Il consumo violento di suolo è un problema che, ormai da cinquanta anni, investe tutto il territorio Italiano. Negli ultimi anni si è posta sempre più attenzione sull’esigenza di riciclare parti di città al fine di contenere questo problema. Dapprima si è iniziato a guardare ai luoghi abbandonati sede di storia e memoria, che un tempo erano parte attiva nello sviluppo della città, ma che per cambiamenti nei nostri stili di vita e nel nostro modo di produrre sono diventati luoghi dimenticati, luoghi scartati. Ma cosa dire di quei luoghi che non sono mai entrati a far parte della memoria della cittadinanza perché mai terminati? O di quei luoghi che si è cercato di riattivare, recuperando il loro scheletro strutturale, ma che versano ora in uno stato di incompiutezza, in bilico tra un passato dimenticato e un futuro incerto? Il fenomeno delle opere edilizie incompiute è un fattore tipicamente italiano, un problema che investe tutto il territorio. Lo stesso termine Ecomostro, che spesso viene utilizzato nel gergo comune per indicare questo tipo di opere, è stato coniato da Legambiente e non è traducibile in altre lingue. È però un fenomeno di cui troppo spesso ci si vuole dimenticare, perché emblema di un sistema che non funziona, vergogna di investitori privati e amministrazioni pubbliche. La presenza di queste opere in maniera diffusa sul territorio, rappresenta un problema ambientale e sociale davanti a cui non è più possibile rimanere indifferenti. Se poi si pensa che, da quanto emerge dall’Anagrafe Opere Incompiute pubblicata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, gli incompiuti italiani relativi all’anno 2014 sono 868, è facile capire come queste opere possano rappresentare un vero e proprio patrimonio, se solo si cominciasse a pensarli in modo propositivo come luoghi aperti a diverse possibilità. Alla base di questo problema stanno spesso questioni speculative, economiche e politiche. Sorge quindi spontanea la domanda: noi, in quanto architetti, cosa possiamo fare? Un primo passo è quello del riconoscimento della loro presenza, sono infatti nati negli ultimi anni diversi gruppi e associazioni di cittadini che cercano di puntare il dito verso questo fenomeno, soprattutto attraverso siti internet e con lo strumento del crowdsourcing. In secondo luogo è indispensabile capire come potersi muovere per far sì che essi diventino risorsa e parte attiva per lo sviluppo della comunità. La mole e lo stato di fatiscenza che spesso caratterizza questi ecomostri rendono spesso complesso e oneroso il loro recupero. Il nostro obiettivo è quindi quello di individuare un processo alternativo al semplice progetto architettonico di completamento. Un processo che sia in grado di instaurare dinamiche positive e propositive, capaci di incentivare e semplificare il processo di riconversione di queste aree. La strategia da noi individuata per far fronte alle difficoltà date dal recupero di questi scarti si compone di diversi interventi che, operando per fasi successive e sulla razionalizzazione dell’immobile, permettono di sviluppare differenti scenari di recupero: a partire dalla valorizzazione del rudere e della sua messa in sicurezza fino ad una sua completa riconfigurazione. Individuare degli scenari che si compongono nel tempo, fatti di interventi minimi ed economicamente sostenibili, può diventare un’occasione per rianimare cadaveri architettonici che altrimenti rimarrebbero in attesa fino ad un destino definitivo, sia esso di demolizione o di riuso. Un approccio per fasi permette quindi di comprendere le potenzialità del rudere anche nel breve periodo. Questo viene infatti pensato fin da subito come parte attiva di un processo di valorizzazione che ne prevede la riattivazione al fine di una sua restituzione alla collettività, indipendentemente dal completamento o meno di tutte le fasi. Al fine di dimostrare l’efficacia della strategia, se ne propone l’applicazione a un caso esemplificativo: gli incompiuti Laboratori di Sanità Pubblica della città di Biella. L’edificio, di proprietà dell’ASL di Biella, compare nell’elenco dell’Anagrafe opere incompiute della Regione Piemonte, presentandosi allo stato attuale con la sola struttura in travi e pilastri di calcestruzzo armato completata da solai tipo “predalles”. Esso rappresenta un tipico esempio di opera “all’italiana”: il cantiere, avviato negli anni ’80 e costato oltre 7 miliardi di lire, venne bloccato dalla magistratura con tanto di arresti, processi e assoluzioni. L’opera, nonostante le numerose proposte di recupero, non venne mai completata e versa in uno stato di totale abbandono, in attesa di un futuro ormai necessario. Essa è percepita come un peso dai proprietari che, non trovando idee e investimenti per il suo riutilizzo, ne chiedono la definitiva alienazione. Per questo motivo è necessario ragionare su un processo progettuale che renda l’intervento realizzabile per fasi successive e con un basso investimento economico iniziale. Un progetto aperto, in grado di affrontare l’imprevedibile variabilità del domani, soddisfacendo le esigenze dell’oggi. Una proposta alternativa alla demolizione, processo delicato e oneroso, che promuova il recupero di una parte di città scartata e volutamente dimenticata offrendo una concreta possibilità di redenzione a uno di quei monumenti allo spreco italiani.

