Questo lavoro nasce dall’esperienza di studio che mi ha coinvolto per più di un anno all’Escola da Cidade di Sao Paulo; università che sorge simbolicamente nel centro della megalopoli Brasiliana con l’intento di proporre una rifl essione critica su questa area in bollente fermento e contesa tra vari attori che vorrebbero determinarne il destino. Mosso dallo stimolo di questo contesto mi è stato possibile indagare diversi scenari, spesso inaspettati, che qui hanno luogo e si evolvono ad una velocità pressoché incontrollabile. L’osservazione di questa città tropicale, descritta da molti come una giungla di cemento, può risultare complessa; specialmente per le diffi coltà di cogliervi dei principi regolatori propri di ciò che si possa defi nire città. Paradossalmente è però proprio questa assenza di ordine a fare di Sao Paulo un caso studio unico; la sua radicale adesione al caos ha infatti il pregio di far risaltare quelli che sono i reali tratti distintivi dell’ordine umano. Si può guardare a questa città come ad un laboratorio i cui abitanti riescono a sperimentare e stabilire nuove forme di equilibrio e convivenza sociale. L’antropologo francese Levi-Strauss aveva goduto in Brasile dell’opportunità di seguire il fenomeno dello sviluppo urbano (paulista e non solo) come un botanico1: “uno spazio informe acquistava un giorno dopo l’altro struttura di città, diff erenziandosi come l’embrione che si segmenta in cellule, le quali poi si specializzano in gruppi, distinti ognuno dalla sua funzione”.2 Questo passo sembra quasi la descrizione della “città occupata”, oggetto di questa tesi, insediata negli spazi edifi cati vuoti del centro di Sao Paulo e off re una brillante chiave di lettura per la sua interpretazione. Si tratta di una città informale e mutevole dal carattere temporaneo che allo stesso modo si distacca dal resto della città ordinaria che la contorna, dando vita ad una dimensione parallela. L’evoluzione di questo pattern urbano extra-ordinario avviene in gruppi che organizzano la sua struttura attraverso dei movimenti di occupazione; questi si sono via via specializzati, dividendosi le funzioni e affi nando sempre di più il proprio assetto. Osservando “con la lente d’ingrandimento” questo layer informale, risultano più che mai evidenti i tratti di una vera e propria città che merita di essere legittimata come tale. In un contesto compromesso come quello paulista che sembra negare la nozione di città mettendo in crisi il senso stesso di un possibile progetto architettonico3, paradossalmente i tratti con cui si è costituita la città occupata del centro hanno qualcosa da insegnare su come si può “fare città”. Lo studio di questa realtà parallela mette in risalto due logiche che operano a Sao Paulo: da una parte quella della speculazione edilizia della città ordinaria, tesa a produrre un margine di lucro; dall’altra quella della città informale che non può far altro che ricorrere alla dimensione umana come elemento generatore di un sistema di valori che dichiara la propria autonomia dal conteso in cui è immerso. E’ interessante osservare come ogni sistema economico si esprima con specifi che logiche di occupazione dello spazio, per dirla con Lefebvre: “a ciascun sistema economico corrisponde un determinato insediamento nello spazio che a sua volta è responsabile nel promuovere un contenuto sociale specifi co e un’identità che in esso si costituisce”.4 Allo stesso modo merita di essere approfondito come questa etica autonoma e informale sia stata in grado di edifi care un intero repertorio di forme e strutture architettoniche con una propria estetica caratteristica. Il lavoro che segue prende in considerazione la situazione urbana del centro di Sao Paulo registrata nell’aprile 2014, come un istantanea che verrà analizzata operando una zoomata su più scale. Si spazierà dalla scala urbana, cercando di comprendere i fattori che hanno determinato lo svuotamento del centro di Sao Paulo con la conseguente generazione della sua immensa riserva di spazi vuoti, fi no ad arrivare alla scala umana, riportando il punto di vista dall’interno degli abitanti della città occupata. All’analisi puntuale di tale dimensione seguirà un metaprogetto che si interrogherà sulla pertinenza di un intervento architettonico in questo contesto e cercherà di rappresentare i valori di cui la comunità studiata si rende portatrice. Evitando di elaborare un progetto costruttivo, si è ritenuto più consono operare senza pretenzioni, limitandosi a suggerire uno scenario possibile per la città occupata. Verranno dunque pensate delle infrastrutture di servizio a cui i singoli edifi ci potranno appoggiarsi, semplifi cando la vita e l’accessibilità ai suoi abitanti, oltre a favorire l’usufruzione degli spazi occupati e la loro autocostruzione. In questo modo si cercherà di creare un immaginario teso a legittimare l’esistenza della dimensione informale insediata in questo ritaglio di città, attribuendovi anche maggiore dignità. In tutta l’operazione saranno poste al centro dell’attenzione le persone, considerate come i reali elementi costitutivi di questa città parallela, tenendo presente che, come questo caso più che mai ci rivela, “la città non è fatto di pietre, è fatta di uomini. Non è la dimensione di una funzione, è la dimensione dell’esistenza”. 5

