In questo lavoro, si è analizzata la politica climatica attuata per il Regno Unito, tramite gli strumenti dati dalla teoria economica dell’ambiente. L’approccio seguito ha cercato di rispondere al meglio ai bisogni del dipartimento economico dell’ambasciata per cui è stato realizzato questo studio. L’idea è stata da un lato di presentare e spiegare la situazione britannica, i punti-chiave della strategia climatica attuale e le misure attuate. Dall’altro, si è cercato di analizzare questa politica sia in relazione al contesto, sia in termini di efficienza di inquinamento e di efficienza economica tramite gli strumenti dati per l’economia dell’ambiente. Storicamente uno dei “scaldabanchi” dell’Europa per l’inquinamento, il Regno-Unito ha saputo cambiare gradualmente la sua immagine fino a presentarsi oggi come uno dei paesi leader nella politica climatica . Mentre la situazione dell’ inquinamento è cambiata gradualmente da più di venti anni, la politica climatica invece si è modificata in concomitanza a due eventi maggiori: il protocollo di Kyoto e il rapporto Stern. Il rapporto Stern fu incontestabilmente l’uno degli elementi chiave che ha contribuito a riportare la lotta per il cambiamento climatico al centro dei dibatti nelle negoziazioni internazionali e segna una svolta nella politica climatica britannica. Se ha dato un nuovo punto di vista economico al problema, la sua forza è stata nella sua capacità di mandare un doppio messaggio politico-economico, staccandosi dall’attitudine attendista usuale. Questo doppio messaggio potrebbe essere cosi riassunto: - Un’azione forte e veloce per ridurre le emissioni di GES è indispensabile per evitare un cambiamento climatico che minaccerebbe di generare la più grave recessione degli ultimi secoli in modo irreversibile - L’umanità può premunirsi contro questo rischio per un costo moderato stimato al 1% del PIL mondiale (permettendo di mantenere una concentrazione di CO2 nell’atmosfera fra 500 e 550ppm), e compatibile con la crescita dei paesi sviluppati e in sviluppo. Il messaggio del rapporto Stem, rafforzato poi dall’ultimo dell’IPPC, è stato ben accolto dal Regno Unito e ha provocato un intenso dibattito politico sulla politica climatica da seguire e in particolare sugli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra da raggiungere. Il 26 novembre 2008, il Parlamento inglese votò la legge sul cambiamento climatico 2008 (Climate Change Act) che impone l’obbligo legale al governo di ridurre le emissioni nazionali di gas ad effetto serra del 34% entro il 2020 e del 80% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. È la prima volta nel Mondo che un paese si impegna legalmente a ridurre le sue emissioni di gas ad effetto serra. Questa legge instaura inoltre le linee guida del planning e del sistema di implementazione, in particolare il principio di “budget carbonio” (carbon budget) quinquennale e la creazione di un comitato indipendente per il cambiamento climatico (“Committee on Climate Change”), che deve servire come organismo di consiglio e di controllo dell’azione del governo. Il piano per la transizione verso un’economia a bassa emissione di carbonio (“Low Carbon Transition Plan”) è stato pubblicato nel luglio 2009 e definisce la strategia del governo per sottostare ai primi budget di carbonio e a prepararsi alle riduzioni di lungo termine. Questo piano prevede la creazione di budget settoriali e ministeriali per permettere da un lato di garantire il raggiungimento effettivo del budget globale e dall’altro ad assegnare le misure da implementare ad ogni ministero in funzione del settore di competenze. Un tale sistema richiede però una certa flessibilità e un buon monitoraggio fra i diversi budget affinché si possa garantire l’efficienza economica delle misure di riduzione delle emissioni. In realtà, il principio di equimarginalità, che è l’unico garante dell’efficienza economica, non sembra sempre rispettato. La riduzione delle emissioni di GES impatta su tutti i settori ed agenti dell’economia, benché in maniera molto differenziata, nella misura in cui è strettamente legata al consumo di una delle principale “utility”: l’energia. Perciò, la politica climatica è anche lei, strettamente legata alla politica energetica. Nella politica energetica, importano in particolare gli aspetti: - di sicurezza energetica: questo problema ha preso un’importanza sempre maggiore nel Regno-Unito snegli ultimi anni con l’esaurimento delle riserve di energie fossili nel Mare del Nord, mentre il suo consumo energetico ripone ancora principalmente su queste energie. - di basso costo dell’energia: Infatti, un costo basso dell’energia è visto come un vantaggio competitivo nel confronto degli