L’abbandono di numerosi edifici e intere parti di tessuto co¬struito è una delle realtà più problematiche che, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, colpisce le grandi me¬tropoli (italiane e non). Queste porzioni di aree dismesse, di tessuto urbanizzato e di patrimonio edilizio, infatti, costituiscono spesso, come nel caso milanese, una città all’interno della città e il recen¬te censimento, del giugno 2014, ne è una prova tangibile. Sono stati rilevati infatti a Milano, in quell’occasione, circa 160 immobili privati in stato di abbandono e di forte de¬grado. Si tratta di manufatti appartenenti alle diverse categorie ti¬pologiche: si va dagli edifici residenziali a quelli del terziario passando per gli spazi commerciali e produttivi. Le dimensioni variano: da piccoli lotti interclusi a torri mul¬tipiano, come il caso della emblematica Torre Galfa, posta in un’area centralissima della città. La mappatura degli stessi immobili permette una prima fase conoscitiva di quel lavoro ampio e decisamente complesso di analisi e ricucitura dell’urbanizzato che prende in consi¬derazione un modo di operare diverso da quello degli anni passati; prevede infatti il recupero del patrimonio edilizio esistente. Si assiste pertanto, negli ultimi tempi, ad un’inversione di tendenza, dove alla voce “espansione” se ne affianca un’altra, quella della “conversione”. All’interno del territorio milanese, tra i diversi casi di stabili o aree abbandonate, abbiamo deciso di prendere in esame una delle situazioni forse più controverse e discusse, sia per localizzazione che per tipologia di intervento. L’immobile, a cui facciamo riferimento, si presenta come un non finito, un edificio concepito, nel progetto iniziale, per ospitare uffici, attività commerciali e parcheggi sia pubblici che privati. E’ sito tra via Gaetano de Castilla e via Federico Confalonieri, nella zona meglio conosciuta come “Lunetta dell’Isola” (zona 9). Chiamato in tono dispregiativo “Ligrestone” dagli abitanti del quartiere, in riferimento alla proprietà, il palazzo appare come una realtà ormai statica e incombente all’interno dell’Isola. La sua storia, dalla nascita nel 2005 con l’acquisto del terre¬no sino alla realizzazione non ultimata, si delinea come una vicenda travagliata, una sorta di odissea giudiziaria che vede diversi protagonisti: da una parte la proprietà (la Im.co. della famiglia Ligresti) e dall’altra i Comitati di residenti, contrari alla cementificazione dell’area. Allo stato attuale, in seguito a sequestri e riprese dei lavori fino al nuovo provvedimento giudiziario da parte del Tribunale fal¬limentare (14 giugno 2012), la situazione appare quasi para¬dossale; ciò è dovuto soprattutto all’ubicazione della struttura: un crocevia di primaria importanza per Milano, al limite tra il tessuto denso e compatto della città storica e quello di più ampio respiro, derivante dalla grande trasformazione urbani¬stica che ha coinvolto negli ultimi anni le zone di Repubblica, Varesine, Porta Nuova, Garibaldi e Lunetta-Isola. Lo scheletro in cemento armato di circa 60 metri d’altezza risulta quindi oggi in forte contraddizione rispetto ai vari ambiti che caratterizzano l’area in cui si inserisce: esso appare avulso e svincolato dal contesto, non trova un punto d’unione con gli edifici di nuova costruzione né tanto meno con il tes¬suto consolidato a cui dà le spalle. Oltre alle dimensioni e all’orientamento discutibile, rispetto all’edificato, non trova ragion d’essere anche l’originaria de¬stinazione d’uso dell’immobile che, oltre al terziario e agli spazi commerciali, prevedeva di inserire un elevato numero di parcheggi fuori terra; un ulteriore paradosso, secondo noi, quello di incentivare il traffico privato in centro città, vista la centralità del quartiere e l’immediata disponibilità del servizio di trasporto pubblico. Per questo motivo, il nostro lavoro di tesi si prefigge l’obiet¬tivo di convertire la destinazione d’uso dello stabile, consi¬derando quest’ultimo, oggetto non-finito, alla stregua di un edificio per uffici abbandonato. Il nostro lavoro di studio per un riutilizzo dell’edificio si in¬serisce quindi nella realtà attuale sia della città di Milano che delle altre città europee, come vedremo in seguito. A supporto di questa metodologia di intervento si è deciso di sostenere e motivare la tematica affrontata mediante un breve approfondimento teorico. Quest’ultimo si divide in 3 sezioni: il tema dell’in¬tervento sull’architettura esistente, il progetto di conversione dell’edificio milanese di via de Castillia e l’analisi dei casi studio. Questi ultimi, che prendono in considerazione principalmente esempi di applicazione europei, cercano pertanto di mostrare come la conversione degli stabili e la loro trasformazione sia una tecnica ormai diffusa sotto svariati aspetti che intende inoltre preservare il valore originale dell’edificio, conferendo oltremodo un valore aggiunto.
