Spesso ci si rende conto dell’importanza delle esperienze iniziali di un percorso quando si giunge alla fine di questo. Quando al primo anno di università, tu neanche ventenne con voglia di fare cose “strane” estroverse, di venire fuori con tutta la tua creatività, di disegnare curve con i vari grasshopper o simili, ti ritrovi invece a tirar linee, anzi a copiarle con una 7h, praticamente un bisturi nella tua mano, che se ti parte devi ricominciare tutto. E tu carico di energie ti senti pronto per cambiare il mondo ti chiedi quindi, “ma io perché devo copiare” ? Perché tu non vuoi copiare, vorresti creare qualcosa che nessuno ha mai visto, cose nuove! Poi arrivano i primi laboratori e inizi a fare piano piano cose che ti piacciono, pensi di aver incontrato finalmente docenti non così didattici che ti fanno osare un po’, come se tu fossi l’inventore del decostruttivismo o brutalismo. Inizi a viaggiare e la tua cartella di foto diventa sempre più colma, quando prendi in mano un nuovo progetto sei in grado di tirar fuori più riferimenti di Google immagini, ma c’è qualcosa che non va, perché nonostante i tuoi sforzi per reinterpretare ciò che vedi in quella foto a te non viene come è venuta a lui, ti manca quel particolare che non hai colto nei tuoi settantasette scatti a caso, o nelle fantastiche quanto inutili panoramiche degli interni di un edificio, non capisci il perché, ma ti rendi conto che nonostante il materiale riportato non hai colto tutto di quell’architettura. Quindi vai nella tua biblioteca, come facevano quelli non nati nell’era di internet e cerchi piante e sezioni, e se sei fortunato trovi anche qualche schizzo progettuale non posticcio. Ti ritrovi quindi a fare spontaneamente quegli esercizi di ridisegno che fino a qualche mese prima ritenevi inutili, pensando che il tuo docente te li avesse dati solo per vendicarsi del suo periodo da studente passato con la china in mano per farti provare le stesse sofferenze da lui patite nell’era in cui autocad stava per uscire su 13 floppy disk. Reinterpreti quindi i tuoi disegni e vedi che ora tra pianta e sezione il prospetto che è venuto fuori effettivamente sta meglio. Nel tuo prossimo viaggio ti scordi quasi la reflex, la metti nello zaino all’ultimo, in compenso però hai con te ogni tipo di carta e di penna per riuscire a cogliere realmente ciò che vedi, osservare, provare a capire per poi reinterpretare ciò che già era è stato realizzato. Assumi quindi lo stesso atteggiamento di quei signori che alla fine del ‘700 avevano ripreso a fare cose “vecchie e già viste”. Il tuo gran tour inizia ad essere ora più cosciente. Questa tesi vuole essere una riflessione sull’importanza del ridisegno, e del perché per imparare a fare architettura bisogna prima capire come sia stata fatta quella che vediamo quando camminiamo per strada. Un concetto che sembra così scontato, ridondante a tal punto da diventare noioso e che per questo motivo viene sopravalutato. L’esercizio sarà quindi quello di sviluppare un progetto che racconti il Grand tour intrapreso dagli architetti a del XVIII e del XIX sec, un Grand tour del Grand tour, il Neo Tour. Come farlo quindi come sintetizzare tutto questo in un progetto e nella sua collezione, in una sorta di tante e diverse, ma coerenti tra loro Wunderkammer? In realtà qualcosa di simile è già stato creato. Il Sir John Soane Museum si trova tra il 12 ed 14 di Lincoln’s Inn Fieds a Londra, nella sua casa museo l’architetto è riuscito a riassumere non solo il suo Grand Tour e tutto ciò che ha appreso in vita riportato tramite i suoi progetti, ma anche a riproporre una sintesi di ciò che è accaduto a cavallo tra i due secoli in questione.

