Nella definizione di territorio data da André Corboz, territorio come palinsesto, il territorio deve essere letto alla luce delle tracce del passato e come il prodotto delle lentissime stratificazioni che si sono succedute nel corso del tempo. La doppia manifestazione di ambiente segnato dall’uomo da un lato e di luogo di relazione psichica privilegiata con la natura, fa si che sia un’ entità molto complessa da analizzare. Il territorio sud occidentale della Sardegna, che solo dieci anni fa ha assunto una sua autonomia politica, con l’istituzione della provincia Carbonia-Iglesias, porta i segni dell’attività dell’uomo sul suo territorio nel corso dei secoli. Le tracce della storia mineraria che ha segnato la vita della regione a partire dall’età nuragica fino quasi ai giorni nostri, hanno dato luogo a vere e proprie rovine contemporanee. Diverse crisi del settore si sono verificate nei secoli, fino a quella decisiva, che nei primi anni ‘90 ha portato alla cessazione di tutte le attività, facendo sprofonadare l’area del Sulcis-Iglesiente al rango di provincia più povera d’Italia. La smobilitazione della Sardegna mineraria, porta non solo ad un tasso mai raggiunto di disoccupazione, con il conseguente tracollo delle comunità cittadine, ma anche ad uno stato di totale abbandono e disamore nei confronti di quel territorio che per anni aveva ospitato l’apparato industriale e economico dell’intera provincia. Il territorio del Sulcis, è rimasto portatore di una serie di valori culturali, identificati oggi in una costellazione di architetture industriali che contribuiscono a dare forma al paesaggio, luoghi della memoria collettiva, macerie, che nella dissoluzione del nesso tra funzione e forma possono essere rilette attribuendogli un valore artistico-architettonico, alla luce del quale si può ritrovare un nuovo rapporto con questi stessi luoghi. Queste opere che si impongono prepotentemente sul paesaggio, sono diventate obsolete e superate da tutti i punti di vista, ma elevandole al rango di rovina, si può in un qualche modo rafforzare ulteriormente la loro presenza sul paesaggio, legandole alla memoria condivisa e ad un processo di riappropriazione, necessario per evitare che queste strutture occupino e modellino il paesaggio senza avere un ruolo attivo sul territorio. Dalla rovina, intorno alla sua immagine iconica, si indaga la possibilità di uno spazio pubblico condiviso e collettivo per la comunità, al di fuori dai limiti della città. Il percorso di ricerca che ho deciso di seguiure per la formulazione del progetto di tesi, parte da un’excursus sulle diverse interpretazioni e rappresentazioni della rovina architettonica. Questo studio mi ha portato ad individuare nella rovina, che sia essa dell’antichità o appartenente al più recente passato industriale, non solo un’icona o un’immagine suggestiva, ma un’esperienza estetica soggettiva, che ci lega al tempo, al paesaggio e alla memoria. In funzione di questo, nel mio progetto, , le emergenze architettoniche industriali vengono lasciate inalterate, soggette come sono alla progressiva azione di modificazione e al dialogo con la natura e con il tempo. Lo spazio privilegiato di intervento sarà invece il luogo “tra” questi elementi iconici, con la creazione di nuove dinamiche di attraversamento e percezione dello spazio, per una parziale riconfigurazione del territorio del Sulcis. Questo processo di riconfigurazione passa attraverso la valorizzazione del patrimonio di questi paesaggi dal fascino decadente, con la costruzione di una serie di visuali privilegiate sulle stesso, ottenute attraverso il progetto di dispositivi spaziali, all’interno dei siti dominati dagli scheletri delle architetture industruali, che possono aiutarci a eleborare una nuova lettura del territorio, e a creare nuove forme di percezione e conoscenza dello stesso. Per favorire queste dinamiche di rappropriazione e fruizione del territorio, questi elementi devono assumera la forma di dispositivi spaziali semplici, operazioni di manipolazione del terreno, che lascino un alto livello di libertà. Elementi semplici per l’esplorazione spaziale e l’indagine del territorio che possono essere definite playscapes, strutture che, nell’accezione di Isamu Noguchi, si liberano di tanti gradi di vincolo per intervenire sul movimento nello spazio. Tramite questi nuovi segni architettonici che si sovrappongono a quelli già presenti e abbandonati sul territorio, si può sperimentare una diversa fruizione dello spazio. Il progetto prova a risolvere nel territorio del Sulcis il problema di relazione tra le iconiche emergenze architettonche in decadimento e il paesaggio circostante, inserendo anche la possibilità di un vero spazio pubblico fondato sui resti di una memoria condivisa, che passa per una modalità di appropriazione dello spazio nuova e inconsueta.
