this route. Provided examples will illustrate how the idea of temporality remained embodied into Japanese traditional architecture even after the age of Asian influence.
The following third chapter will contrast two ideas of architecture: the Japanese and the Western one. A hint on the two frameworks prior to their upcoming interchange is helpful for understanding the attitude of the XX century Japanese architecture toward the Western influence (a theme that will be discussed in the fourth chapter). More in detail, we will see that while the Japanese traditional architecture searches for its ‘eternity’ through the above mentioned temporality and flexibility, the Western one does it through the strategy of permanence and durability. The striking opposition between the two schools will be supported by several examples, thus emphasizing a seemingly incompatibility of the two ideas.
Finally, the fourth chapter will take into analysis, as already mentioned, the modern age of Japanese architecture and the consequences of its interchange with the West. In particular, we will see how after a relatively short period of abrupt Western- oriented design characterized by a bulky monumentality, local architecture returned back toward the local- oriented traditional framework. Indeed, as an extended number of provided examples will suggest, contemporary Japanese works are widely characterized by the concept of time.
Through the four chapters I will report several comments extracted from my interviews with several leading Japanese architects and scholars that I conducted in two different periods (December 2011, December 2012-January 2013). By sustaining (or criticizing) my perspective on the role of time in Japanese architecture, these comments will help to clarify my research by adding an irreplaceable local point of view.
Summing up, this work will try to demonstrate the continuity of the concept of time in the history of Japanese architecture and, in particular, its constant persistence despite intense cultural exchange with foreign cultures. Indeed, ‘easy to pull down and easy to built up’ Japanese architecture founded on principles of temporality, flexibility, lightness, and openness, and conceived as ‘a space that is given by nature’ rather than ‘a space that humans wrested from nature’ was and remains in vigor.