“Definisco il vuoto come un concetto che non può essere identificato, come spesso avviene, con lo spazio come ‘luogo non occupato’. Il vuoto è qualcosa che si ottiene (come succede in Fisica, il vuoto non esiste), è una risposta estetica legata alla fase di ‘disoccupazione’ spaziale. Il vuoto viene a essere la presenza di un’assenza. Lo spazio vuoto come appartamento spirituale, come ricettività (termine che si contrappone a quello di espressività, allo stesso modo in cui il concavo sta al convesso), lo spazio vuoto dunque come barriera e neutralizzazione o difesa dall’aggressività esteriore dell’espressività e dei cinetismi, a favore dell’uomo” Jorge Oteiza Questa tesi nasce dalla convinzione che l’architettura della città sia anche e soprattutto l’architettura dei suoi vuoti. La ricerca parte dalla lettura e dall’interpretazione di questi “paesaggi di dispersione”: non c’è più spazio disponibile per costruire il nuovo, bisogna lavorare “nel mezzo”, per recuperare e rigenerare ciò che è rimasto. Il vuoto, che si eleva quindi a luogo privilegiato della sperimentazione contemporanea, è stato finora trascurato da quella tendenza aggressiva di occupazione del suolo della cosiddetta città dappertutto. A causa della notevole estensione della città, data la discontinuità delle singole parti che la compongono e come esito della dismissione di vaste aree, all’interno della realtà metropolitana contemporanea il ruolo degli spazi vuoti è divenuto preminente. Per definire il vuoto, che nella città rappresenta il luogo delle relazioni, è necessario ricorrere alla categoria dell’informe; è infatti possibile individuarne i “limiti” e indicarne una generica estensione, è possibile anche ritrovare certe logiche funzionali e formali, ma risulta difficile ricondurlo a una determinata misura, selezionarne i caratteri e identificarne le figure. Affinché si ristabilisca il significato del luogo e si ripristini il dialogo con il contesto, ci si deve innanzitutto rivolgere alle caratteristiche di incompiutezza, residualità e genericità di questi spazi, ossia all’idea di informe. Bernardo Secchi definisce il vuoto come spazio tra le cose e scrive: “La città, il territorio sono divenuti immense collezioni di oggetti paratatticamente accostati e muti (…) Lo spazio che sta “tra le cose”, tra oggetti e soggetti tra loro prossimi, tra la mia casa e quella del mio vicino, tra la mia e la loro casa, tra la loro e la mia scuola, tra il loro ed il mio ufficio (…) è divenuto “vuoto” perché privo di un ruolo riconoscibile. Il progetto del vuoto irrisolto viene considerato come un’occasione irrinunciabile al fine di ricostruire il significato, la struttura, l’architettura dei paesaggi urbani stravolti dalla “disattenzione”.3 E’ quindi necessario che la ricomposizione dei vuoti generici e irrisolti parta dalla comprensione dei nuovi ruoli urbani che essi possono assumere nella struttura della città in funzione della loro posizione e delle relazioni che essi possono costruire (o ricostruire) tra ciò che li circonda o si affaccia su di essi. I luoghi di tale sperimentazione non si configurano quali momenti dalla forte connotazione architettonica, bensì si presteranno al ruolo di “universo delle relazioni”: è il primato assoluto dello spazio sull’architettura eccentrica, dei luoghi “di complemento” rispetto alle realtà costruite, di un approccio sensibile rispetto al gratuitismo formale. “E’ una fondamentale visione del mondo. Essa ci dice che quando si costruisce una cosa, non si può semplicemente costruire quella cosa isolata, ma bisogna anche riparare il mondo intorno ad essa e all’interno di essa, in modo che il mondo che la ingloba diventi più coerente e complesso, e la cosa che si realizza, così fatta, prenda il suo posto nella rete della natura”. Così Christopher Alexander sostiene come la sostanza di ogni architettura debba trarre origine dal suo intorno e consolidarsi nei rapporti e nei contatti che instaura con il contesto. Tali condizioni di genericità e incompiutezza non si riscontrano unicamente ai margini delle città, ma anche in molte della sue parti centrali. La ricerca si concentra proprio su questi vuoti puntuali, su questi “spazi tra le cose”, e in particolare sulla loro natura composita, e sulla loro dislocazione all’interno di una stratificazione spaziale. Di molti di questi è ancora riconoscibile l’architettura, consentendo di operare una classificazione all’interno di categorie storicamente consolidate sia dal punto di vista tipologico sia dal punto di vista morfologico. Una strategia che intervenga sul centro consolidato di questa “Milano per parti” dovrà necessariamente ricercare “momenti di sintesi”, in cui la percezione della città possa risultare riconducibile a un tutto di riferimento gerarchicamente superiore, un tutto in cui quelle parti possano entrare in una relazione di scambio, in un sistema di cerniere fra tessuti urbani diversi. Dunque il vuoto, carico di segni e opportunità, è la più interessante occasione di rigenerazione del paesaggio urbano contemporaneo; la ricomposizione di questi luoghi diventa la più importante responsabilità del progettista, per il quale costruire significa avere cura delle relazioni e delle necessità che legano gli spazi alle persone.