Abitare lo scarto : convertire un edificio non finito a Milano
VASSENA, FEDERICA;CORTI, MADDALENA
2013/2014
Abstract
L’abbandono di numerosi edifici e intere parti di tessuto co¬struito è una delle realtà più problematiche che, a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, colpisce le grandi me¬tropoli (italiane e non). Queste porzioni di aree dismesse, di tessuto urbanizzato e di patrimonio edilizio, infatti, costituiscono spesso, come nel caso milanese, una città all’interno della città e il recen¬te censimento, del giugno 2014, ne è una prova tangibile. Sono stati rilevati infatti a Milano, in quell’occasione, circa 160 immobili privati in stato di abbandono e di forte de¬grado. Si tratta di manufatti appartenenti alle diverse categorie ti¬pologiche: si va dagli edifici residenziali a quelli del terziario passando per gli spazi commerciali e produttivi. Le dimensioni variano: da piccoli lotti interclusi a torri mul¬tipiano, come il caso della emblematica Torre Galfa, posta in un’area centralissima della città. La mappatura degli stessi immobili permette una prima fase conoscitiva di quel lavoro ampio e decisamente complesso di analisi e ricucitura dell’urbanizzato che prende in consi¬derazione un modo di operare diverso da quello degli anni passati; prevede infatti il recupero del patrimonio edilizio esistente. Si assiste pertanto, negli ultimi tempi, ad un’inversione di tendenza, dove alla voce “espansione” se ne affianca un’altra, quella della “conversione”. All’interno del territorio milanese, tra i diversi casi di stabili o aree abbandonate, abbiamo deciso di prendere in esame una delle situazioni forse più controverse e discusse, sia per localizzazione che per tipologia di intervento. L’immobile, a cui facciamo riferimento, si presenta come un non finito, un edificio concepito, nel progetto iniziale, per ospitare uffici, attività commerciali e parcheggi sia pubblici che privati. E’ sito tra via Gaetano de Castilla e via Federico Confalonieri, nella zona meglio conosciuta come “Lunetta dell’Isola” (zona 9). Chiamato in tono dispregiativo “Ligrestone” dagli abitanti del quartiere, in riferimento alla proprietà, il palazzo appare come una realtà ormai statica e incombente all’interno dell’Isola. La sua storia, dalla nascita nel 2005 con l’acquisto del terre¬no sino alla realizzazione non ultimata, si delinea come una vicenda travagliata, una sorta di odissea giudiziaria che vede diversi protagonisti: da una parte la proprietà (la Im.co. della famiglia Ligresti) e dall’altra i Comitati di residenti, contrari alla cementificazione dell’area. Allo stato attuale, in seguito a sequestri e riprese dei lavori fino al nuovo provvedimento giudiziario da parte del Tribunale fal¬limentare (14 giugno 2012), la situazione appare quasi para¬dossale; ciò è dovuto soprattutto all’ubicazione della struttura: un crocevia di primaria importanza per Milano, al limite tra il tessuto denso e compatto della città storica e quello di più ampio respiro, derivante dalla grande trasformazione urbani¬stica che ha coinvolto negli ultimi anni le zone di Repubblica, Varesine, Porta Nuova, Garibaldi e Lunetta-Isola. Lo scheletro in cemento armato di circa 60 metri d’altezza risulta quindi oggi in forte contraddizione rispetto ai vari ambiti che caratterizzano l’area in cui si inserisce: esso appare avulso e svincolato dal contesto, non trova un punto d’unione con gli edifici di nuova costruzione né tanto meno con il tes¬suto consolidato a cui dà le spalle. Oltre alle dimensioni e all’orientamento discutibile, rispetto all’edificato, non trova ragion d’essere anche l’originaria de¬stinazione d’uso dell’immobile che, oltre al terziario e agli spazi commerciali, prevedeva di inserire un elevato numero di parcheggi fuori terra; un ulteriore paradosso, secondo noi, quello di incentivare il traffico privato in centro città, vista la centralità del quartiere e l’immediata disponibilità del servizio di trasporto pubblico. Per questo motivo, il nostro lavoro di tesi si prefigge l’obiet¬tivo di convertire la destinazione d’uso dello stabile, consi¬derando quest’ultimo, oggetto non-finito, alla stregua di un edificio per uffici abbandonato. Il nostro lavoro di studio per un riutilizzo dell’edificio si in¬serisce quindi nella realtà attuale sia della città di Milano che delle altre città europee, come vedremo in seguito. A supporto di questa metodologia di intervento si è deciso di sostenere e motivare la tematica affrontata mediante un breve approfondimento teorico. Quest’ultimo si divide in 3 sezioni: il tema dell’in¬tervento sull’architettura esistente, il progetto di conversione dell’edificio milanese di via de Castillia e l’analisi dei casi studio. Questi ultimi, che prendono in considerazione principalmente esempi di applicazione europei, cercano pertanto di mostrare come la conversione degli stabili e la loro trasformazione sia una tecnica ormai diffusa sotto svariati aspetti che intende inoltre preservare il valore originale dell’edificio, conferendo oltremodo un valore aggiunto.File | Dimensione | Formato | |
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