There are two different stories behind this project. One of them is the Old Borletti Factory. Hidden between Via Constanza, Via Romolo Gessi and Via Andrea Cecchi, it is actually a building in a state of abandonment, smothered by a wall, a gate and some barbed wire. Its story starts from the beginning of the last century, when Borletti, famous for its excellence in precision engineering, has become one of the most influential brands in the industrial scene in Milan, lasting till the end of the 20th century, when the factory was definitely abandoned. The other story takes place in the multicultural Milan. A sociological reflection points out that there is a very significant number of immigrants from Eastern Europe but an inadequate cultural offer. The hypothesis of a “re-development” starts from the desire to mix two different disciplines: architecture and society. The target is focused on opening the factory to the city and make it a meeting point for a very active part of the population in the territory, showing its culture that still seems far away from a global integration and cooperation; at the same time it pretends to become a reference point for that part of the population that looks for straight and direct contacts with their own culture . The factory becomes a free space to discover, where to meet other people, and learn about their history and tradition. The old factory is now a place for culture, by the inclusion of new features such as a big market, a school, a library, a restaurant and meeting rooms. The thesis therefore becomes a big chance to reflect on the matter of the reactivation of forgotten spaces and the potential of architecture within social dynamics.

Due racconti che s’intrecciano, due muri che si abbattono. Da una parte c’è l’Officina Meccanica Borletti, un tassello del patrimonio abbandonato di Milano. Celato tra via Costanza, via Romolo Gessi e via Andrea Cecchi, appare come un edificio in evidente stato di abbandono, soffocato da un muro, un cancello e del filo spinato. La sua storia prende avvio agli inizi del secolo scorso, quando il marchio Borletti, eccellenza della meccanica di precisione, si afferma come una delle voci più autorevoli dello scenario industriale milanese, perdura per tutto il Novecento, fino agli anni Novanta, quando la Fabbrica viene dismessa. Dall’altra parte c’è una riflessione sociologica che parte dall’analisi della Milano multiculturale dove la percentuale di immigrati provenienti dall’oriente europeo è preponderante eppure minoritaria dal punto di vista dell’offerta culturale. L’ipotesi di riqualificazione parte, allora, dalla volontà di intrecciare diversi ambiti disciplinari: l’architettura e la società. Si vuole aprire la Fabbrica, alla città, in primo luogo e farla diventare un punto di incontro con una parte della popolazione fortemente attiva sul territorio, portatrice di una cultura che pare, tuttavia, essere lontana. Al contempo essa diventa un punto di riferimento per quella parte di popolazione che cerca un contatto diretto con la propria cultura di origine. Il progetto abbatte dei muri, reali e metaforici, lavorando principalmente per sottrazione, liberazione dello spazio, ripristino delle condizioni tipologiche iniziali di progetto. La Fabbrica diventa uno spazio da attraversare, dove incontrare l’altro, conoscerne la storia, le tradizioni. Il vecchio spazio si rinnova come luogo destinato alla cultura, declinata nel suo senso più ampio, tramite l’inserimento di nuove funzioni quali un mercato, una scuola, una biblioteca, un ristorante e un forum polifunzionale, dove intrecciare relazioni. Questa ricerca di incontro dell’altro e partecipazione condivisa si traduce nel progetto degli spazi interni e degli elementi di arredo. La tesi diventa, allora, occasione per riflettere sul tema della riattivazione dello spazio dimenticato e sulle potenzialità dell’architettura all’interno delle dinamiche sociali.

Al di là del muro. Milano incontra l'Oriente europeo alla Fabbrica Borletti

DRUMCEA, MADALINA
2014/2015

Abstract

There are two different stories behind this project. One of them is the Old Borletti Factory. Hidden between Via Constanza, Via Romolo Gessi and Via Andrea Cecchi, it is actually a building in a state of abandonment, smothered by a wall, a gate and some barbed wire. Its story starts from the beginning of the last century, when Borletti, famous for its excellence in precision engineering, has become one of the most influential brands in the industrial scene in Milan, lasting till the end of the 20th century, when the factory was definitely abandoned. The other story takes place in the multicultural Milan. A sociological reflection points out that there is a very significant number of immigrants from Eastern Europe but an inadequate cultural offer. The hypothesis of a “re-development” starts from the desire to mix two different disciplines: architecture and society. The target is focused on opening the factory to the city and make it a meeting point for a very active part of the population in the territory, showing its culture that still seems far away from a global integration and cooperation; at the same time it pretends to become a reference point for that part of the population that looks for straight and direct contacts with their own culture . The factory becomes a free space to discover, where to meet other people, and learn about their history and tradition. The old factory is now a place for culture, by the inclusion of new features such as a big market, a school, a library, a restaurant and meeting rooms. The thesis therefore becomes a big chance to reflect on the matter of the reactivation of forgotten spaces and the potential of architecture within social dynamics.
ARNALDI, ARNALDO
GIANOTTI, PIERPAOLO
ARC I - Scuola di Architettura e Società
18-dic-2015
2014/2015
Due racconti che s’intrecciano, due muri che si abbattono. Da una parte c’è l’Officina Meccanica Borletti, un tassello del patrimonio abbandonato di Milano. Celato tra via Costanza, via Romolo Gessi e via Andrea Cecchi, appare come un edificio in evidente stato di abbandono, soffocato da un muro, un cancello e del filo spinato. La sua storia prende avvio agli inizi del secolo scorso, quando il marchio Borletti, eccellenza della meccanica di precisione, si afferma come una delle voci più autorevoli dello scenario industriale milanese, perdura per tutto il Novecento, fino agli anni Novanta, quando la Fabbrica viene dismessa. Dall’altra parte c’è una riflessione sociologica che parte dall’analisi della Milano multiculturale dove la percentuale di immigrati provenienti dall’oriente europeo è preponderante eppure minoritaria dal punto di vista dell’offerta culturale. L’ipotesi di riqualificazione parte, allora, dalla volontà di intrecciare diversi ambiti disciplinari: l’architettura e la società. Si vuole aprire la Fabbrica, alla città, in primo luogo e farla diventare un punto di incontro con una parte della popolazione fortemente attiva sul territorio, portatrice di una cultura che pare, tuttavia, essere lontana. Al contempo essa diventa un punto di riferimento per quella parte di popolazione che cerca un contatto diretto con la propria cultura di origine. Il progetto abbatte dei muri, reali e metaforici, lavorando principalmente per sottrazione, liberazione dello spazio, ripristino delle condizioni tipologiche iniziali di progetto. La Fabbrica diventa uno spazio da attraversare, dove incontrare l’altro, conoscerne la storia, le tradizioni. Il vecchio spazio si rinnova come luogo destinato alla cultura, declinata nel suo senso più ampio, tramite l’inserimento di nuove funzioni quali un mercato, una scuola, una biblioteca, un ristorante e un forum polifunzionale, dove intrecciare relazioni. Questa ricerca di incontro dell’altro e partecipazione condivisa si traduce nel progetto degli spazi interni e degli elementi di arredo. La tesi diventa, allora, occasione per riflettere sul tema della riattivazione dello spazio dimenticato e sulle potenzialità dell’architettura all’interno delle dinamiche sociali.
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/116366