Abitare il muro. Nuova connessione tra città, ex Piscina Caimi e teatro Franco Parenti

FRASSINETI, GIULIA
2014/2015

Abstract

“Definisco il vuoto come un concetto che non può essere identificato, come spesso avviene, con lo spazio come ‘luogo non occupato’. Il vuoto è qualcosa che si ottiene (come succede in Fisica, il vuoto non esiste), è una risposta estetica legata alla fase di ‘disoccupazione’ spaziale. Il vuoto viene a essere la presenza di un’assenza. Lo spazio vuoto come appartamento spirituale, come ricettività (termine che si contrappone a quello di espressività, allo stesso modo in cui il concavo sta al convesso), lo spazio vuoto dunque come barriera e neutralizzazione o difesa dall’aggressività esteriore dell’espressività e dei cinetismi, a favore dell’uomo” Jorge Oteiza Questa tesi nasce dalla convinzione che l’architettura della città sia anche e soprattutto l’architettura dei suoi vuoti. La ricerca parte dalla lettura e dall’interpretazione di questi “paesaggi di dispersione”: non c’è più spazio disponibile per costruire il nuovo, bisogna lavorare “nel mezzo”, per recuperare e rigenerare ciò che è rimasto. Il vuoto, che si eleva quindi a luogo privilegiato della sperimentazione contemporanea, è stato finora trascurato da quella tendenza aggressiva di occupazione del suolo della cosiddetta città dappertutto. A causa della notevole estensione della città, data la discontinuità delle singole parti che la compongono e come esito della dismissione di vaste aree, all’interno della realtà metropolitana contemporanea il ruolo degli spazi vuoti è divenuto preminente. Per definire il vuoto, che nella città rappresenta il luogo delle relazioni, è necessario ricorrere alla categoria dell’informe; è infatti possibile individuarne i “limiti” e indicarne una generica estensione, è possibile anche ritrovare certe logiche funzionali e formali, ma risulta difficile ricondurlo a una determinata misura, selezionarne i caratteri e identificarne le figure. Affinché si ristabilisca il significato del luogo e si ripristini il dialogo con il contesto, ci si deve innanzitutto rivolgere alle caratteristiche di incompiutezza, residualità e genericità di questi spazi, ossia all’idea di informe. Bernardo Secchi definisce il vuoto come spazio tra le cose e scrive: “La città, il territorio sono divenuti immense collezioni di oggetti paratatticamente accostati e muti (…) Lo spazio che sta “tra le cose”, tra oggetti e soggetti tra loro prossimi, tra la mia casa e quella del mio vicino, tra la mia e la loro casa, tra la loro e la mia scuola, tra il loro ed il mio ufficio (…) è divenuto “vuoto” perché privo di un ruolo riconoscibile. Il progetto del vuoto irrisolto viene considerato come un’occasione irrinunciabile al fine di ricostruire il significato, la struttura, l’architettura dei paesaggi urbani stravolti dalla “disattenzione”.3 E’ quindi necessario che la ricomposizione dei vuoti generici e irrisolti parta dalla comprensione dei nuovi ruoli urbani che essi possono assumere nella struttura della città in funzione della loro posizione e delle relazioni che essi possono costruire (o ricostruire) tra ciò che li circonda o si affaccia su di essi. I luoghi di tale sperimentazione non si configurano quali momenti dalla forte connotazione architettonica, bensì si presteranno al ruolo di “universo delle relazioni”: è il primato assoluto dello spazio sull’architettura eccentrica, dei luoghi “di complemento” rispetto alle realtà costruite, di un approccio sensibile rispetto al gratuitismo formale. “E’ una fondamentale visione del mondo. Essa ci dice che quando si costruisce una cosa, non si può semplicemente costruire quella cosa isolata, ma bisogna anche riparare il mondo intorno ad essa e all’interno di essa, in modo che il mondo che la ingloba diventi più coerente e complesso, e la cosa che si realizza, così fatta, prenda il suo posto nella rete della natura”. Così Christopher Alexander sostiene come la sostanza di ogni architettura debba trarre origine dal suo intorno e consolidarsi nei rapporti e nei contatti che instaura con il contesto. Tali condizioni di genericità e incompiutezza non si riscontrano unicamente ai margini delle città, ma anche in molte della sue parti centrali. La ricerca si concentra proprio su questi vuoti puntuali, su questi “spazi tra le cose”, e in particolare sulla loro natura composita, e sulla loro dislocazione all’interno di una stratificazione spaziale. Di molti di questi è ancora riconoscibile l’architettura, consentendo di operare una classificazione all’interno di categorie storicamente consolidate sia dal punto di vista tipologico sia dal punto di vista morfologico. Una strategia che intervenga sul centro consolidato di questa “Milano per parti” dovrà necessariamente ricercare “momenti di sintesi”, in cui la percezione della città possa risultare riconducibile a un tutto di riferimento gerarchicamente superiore, un tutto in cui quelle parti possano entrare in una relazione di scambio, in un sistema di cerniere fra tessuti urbani diversi. Dunque il vuoto, carico di segni e opportunità, è la più interessante occasione di rigenerazione del paesaggio urbano contemporaneo; la ricomposizione di questi luoghi diventa la più importante responsabilità del progettista, per il quale costruire significa avere cura delle relazioni e delle necessità che legano gli spazi alle persone.
Maglio, Sandra
ARC I - Scuola di Architettura e Società
24-lug-2015
2014/2015
Tesi di laurea Magistrale
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