altri paesi e come un mezzo per sostenere l’economia e in particolare l’industria. - Di povertà energetica (fuel poverty): Si parla di povertà energetica per le famiglie che per necessità economica, sono obbligate a “risparmiare” sull’energia anche se serve a coprire i loro bisogni primari. Questo fenomeno è legato al costo dell’energia e al livello di redito delle famiglie. Perciò, un costo basso dell’energia è visto come un quasi-diritto, nella misura in cui l’energia fa parte dei bisogni necessari alla sopravvivenza e che un aumento del costo dell’energia implica direttamente un aumento della povertà energetica (in assenza altri meccanismi di protezione). Per questa ragione, un tasso ridotto di imposte (IVA) è sempre stato applicato al consumo di energia domestico. - Di esternalità legate alla produzione e al trasporto di energia (in particolare i problemi di inquinamento, di sicurezza e di impatto sulle popolazione locali) Tutta la difficoltà della politica climatica è stata perciò quella di trovare un compromesso accettabile fra la riduzione delle emissioni da un lato e questi aspetti dall’altro. Il governo ha scelto di presentare la riduzione delle emissioni e la sicurezza energetica come due lati di una stessa medaglia, che si può risolvere, dal lato della produzione, grazie allo sviluppo delle energie rinnovabili (nella produzione di elettricità, di calore e di biocarburanti) e al rilancio del nucleare, e dal lato del consumo, grazie ad una riduzione del consumo ed un cambiamento del mix energetico nel consumo finale. Il Regno Unito si confronta oggi con un challenge energetico storico, sia dovuto all’importanza degli investimenti che per le scadenze brevi. Infatti, circa un terzo della sua capacità elettrica, principalmente nucleare, deve essere sostituita fra 15 anni; scambiandola con basso carbonio affinché si possa raggiungere gli obiettivi di riduzione. La rete elettrica richiede un’importante modernizzazione per sopportare questo cambiamento e rallenta già oggi lo sviluppo delle energie rinnovabili. Le capacità di gas sono molto più deboli che negli altri paesi europei. Per finire, i mercati dell’energia sono molto volatili e competitivi, e perciò più sfavorevoli alle energie rinnovabili e al nucleare. Se il governo si è fortemente impegnato per sviluppare le energie rinnovabili, numerose barriere rimangono : problemi di autorizzazione delle infrastrutture, di collegamento alla rete e di finanziamento. Perciò, gli obiettivi di energie rinnovabili del 2020 sembrano difficilmente raggiungibili in assenza di misure complementari. Le difficoltà incontrate lasciano anche supporre che l’efficienza economica potrebbe essere inferiore a quella sperata. Il rilancio del nucleare in tempi cosi ristretti è già un challenge in se stesso, la prima centrale dovendo essere messa in servizio circa nel 2018. Il principio fondamentale del rilancio del nucleare a livello politico è stato quello dell’autofinanziamento integrale della filiera, in altre parole l’assenza di sussidi statali. Se questo rilancio ha avuto una risposta positiva dei principali operatori elettrici nel 2008, il contesto è oggi meno favorevole. Il successo del rilancio sembra dipendere in parte dal risultato delle negoziazioni fra operatori e governo su due punti principali: 1 - la definizione del montante imposto delle provvisioni agli operatori per coprire i costi futuri di gestione dei rifiuti e di smantellamento delle centrali. 2 – la creazione di un sistema di sostegno ai prezzi del carbonio contro la garanzia degli operatori di costruire le centrali ad una scadenza definita in anticipo. Perciò, nel caso in cui i problemi attuali creerebbero un ritardo nel planning previsto, il rischio di black-out nel periodo 2015-2020 aumenterebbe velocemente. Quindi, sembra ragionevole pensare che per garantire la sicurezza energetica, delle misure “poco ambientale” sarebbero decise come quella di prolungare la durata delle centrali a carbone in fin di vita. L’altro lato della politica climatica ed energetica è quello del consumo, che si può dividere in 3 settori principali: il consumo legato ai trasporti, il consumo delle imprese e il consumo nell’habitat delle famiglie. Nei trasporti, la strategia di breve termine è stata quella di ridurre le emissioni dei veicoli leggeri imponendo dei standard di emissioni ai costruttori a livello europeo e quella di aumentare la parte dei biocarburanti. Sul lungo termine, si punta ad una migliore pianificazione delle infrastrutture, uno sviluppo dei trasporti pubblici (treno, pullman) ed un breakout tecnologico dei veicoli stradali in favore dell’elettricità e dei biocarburanti. Si può notare in questa strategia la quasi-assenza di