Il museo del neoclassico. Ampliamento del Sir John Soane's Museum e una nuova biblioteca

SIAS, SIMONE;DELIA, GIOVANNA ESTER
2014/2015

Abstract

Spesso ci si rende conto dell’importanza delle esperienze iniziali di un percorso quando si giunge alla fine di questo. Quando al primo anno di università, tu neanche ventenne con voglia di fare cose “strane” estroverse, di venire fuori con tutta la tua creatività, di disegnare curve con i vari grasshopper o simili, ti ritrovi invece a tirar linee, anzi a copiarle con una 7h, praticamente un bisturi nella tua mano, che se ti parte devi ricominciare tutto. E tu carico di energie ti senti pronto per cambiare il mondo ti chiedi quindi, “ma io perché devo copiare” ? Perché tu non vuoi copiare, vorresti creare qualcosa che nessuno ha mai visto, cose nuove! Poi arrivano i primi laboratori e inizi a fare piano piano cose che ti piacciono, pensi di aver incontrato finalmente docenti non così didattici che ti fanno osare un po’, come se tu fossi l’inventore del decostruttivismo o brutalismo. Inizi a viaggiare e la tua cartella di foto diventa sempre più colma, quando prendi in mano un nuovo progetto sei in grado di tirar fuori più riferimenti di Google immagini, ma c’è qualcosa che non va, perché nonostante i tuoi sforzi per reinterpretare ciò che vedi in quella foto a te non viene come è venuta a lui, ti manca quel particolare che non hai colto nei tuoi settantasette scatti a caso, o nelle fantastiche quanto inutili panoramiche degli interni di un edificio, non capisci il perché, ma ti rendi conto che nonostante il materiale riportato non hai colto tutto di quell’architettura. Quindi vai nella tua biblioteca, come facevano quelli non nati nell’era di internet e cerchi piante e sezioni, e se sei fortunato trovi anche qualche schizzo progettuale non posticcio. Ti ritrovi quindi a fare spontaneamente quegli esercizi di ridisegno che fino a qualche mese prima ritenevi inutili, pensando che il tuo docente te li avesse dati solo per vendicarsi del suo periodo da studente passato con la china in mano per farti provare le stesse sofferenze da lui patite nell’era in cui autocad stava per uscire su 13 floppy disk. Reinterpreti quindi i tuoi disegni e vedi che ora tra pianta e sezione il prospetto che è venuto fuori effettivamente sta meglio. Nel tuo prossimo viaggio ti scordi quasi la reflex, la metti nello zaino all’ultimo, in compenso però hai con te ogni tipo di carta e di penna per riuscire a cogliere realmente ciò che vedi, osservare, provare a capire per poi reinterpretare ciò che già era è stato realizzato. Assumi quindi lo stesso atteggiamento di quei signori che alla fine del ‘700 avevano ripreso a fare cose “vecchie e già viste”. Il tuo gran tour inizia ad essere ora più cosciente. Questa tesi vuole essere una riflessione sull’importanza del ridisegno, e del perché per imparare a fare architettura bisogna prima capire come sia stata fatta quella che vediamo quando camminiamo per strada. Un concetto che sembra così scontato, ridondante a tal punto da diventare noioso e che per questo motivo viene sopravalutato. L’esercizio sarà quindi quello di sviluppare un progetto che racconti il Grand tour intrapreso dagli architetti a del XVIII e del XIX sec, un Grand tour del Grand tour, il Neo Tour. Come farlo quindi come sintetizzare tutto questo in un progetto e nella sua collezione, in una sorta di tante e diverse, ma coerenti tra loro Wunderkammer? In realtà qualcosa di simile è già stato creato. Il Sir John Soane Museum si trova tra il 12 ed 14 di Lincoln’s Inn Fieds a Londra, nella sua casa museo l’architetto è riuscito a riassumere non solo il suo Grand Tour e tutto ciò che ha appreso in vita riportato tramite i suoi progetti, ma anche a riproporre una sintesi di ciò che è accaduto a cavallo tra i due secoli in questione.
OSSOLA, SAMUELE
CHIAPPERINO, ALESSIA
ARC I - Scuola di Architettura e Società
24-lug-2015
2014/2015
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/108246