Campo di segni. Paesaggi in rovina : post-produzione di un paesaggio industriale nel sud della Sardegna
RASENTI, FEDERICA
2014/2015
Abstract
Nella definizione di territorio data da André Corboz, territorio come palinsesto, il territorio deve essere letto alla luce delle tracce del passato e come il prodotto delle lentissime stratificazioni che si sono succedute nel corso del tempo. La doppia manifestazione di ambiente segnato dall’uomo da un lato e di luogo di relazione psichica privilegiata con la natura, fa si che sia un’ entità molto complessa da analizzare. Il territorio sud occidentale della Sardegna, che solo dieci anni fa ha assunto una sua autonomia politica, con l’istituzione della provincia Carbonia-Iglesias, porta i segni dell’attività dell’uomo sul suo territorio nel corso dei secoli. Le tracce della storia mineraria che ha segnato la vita della regione a partire dall’età nuragica fino quasi ai giorni nostri, hanno dato luogo a vere e proprie rovine contemporanee. Diverse crisi del settore si sono verificate nei secoli, fino a quella decisiva, che nei primi anni ‘90 ha portato alla cessazione di tutte le attività, facendo sprofonadare l’area del Sulcis-Iglesiente al rango di provincia più povera d’Italia. La smobilitazione della Sardegna mineraria, porta non solo ad un tasso mai raggiunto di disoccupazione, con il conseguente tracollo delle comunità cittadine, ma anche ad uno stato di totale abbandono e disamore nei confronti di quel territorio che per anni aveva ospitato l’apparato industriale e economico dell’intera provincia. Il territorio del Sulcis, è rimasto portatore di una serie di valori culturali, identificati oggi in una costellazione di architetture industriali che contribuiscono a dare forma al paesaggio, luoghi della memoria collettiva, macerie, che nella dissoluzione del nesso tra funzione e forma possono essere rilette attribuendogli un valore artistico-architettonico, alla luce del quale si può ritrovare un nuovo rapporto con questi stessi luoghi. Queste opere che si impongono prepotentemente sul paesaggio, sono diventate obsolete e superate da tutti i punti di vista, ma elevandole al rango di rovina, si può in un qualche modo rafforzare ulteriormente la loro presenza sul paesaggio, legandole alla memoria condivisa e ad un processo di riappropriazione, necessario per evitare che queste strutture occupino e modellino il paesaggio senza avere un ruolo attivo sul territorio. Dalla rovina, intorno alla sua immagine iconica, si indaga la possibilità di uno spazio pubblico condiviso e collettivo per la comunità, al di fuori dai limiti della città. Il percorso di ricerca che ho deciso di seguiure per la formulazione del progetto di tesi, parte da un’excursus sulle diverse interpretazioni e rappresentazioni della rovina architettonica. Questo studio mi ha portato ad individuare nella rovina, che sia essa dell’antichità o appartenente al più recente passato industriale, non solo un’icona o un’immagine suggestiva, ma un’esperienza estetica soggettiva, che ci lega al tempo, al paesaggio e alla memoria. In funzione di questo, nel mio progetto, , le emergenze architettoniche industriali vengono lasciate inalterate, soggette come sono alla progressiva azione di modificazione e al dialogo con la natura e con il tempo. Lo spazio privilegiato di intervento sarà invece il luogo “tra” questi elementi iconici, con la creazione di nuove dinamiche di attraversamento e percezione dello spazio, per una parziale riconfigurazione del territorio del Sulcis. Questo processo di riconfigurazione passa attraverso la valorizzazione del patrimonio di questi paesaggi dal fascino decadente, con la costruzione di una serie di visuali privilegiate sulle stesso, ottenute attraverso il progetto di dispositivi spaziali, all’interno dei siti dominati dagli scheletri delle architetture industruali, che possono aiutarci a eleborare una nuova lettura del territorio, e a creare nuove forme di percezione e conoscenza dello stesso. Per favorire queste dinamiche di rappropriazione e fruizione del territorio, questi elementi devono assumera la forma di dispositivi spaziali semplici, operazioni di manipolazione del terreno, che lascino un alto livello di libertà. Elementi semplici per l’esplorazione spaziale e l’indagine del territorio che possono essere definite playscapes, strutture che, nell’accezione di Isamu Noguchi, si liberano di tanti gradi di vincolo per intervenire sul movimento nello spazio. Tramite questi nuovi segni architettonici che si sovrappongono a quelli già presenti e abbandonati sul territorio, si può sperimentare una diversa fruizione dello spazio. Il progetto prova a risolvere nel territorio del Sulcis il problema di relazione tra le iconiche emergenze architettonche in decadimento e il paesaggio circostante, inserendo anche la possibilità di un vero spazio pubblico fondato sui resti di una memoria condivisa, che passa per una modalità di appropriazione dello spazio nuova e inconsueta.File | Dimensione | Formato | |
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