Occupied Sao Paulo. An informal city in built voids

CARRARO, FRANCESCO
2013/2014

Abstract

Questo lavoro nasce dall’esperienza di studio che mi ha coinvolto per più di un anno all’Escola da Cidade di Sao Paulo; università che sorge simbolicamente nel centro della megalopoli Brasiliana con l’intento di proporre una rifl essione critica su questa area in bollente fermento e contesa tra vari attori che vorrebbero determinarne il destino. Mosso dallo stimolo di questo contesto mi è stato possibile indagare diversi scenari, spesso inaspettati, che qui hanno luogo e si evolvono ad una velocità pressoché incontrollabile. L’osservazione di questa città tropicale, descritta da molti come una giungla di cemento, può risultare complessa; specialmente per le diffi coltà di cogliervi dei principi regolatori propri di ciò che si possa defi nire città. Paradossalmente è però proprio questa assenza di ordine a fare di Sao Paulo un caso studio unico; la sua radicale adesione al caos ha infatti il pregio di far risaltare quelli che sono i reali tratti distintivi dell’ordine umano. Si può guardare a questa città come ad un laboratorio i cui abitanti riescono a sperimentare e stabilire nuove forme di equilibrio e convivenza sociale. L’antropologo francese Levi-Strauss aveva goduto in Brasile dell’opportunità di seguire il fenomeno dello sviluppo urbano (paulista e non solo) come un botanico1: “uno spazio informe acquistava un giorno dopo l’altro struttura di città, diff erenziandosi come l’embrione che si segmenta in cellule, le quali poi si specializzano in gruppi, distinti ognuno dalla sua funzione”.2 Questo passo sembra quasi la descrizione della “città occupata”, oggetto di questa tesi, insediata negli spazi edifi cati vuoti del centro di Sao Paulo e off re una brillante chiave di lettura per la sua interpretazione. Si tratta di una città informale e mutevole dal carattere temporaneo che allo stesso modo si distacca dal resto della città ordinaria che la contorna, dando vita ad una dimensione parallela. L’evoluzione di questo pattern urbano extra-ordinario avviene in gruppi che organizzano la sua struttura attraverso dei movimenti di occupazione; questi si sono via via specializzati, dividendosi le funzioni e affi nando sempre di più il proprio assetto. Osservando “con la lente d’ingrandimento” questo layer informale, risultano più che mai evidenti i tratti di una vera e propria città che merita di essere legittimata come tale. In un contesto compromesso come quello paulista che sembra negare la nozione di città mettendo in crisi il senso stesso di un possibile progetto architettonico3, paradossalmente i tratti con cui si è costituita la città occupata del centro hanno qualcosa da insegnare su come si può “fare città”. Lo studio di questa realtà parallela mette in risalto due logiche che operano a Sao Paulo: da una parte quella della speculazione edilizia della città ordinaria, tesa a produrre un margine di lucro; dall’altra quella della città informale che non può far altro che ricorrere alla dimensione umana come elemento generatore di un sistema di valori che dichiara la propria autonomia dal conteso in cui è immerso. E’ interessante osservare come ogni sistema economico si esprima con specifi che logiche di occupazione dello spazio, per dirla con Lefebvre: “a ciascun sistema economico corrisponde un determinato insediamento nello spazio che a sua volta è responsabile nel promuovere un contenuto sociale specifi co e un’identità che in esso si costituisce”.4 Allo stesso modo merita di essere approfondito come questa etica autonoma e informale sia stata in grado di edifi care un intero repertorio di forme e strutture architettoniche con una propria estetica caratteristica. Il lavoro che segue prende in considerazione la situazione urbana del centro di Sao Paulo registrata nell’aprile 2014, come un istantanea che verrà analizzata operando una zoomata su più scale. Si spazierà dalla scala urbana, cercando di comprendere i fattori che hanno determinato lo svuotamento del centro di Sao Paulo con la conseguente generazione della sua immensa riserva di spazi vuoti, fi no ad arrivare alla scala umana, riportando il punto di vista dall’interno degli abitanti della città occupata. All’analisi puntuale di tale dimensione seguirà un metaprogetto che si interrogherà sulla pertinenza di un intervento architettonico in questo contesto e cercherà di rappresentare i valori di cui la comunità studiata si rende portatrice. Evitando di elaborare un progetto costruttivo, si è ritenuto più consono operare senza pretenzioni, limitandosi a suggerire uno scenario possibile per la città occupata. Verranno dunque pensate delle infrastrutture di servizio a cui i singoli edifi ci potranno appoggiarsi, semplifi cando la vita e l’accessibilità ai suoi abitanti, oltre a favorire l’usufruzione degli spazi occupati e la loro autocostruzione. In questo modo si cercherà di creare un immaginario teso a legittimare l’esistenza della dimensione informale insediata in questo ritaglio di città, attribuendovi anche maggiore dignità. In tutta l’operazione saranno poste al centro dell’attenzione le persone, considerate come i reali elementi costitutivi di questa città parallela, tenendo presente che, come questo caso più che mai ci rivela, “la città non è fatto di pietre, è fatta di uomini. Non è la dimensione di una funzione, è la dimensione dell’esistenza”. 5
AFANASIEFF, HELENE
ARC I - Scuola di Architettura e Società
18-dic-2014
2013/2014
Tesi di laurea Magistrale
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