strumenti economici, e in particolare della tassa sui carburanti, per orientare i cambiamenti. Inoltre, esiste un rischio potenziale di conflitto fra la strategia di breve e quella di lungo termine. Per le imprese, il governo ha previsto da un lato di prendere delle misure per internalizzare le emissioni e per rimuovere le barriere esistenti al cambiamento. Dall’altro, prevede di spingere l’industria/economia per aiutarla a cogliere tutte le opportunità economiche legate alla transizione. La molteplicità degli strumenti per internalizzare le emissioni porta spesso alla creazione di prezzi diversi del carbonio a secondo delle imprese. Se il motivo è spesso quello di mantenere la competitività delle imprese che sono confrontate alla concorrenza internazionale (ed evitare in tal modo il problema del “carbon leaks”), implica comunque una riduzione di efficienza economica notevole. Nell’habitat, le principale misure sono state di dare l’obbligo agli operatori energetici di ridurre il consumo dei loro clienti e di creare degli standard sull’efficienza degli edifici nuovi. Altre misure sono state implementate per ridurre le barriere al cambiamento, in particolare per sensibilizzare la popolazione e per diffondere l’informazione, anziché alcuni vantaggi fiscali sul materiale permettendo di ridurre il consumo energetico. Tuttavia, nessuno strumento economico (tassa carbonio o mercato carbonio) è stato creato per incentivare direttamente i consumatori a ridurre le loro emissioni , mentre l’inerzia al cambiamento delle persone in questo ambito è grande in particolare nel breve termine. Perciò, l’obiettivo di riduzione nel settore, in cosi breve termine, senza altre misure per coinvolgere maggiormente la popolazione, sembra difficilmente raggiungibile. Se gli obiettivi del Regno Unito di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra sono ambiziosi, un passo in più è probabilmente necessario oggi per riuscire a raggiungerli. Con la crisi, il primo budget carbonio dovrebbe essere raggiunto senza difficoltà, ma i budget successivi potrebbero essere più problematici. Le prime azioni del nuovo governo di coalizione sembrano di buono auspicio, rimane adesso da vedere come pensa implementarlo.

La politica britannica nella lotta contro il cambiamento climatico

PERREIN PEDUZZI, MYLENE
2010/2011

Abstract

In questo lavoro, si è analizzata la politica climatica attuata per il Regno Unito, tramite gli strumenti dati dalla teoria economica dell’ambiente. L’approccio seguito ha cercato di rispondere al meglio ai bisogni del dipartimento economico dell’ambasciata per cui è stato realizzato questo studio. L’idea è stata da un lato di presentare e spiegare la situazione britannica, i punti-chiave della strategia climatica attuale e le misure attuate. Dall’altro, si è cercato di analizzare questa politica sia in relazione al contesto, sia in termini di efficienza di inquinamento e di efficienza economica tramite gli strumenti dati per l’economia dell’ambiente. Storicamente uno dei “scaldabanchi” dell’Europa per l’inquinamento, il Regno-Unito ha saputo cambiare gradualmente la sua immagine fino a presentarsi oggi come uno dei paesi leader nella politica climatica . Mentre la situazione dell’ inquinamento è cambiata gradualmente da più di venti anni, la politica climatica invece si è modificata in concomitanza a due eventi maggiori: il protocollo di Kyoto e il rapporto Stern. Il rapporto Stern fu incontestabilmente l’uno degli elementi chiave che ha contribuito a riportare la lotta per il cambiamento climatico al centro dei dibatti nelle negoziazioni internazionali e segna una svolta nella politica climatica britannica. Se ha dato un nuovo punto di vista economico al problema, la sua forza è stata nella sua capacità di mandare un doppio messaggio politico-economico, staccandosi dall’attitudine attendista usuale. Questo doppio messaggio potrebbe essere cosi riassunto: - Un’azione forte e veloce per ridurre le emissioni di GES è indispensabile per evitare un cambiamento climatico che minaccerebbe di generare la più grave recessione degli ultimi secoli in modo irreversibile - L’umanità può premunirsi contro questo rischio per un costo moderato stimato al 1% del PIL mondiale (permettendo di mantenere una concentrazione di CO2 nell’atmosfera fra 500 e 550ppm), e compatibile con la crescita dei paesi sviluppati e in sviluppo. Il messaggio del rapporto Stem, rafforzato poi dall’ultimo dell’IPPC, è stato ben accolto dal Regno Unito e ha provocato un intenso dibattito politico sulla politica climatica da seguire e in particolare sugli obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra da raggiungere. Il 26 novembre 2008, il Parlamento inglese votò