Il lavoro di tesi nasce dopo un’esperienza di Workshop nel Settembre 2014 a Mathare, Nairobi, insieme all’ONG Live in Slums, poi ripetuta nell’Aprile 2015. In questa occasione siamo entrate in contatto con una realtà molto complessa e diversa rispetto alla nostra quotidianità. Ai nostri occhi ciò che appare all’ingresso dello slum è il disorientante disordine costituito da rumori, odori, colori e dall’infinità di tetti in lamiera roventi. Tutto sembra generato dalla casualità. Ma a Mathare l’ordine esiste. Ed esiste per coloro che la vivono tutti i giorni, che la frequentano, che ogni giorno si spostano per raggiungere il proprio posto di lavoro o per andare a scuola o a prendere l’acqua con delle taniche. Quest’ordine è evidente nel susseguirsi di pieni vuoti, dalla gerarchia delle strade e dai punti di riferimento che ciascuno si crea nel vivere la baraccopoli. Dopo svariati giorni persino un muzungu come noi riesce a farsi strada in quel groviglio di vicoli e strade per raggiungere due punti differenti dello slum. Ma questo solo dopo aver abbandonato il proprio modo canonico di “mappare” gli ambienti e la propria stretta dipendenza dagli strumenti digitali ed essere tornato ad un metodo più istintivo di osservazione. Ciò che ti circonda è tutto costruito ad Hoc. Lo slum è la risposta che si sono date le persone alle proprie esigenze creando spazi specifici che rispondano alle loro necessità e ai loro bisogni. Non vivono in modo passivo la loro condizione. Ma vivono lo slum come una sfida da affrontare ogni giorno. Questa forza si vede nei volti delle donne che abbiamo incontrato lungo i vicoli di Mathare, che ci hanno accolto nelle loro case e ci hanno fatto vivere lo slum attraverso i loro occhi. Ci hanno raccontato le difficoltà e gli ostacoli che ogni giorno devono superare, dall’andare a prendere l’acqua a riunire tutta la famiglia in casa a fine giornata. Molto spesso vivono da sole con diversi figli e sta a loro l’intera gestione del lavoro all’interno e all’esterno della casa. Le donne e le ragazze sono le vittime dirette e indirette della mancanza di servizi di base, devono convivere con una costante insicurezza e con la certezza di violenza. Nonostante questi fattori debilitanti le donne sono la vera forza dello slum. Tale forza sta nella capacità di organizzarsi e sostenersi a vicenda grazie a piccoli gruppi, gli youth group. Da questi incontri è nata l’idea di un progetto architettonico interamente dedicato alle donne che potesse offrire rifugio e assistenza a coloro che si trovano in situazioni di difficoltà. In fase di progettazione ci siamo poste questa domanda: “Come deve agire l’architetto occidentale che opera in un contesto del genere?” La progettazione in un contesto informale è un tema tanto attuale quanto arduo da affrontare. Quello che abbiamo imparato è che il coinvolgimento in prima persona è indispensabile. La conoscenza di quelli che sono i reali bisogni delle donne dello slum e la consapevolezza delle mancanze contribuiscono a condurre una progettazione e una pianificazione più efficiente. Quello che è certo è che non vi è un’unica soluzione, tanto meno è inutile illudersi dell’esistenza di una formula universale adattabile a qualsiasi contesto. Bisogna spogliarsi della propria forma mentis e avere l’umiltà di riniziare da zero.
Kukumbatia center. Analisi del ruolo femminile nello slum di Mathare e proposta progettuale di un centro di accoglienza dedicato alle donne
LAMPIANO, PAOLA;BARBERIS, CECILIA
2014/2015
Abstract
Il lavoro di tesi nasce dopo un’esperienza di Workshop nel Settembre 2014 a Mathare, Nairobi, insieme all’ONG Live in Slums, poi ripetuta nell’Aprile 2015. In questa occasione siamo entrate in contatto con una realtà molto complessa e diversa rispetto alla nostra quotidianità. Ai nostri occhi ciò che appare all’ingresso dello slum è il disorientante disordine costituito da rumori, odori, colori e dall’infinità di tetti in lamiera roventi. Tutto sembra generato dalla casualità. Ma a Mathare l’ordine esiste. Ed esiste per coloro che la vivono tutti i giorni, che la frequentano, che ogni giorno si spostano per raggiungere il proprio posto di lavoro o per andare a scuola o a prendere l’acqua con delle taniche. Quest’ordine è evidente nel susseguirsi di pieni vuoti, dalla gerarchia delle strade e dai punti di riferimento che ciascuno si crea nel vivere la baraccopoli. Dopo svariati giorni persino un muzungu come noi riesce a farsi strada in quel groviglio di vicoli e strade per raggiungere due punti differenti dello slum. Ma questo solo dopo aver abbandonato il proprio modo canonico di “mappare” gli ambienti e la propria stretta dipendenza dagli strumenti digitali ed essere tornato ad un metodo più istintivo di osservazione. Ciò che ti circonda è tutto costruito ad Hoc. Lo slum è la risposta che si sono date le persone alle proprie esigenze creando spazi specifici che rispondano alle loro necessità e ai loro bisogni. Non vivono in modo passivo la loro condizione. Ma vivono lo slum come una sfida da affrontare ogni giorno. Questa forza si vede nei volti delle donne che abbiamo incontrato lungo i vicoli di Mathare, che ci hanno accolto nelle loro case e ci hanno fatto vivere lo slum attraverso i loro occhi. Ci hanno raccontato le difficoltà e gli ostacoli che ogni giorno devono superare, dall’andare a prendere l’acqua a riunire tutta la famiglia in casa a fine giornata. Molto spesso vivono da sole con diversi figli e sta a loro l’intera gestione del lavoro all’interno e all’esterno della casa. Le donne e le ragazze sono le vittime dirette e indirette della mancanza di servizi di base, devono convivere con una costante insicurezza e con la certezza di violenza. Nonostante questi fattori debilitanti le donne sono la vera forza dello slum. Tale forza sta nella capacità di organizzarsi e sostenersi a vicenda grazie a piccoli gruppi, gli youth group. Da questi incontri è nata l’idea di un progetto architettonico interamente dedicato alle donne che potesse offrire rifugio e assistenza a coloro che si trovano in situazioni di difficoltà. In fase di progettazione ci siamo poste questa domanda: “Come deve agire l’architetto occidentale che opera in un contesto del genere?” La progettazione in un contesto informale è un tema tanto attuale quanto arduo da affrontare. Quello che abbiamo imparato è che il coinvolgimento in prima persona è indispensabile. La conoscenza di quelli che sono i reali bisogni delle donne dello slum e la consapevolezza delle mancanze contribuiscono a condurre una progettazione e una pianificazione più efficiente. Quello che è certo è che non vi è un’unica soluzione, tanto meno è inutile illudersi dell’esistenza di una formula universale adattabile a qualsiasi contesto. Bisogna spogliarsi della propria forma mentis e avere l’umiltà di riniziare da zero.File | Dimensione | Formato | |
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