The thought from which I started is that nowadays in Italy (as well as everywhere else) there's no more surface area to build from scratch: we talk a lot about overbuilding, speculation, environment that succumbs in the leftovers spaces of our cities, buildings eating those huge areas that could be returned to nature or to community use, instead. The construction-site-rush leaves behind a trail of abandoned ruins in which no-one has the courage (or the money) to believe in. I like to hope that they still have a "second chance", a "second life" to be imagined and lived. The goal of this paper is a reflection on what I intended as "a urban void", a rip in the city's fabric and the way it could be rethought from the beginnning in order to give its own small contribution to people's lives and activities

L’assunto da cui sono partite le mie riflessioni è che ormai in Italia (così come in realtà un po’ ovunque) non c’è più superficie per edificare ex-novo: si parla (e si parla da tanto) di cementificazione e speculazione edilizia, di ambiente ‘soffocato’, che soccombe negli spazi residui delle città, di costruzioni che si accavallano e si incastrano sempre più, mangiandosi porzioni enormi di spazio che poteva essere restituito alla Natura o all’uso comunitario, mentre la “corsa al cantiere” lascia dietro di sè una scia di ruderi abbandonati, edifici/involucri vuoti e fatiscenti nei quali nessuno ha il coraggio, la voglia (né tantomeno i fondi) per credere. A me invece piace sperare che anche loro abbiano ancora una possibilità, mi piace immaginare la loro “seconda vita”. L’intenzione primaria di questo elaborato è quella di confrontarmi con un esempio di quello che ritengo essere un ‘vuoto urbano’, una fenditura inerte, senza contenuto o perlomeno senza scopo, come uno strappo dimenticato nel tessuto urbano, che se ripensato con intelligenza, può tornare a dare il suo, piccolo, contributo alla vita di una comunità, rispondendo in maniera fantasiosa ad alcuni bisogni sociali, esattamente come uno spazio neo-edificato. Un ‘vuoto a rendere’, nel senso lato dell’espressione: un vuoto che, se Sfruttato, può tornare a FRUTTARE, ad essere ricchezza, rispondendo a reali necessità.

Un nido per le cicogne. Edifici abbandonati come risorsa da (s)fruttare. Proposta di recupero di un immobile in disuso nel comune di Varedo (MB)

RIVA, SARA
2013/2014

Abstract

The thought from which I started is that nowadays in Italy (as well as everywhere else) there's no more surface area to build from scratch: we talk a lot about overbuilding, speculation, environment that succumbs in the leftovers spaces of our cities, buildings eating those huge areas that could be returned to nature or to community use, instead. The construction-site-rush leaves behind a trail of abandoned ruins in which no-one has the courage (or the money) to believe in. I like to hope that they still have a "second chance", a "second life" to be imagined and lived. The goal of this paper is a reflection on what I intended as "a urban void", a rip in the city's fabric and the way it could be rethought from the beginnning in order to give its own small contribution to people's lives and activities
GHEZZI, MATTIA GUIDO
ARC III - Scuola del Design
28-apr-2015
2013/2014
L’assunto da cui sono partite le mie riflessioni è che ormai in Italia (così come in realtà un po’ ovunque) non c’è più superficie per edificare ex-novo: si parla (e si parla da tanto) di cementificazione e speculazione edilizia, di ambiente ‘soffocato’, che soccombe negli spazi residui delle città, di costruzioni che si accavallano e si incastrano sempre più, mangiandosi porzioni enormi di spazio che poteva essere restituito alla Natura o all’uso comunitario, mentre la “corsa al cantiere” lascia dietro di sè una scia di ruderi abbandonati, edifici/involucri vuoti e fatiscenti nei quali nessuno ha il coraggio, la voglia (né tantomeno i fondi) per credere. A me invece piace sperare che anche loro abbiano ancora una possibilità, mi piace immaginare la loro “seconda vita”. L’intenzione primaria di questo elaborato è quella di confrontarmi con un esempio di quello che ritengo essere un ‘vuoto urbano’, una fenditura inerte, senza contenuto o perlomeno senza scopo, come uno strappo dimenticato nel tessuto urbano, che se ripensato con intelligenza, può tornare a dare il suo, piccolo, contributo alla vita di una comunità, rispondendo in maniera fantasiosa ad alcuni bisogni sociali, esattamente come uno spazio neo-edificato. Un ‘vuoto a rendere’, nel senso lato dell’espressione: un vuoto che, se Sfruttato, può tornare a FRUTTARE, ad essere ricchezza, rispondendo a reali necessità.
Tesi di laurea Magistrale
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