La Valtellina avrebbe convenienza a optare per uno sviluppo fondato sulla valorizzazione delle proprie risorse locali. I settori principali potrebbero essere l’agroalimentare, le costruzioni (sia grandi opere sia edifici in metallo e in legno) e la meccanica strumentale per le molto specifiche esigenze della montagna. A medio- lungo termine, grazie alla nuova accessibilità, i loro rapporti intersettoriali sarebbero in grado di garantire una autonoma e solida struttura produttiva. Il settore dell’agricoltura, a causa delle proprie caratteristiche strutturali, contribuisce in misura molto modesta alla formazione del valore aggiunto della valle, ma è origine di una lunga e complessa filiera di trasformazione industriale e di attività terziarie (commercializzazione, marketing, ricerca tecnologica eccetera) con un valore aggiunto che è circa sei volte il suo. Ha però un futuro molto incerto: il crescente dissesto idrogeologico mette a repentaglio ogni coltivazione. Se il processo di degrado ambientale continuasse, le stesse aziende agricole più grandi avrebbero difficoltà sempre maggiori a stare sul mercato in modo competitivo. Non vi potrebbe essere che una soluzione: mettere in sicurezza il territorio, conservando gli alpeggi e i maggenghi ancora utilizzati e riconquistando quelli abbandonati (oggi, il 40% del fieno impiegato nelle aziende zootecniche proviene dall’esterno della valle). A tale scopo sarebbe strategico assicurare una solida prospettiva alle imprese di minore dimensione (sempre a conduzione familiare), le uniche che hanno una presenza diffusa e che, per la grande passione alla produzione e per il forte attaccamento alla terra dei titolari, sono in grado di presidiare con efficacia il territorio. Ma gran parte di esse è contraddistinta da un grave punto di debolezza: benché realizzi mediamente una produzione di buona qualità, ha costi troppo elevati in rapporto al fatturato realizzato, e quindi un profitto molto modesto, largamente insufficiente per effettuare i necessari investimenti. Si impone, dunque, una logica radicalmente alternativa a quella oggi dominante. Ogni piccola impresa, anziché accontentarsi di stare al margine del mercato facendo leva sulla cooperazione familiare e l’autosfruttamento, dovrebbe assumere una gestione di carattere industriale. Sarebbe però obbligata a rinunciare ai criteri di organizzazione fordista (propri delle grandi imprese capitalistiche di pianura), optando per una conduzione che mirasse a una piena ed appropriata utilizzazione delle risorse locali.
Ricerca e produzione per un nuovo sviluppo in Valtellina
CRESCIMANNA, ELENA LILIANA
2013/2014
Abstract
La Valtellina avrebbe convenienza a optare per uno sviluppo fondato sulla valorizzazione delle proprie risorse locali. I settori principali potrebbero essere l’agroalimentare, le costruzioni (sia grandi opere sia edifici in metallo e in legno) e la meccanica strumentale per le molto specifiche esigenze della montagna. A medio- lungo termine, grazie alla nuova accessibilità, i loro rapporti intersettoriali sarebbero in grado di garantire una autonoma e solida struttura produttiva. Il settore dell’agricoltura, a causa delle proprie caratteristiche strutturali, contribuisce in misura molto modesta alla formazione del valore aggiunto della valle, ma è origine di una lunga e complessa filiera di trasformazione industriale e di attività terziarie (commercializzazione, marketing, ricerca tecnologica eccetera) con un valore aggiunto che è circa sei volte il suo. Ha però un futuro molto incerto: il crescente dissesto idrogeologico mette a repentaglio ogni coltivazione. Se il processo di degrado ambientale continuasse, le stesse aziende agricole più grandi avrebbero difficoltà sempre maggiori a stare sul mercato in modo competitivo. Non vi potrebbe essere che una soluzione: mettere in sicurezza il territorio, conservando gli alpeggi e i maggenghi ancora utilizzati e riconquistando quelli abbandonati (oggi, il 40% del fieno impiegato nelle aziende zootecniche proviene dall’esterno della valle). A tale scopo sarebbe strategico assicurare una solida prospettiva alle imprese di minore dimensione (sempre a conduzione familiare), le uniche che hanno una presenza diffusa e che, per la grande passione alla produzione e per il forte attaccamento alla terra dei titolari, sono in grado di presidiare con efficacia il territorio. Ma gran parte di esse è contraddistinta da un grave punto di debolezza: benché realizzi mediamente una produzione di buona qualità, ha costi troppo elevati in rapporto al fatturato realizzato, e quindi un profitto molto modesto, largamente insufficiente per effettuare i necessari investimenti. Si impone, dunque, una logica radicalmente alternativa a quella oggi dominante. Ogni piccola impresa, anziché accontentarsi di stare al margine del mercato facendo leva sulla cooperazione familiare e l’autosfruttamento, dovrebbe assumere una gestione di carattere industriale. Sarebbe però obbligata a rinunciare ai criteri di organizzazione fordista (propri delle grandi imprese capitalistiche di pianura), optando per una conduzione che mirasse a una piena ed appropriata utilizzazione delle risorse locali.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/10589/106222