la legge sul cambiamento climatico 2008 (Climate Change Act) che impone l’obbligo legale al governo di ridurre le emissioni nazionali di gas ad effetto serra del 34% entro il 2020 e del 80% entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990. È la prima volta nel Mondo che un paese si impegna legalmente a ridurre le sue emissioni di gas ad effetto serra. Questa legge instaura inoltre le linee guida del planning e del sistema di implementazione, in particolare il principio di “budget carbonio” (carbon budget) quinquennale e la creazione di un comitato indipendente per il cambiamento climatico (“Committee on Climate Change”), che deve servire come organismo di consiglio e di controllo dell’azione del governo. Il piano per la transizione verso un’economia a bassa emissione di carbonio (“Low Carbon Transition Plan”) è stato pubblicato nel luglio 2009 e definisce la strategia del governo per sottostare ai primi budget di carbonio e a prepararsi alle riduzioni di lungo termine. Questo piano prevede la creazione di budget settoriali e ministeriali per permettere da un lato di garantire il raggiungimento effettivo del budget globale e dall’altro ad assegnare le misure da implementare ad ogni ministero in funzione del settore di competenze. Un tale sistema richiede però una certa flessibilità e un buon monitoraggio fra i diversi budget affinché si possa garantire l’efficienza economica delle misure di riduzione delle emissioni. In realtà, il principio di equimarginalità, che è l’unico garante dell’efficienza economica, non sembra sempre rispettato. La riduzione delle emissioni di GES impatta su tutti i settori ed agenti dell’economia, benché in maniera molto differenziata, nella misura in cui è strettamente legata al consumo di una delle principale “utility”: l’energia. Perciò, la politica climatica è anche lei, strettamente legata alla politica energetica. Nella politica energetica, importano in particolare gli aspetti: - di sicurezza energetica: questo problema ha preso un’importanza sempre maggiore nel Regno-Unito snegli ultimi anni con l’esaurimento delle riserve di energie fossili nel Mare del Nord, mentre il suo consumo energetico ripone ancora principalmente su queste energie. - di basso costo dell’energia: Infatti, un costo basso dell’energia è visto come un vantaggio competitivo nel confronto degli altri paesi e come un mezzo per sostenere l’economia e in particolare l’industria. - Di povertà energetica (fuel poverty): Si parla di povertà energetica per le famiglie che per necessità economica, sono obbligate a “risparmiare” sull’energia anche se serve a coprire i loro bisogni primari. Questo fenomeno è legato al costo dell’energia e al livello di redito delle famiglie. Perciò, un costo basso dell’energia è visto come un quasi-diritto, nella misura in cui l’energia fa parte dei bisogni necessari alla sopravvivenza e che un aumento del costo dell’energia implica direttamente un aumento della povertà energetica (in assenza altri meccanismi di protezione). Per questa ragione, un tasso ridotto di imposte (IVA) è sempre stato applicato al consumo di energia domestico. - Di esternalità legate alla produzione e al trasporto di energia (in particolare i problemi di inquinamento, di sicurezza e di impatto sulle popolazione locali) Tutta la difficoltà della politica climatica è stata perciò quella di trovare un compromesso accettabile fra la riduzione delle emissioni da un lato e questi aspetti dall’altro. Il governo ha scelto di presentare la riduzione delle emissioni e la sicurezza energetica come due lati di una stessa medaglia, che si può risolvere, dal lato della produzione, grazie allo sviluppo delle energie rinnovabili (nella produzione di elettricità, di calore e di biocarburanti) e al rilancio del nucleare, e dal lato del consumo, grazie ad una riduzione del consumo ed un cambiamento del mix energetico nel consumo finale. Il Regno Unito si confronta oggi con un challenge energetico storico, sia dovuto all’importanza degli investimenti che per le scadenze brevi. Infatti, circa un terzo della sua capacità elettrica, principalmente nucleare, deve essere sostituita fra 15 anni; scambiandola con basso carbonio affinché si possa raggiungere gli obiettivi di riduzione. La rete elettrica richiede un’importante modernizzazione per sopportare questo cambiamento e rallenta già oggi lo sviluppo delle energie rinnovabili. Le capacità di gas sono molto più deboli che negli altri paesi europei. Per finire, i mercati dell’energia sono molto volatili e competitivi, e perciò più sfavorevoli alle energie rinnovabili e al nucleare. Se il governo si è fortemente impegnato per sviluppare le energie rinnovabili, numerose barriere rimangono : problemi di autorizzazione delle infrastrutture, di collegamento alla rete e di finanziamento. Perciò, gli obiettivi di energie rinnovabili del 2020 sembrano difficilmente raggiungibili in assenza di misure complementari. Le difficoltà incontrate lasciano anche supporre che l’efficienza economica potrebbe essere inferiore a quella sperata. Il rilancio del nucleare in tempi cosi ristretti è già un challenge in se stesso, la prima centrale dovendo essere messa in servizio circa nel 2018. Il principio fondamentale del rilancio del nucleare a livello politico è stato quello dell’autofinanziamento integrale della filiera, in altre parole l’assenza di sussidi statali. Se questo rilancio ha avuto una risposta positiva dei principali operatori elettrici nel 2008, il contesto è oggi meno favorevole. Il successo del rilancio sembra dipendere in parte dal risultato delle negoziazioni fra operatori e governo su due punti principali: 1 - la definizione del montante imposto delle provvisioni agli operatori per coprire i costi futuri di gestione dei rifiuti e di smantellamento delle centrali. 2 – la creazione di un sistema di sostegno ai prezzi del carbonio contro la garanzia degli operatori di costruire le centrali ad una scadenza definita in anticipo. Perciò, nel caso in cui i problemi attuali creerebbero un ritardo nel planning previsto, il rischio di black-out nel periodo 2015-2020 aumenterebbe velocemente. Quindi, sembra ragionevole pensare che per garantire la sicurezza energetica, delle misure “poco ambientale” sarebbero decise come quella di prolungare la durata delle centrali a carbone in fin di vita. L’altro lato della politica climatica ed energetica è quello del consumo, che si può dividere in 3 settori principali: il consumo legato ai trasporti, il consumo delle imprese e il consumo nell’habitat delle famiglie. Nei trasporti, la strategia di breve termine è stata quella di ridurre le emissioni dei veicoli leggeri imponendo dei standard di emissioni ai costruttori a livello europeo e quella di aumentare la parte dei biocarburanti. Sul lungo termine, si punta ad una migliore pianificazione delle infrastrutture, uno sviluppo dei trasporti pubblici (treno, pullman) ed un breakout tecnologico dei veicoli stradali in favore dell’elettricità e dei biocarburanti. Si può notare in questa strategia la quasi-assenza di strumenti economici, e in particolare della tassa sui carburanti, per orientare i cambiamenti. Inoltre, esiste un rischio potenziale di conflitto fra la strategia di breve e quella di lungo termine. Per le imprese, il governo ha previsto da un lato di prendere delle misure per internalizzare le emissioni e per rimuovere le barriere esistenti al cambiamento. Dall’altro, prevede di spingere l’industria/economia per aiutarla a cogliere tutte le opportunità economiche legate alla transizione. La molteplicità degli strumenti per internalizzare le emissioni porta spesso alla creazione di prezzi diversi del carbonio a secondo delle imprese. Se il motivo è spesso quello di mantenere la competitività delle imprese che sono confrontate alla concorrenza internazionale (ed evitare in tal modo il problema del “carbon leaks”), implica comunque una riduzione di efficienza economica notevole. Nell’habitat, le principale misure sono state di dare l’obbligo agli operatori energetici di ridurre il consumo dei loro clienti e di creare degli standard sull’efficienza degli edifici nuovi. Altre misure sono state implementate per ridurre le barriere al cambiamento, in particolare per sensibilizzare la popolazione e per diffondere l’informazione, anziché alcuni vantaggi fiscali sul materiale permettendo di ridurre il consumo energetico. Tuttavia, nessuno strumento economico (tassa carbonio o mercato carbonio) è stato creato per incentivare direttamente i consumatori a ridurre le loro emissioni , mentre l’inerzia al cambiamento delle persone in questo ambito è grande in particolare nel breve termine. Perciò, l’obiettivo di riduzione nel settore, in cosi breve termine, senza altre misure per coinvolgere maggiormente la popolazione, sembra difficilmente raggiungibile. Se gli obiettivi del Regno Unito di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra sono ambiziosi, un passo in più è probabilmente necessario oggi per riuscire a raggiungerli. Con la crisi, il primo budget carbonio dovrebbe essere raggiunto senza difficoltà, ma i budget successivi potrebbero essere più problematici. Le prime azioni del nuovo governo di coalizione sembrano di buono auspicio, rimane adesso da vedere come pensa implementarlo.
ING II - Facolta' di Ingegneria dei Sistemi
21-dic-2010
2010/2011
Tesi di laurea Magistrale
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