Riabilitare lo scarto. Bioclimatica e verde nel processo di riscrittura di un rudere contemporaneo

FEDERICO, GIULIA;CAITI, GLORIA
2014/2015

Abstract

Il consumo violento di suolo è un problema che, ormai da cinquanta anni, investe tutto il territorio Italiano. Negli ultimi anni si è posta sempre più attenzione sull’esigenza di riciclare parti di città al fine di contenere questo problema. Dapprima si è iniziato a guardare ai luoghi abbandonati sede di storia e memoria, che un tempo erano parte attiva nello sviluppo della città, ma che per cambiamenti nei nostri stili di vita e nel nostro modo di produrre sono diventati luoghi dimenticati, luoghi scartati. Ma cosa dire di quei luoghi che non sono mai entrati a far parte della memoria della cittadinanza perché mai terminati? O di quei luoghi che si è cercato di riattivare, recuperando il loro scheletro strutturale, ma che versano ora in uno stato di incompiutezza, in bilico tra un passato dimenticato e un futuro incerto? Il fenomeno delle opere edilizie incompiute è un fattore tipicamente italiano, un problema che investe tutto il territorio. Lo stesso termine Ecomostro, che spesso viene utilizzato nel gergo comune per indicare questo tipo di opere, è stato coniato da Legambiente e non è traducibile in altre lingue. È però un fenomeno di cui troppo spesso ci si vuole dimenticare, perché emblema di un sistema che non funziona, vergogna di investitori privati e amministrazioni pubbliche. La presenza di queste opere in maniera diffusa sul territorio, rappresenta un problema ambientale e sociale davanti a cui non è più possibile rimanere indifferenti. Se poi si pensa che, da quanto emerge dall’Anagrafe Opere Incompiute pubblicata dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, gli incompiuti italiani relativi all’anno 2014 sono 868, è facile capire come queste opere possano rappresentare un vero e proprio patrimonio, se solo si cominciasse a pensarli in modo propositivo come luoghi aperti a diverse possibilità. Alla base di questo problema stanno spesso questioni speculative, economiche e politiche. Sorge quindi spontanea la domanda: noi, in quanto architetti, cosa possiamo fare? Un primo passo è quello del riconoscimento della loro presenza, sono infatti nati negli ultimi anni diversi gruppi e associazioni di cittadini che cercano di puntare il dito verso questo fenomeno, soprattutto attraverso siti internet e con lo strumento del crowdsourcing. In secondo luogo è indispensabile capire come potersi muovere per far sì che essi diventino risorsa e parte attiva per lo sviluppo della comunità. La mole e lo stato di fatiscenza che spesso caratterizza questi ecomostri rendono spesso complesso e oneroso il loro recupero. Il nostro obiettivo è quindi quello di individuare un processo alternativo al semplice progetto architettonico di completamento. Un processo che sia in grado di instaurare dinamiche positive e propositive, capaci di incentivare e semplificare il processo di riconversione di queste aree. La strategia da noi individuata per far fronte alle difficoltà date dal recupero di questi scarti si compone di diversi interventi che, operando per fasi successive e sulla razionalizzazione dell’immobile, permettono di sviluppare differenti scenari di recupero: a partire dalla valorizzazione del rudere e della sua messa in sicurezza fino ad una sua completa riconfigurazione. Individuare degli scenari che si compongono nel tempo, fatti di interventi minimi ed economicamente sostenibili, può diventare un’occasione per rianimare cadaveri architettonici che altrimenti rimarrebbero in attesa fino ad un destino definitivo, sia esso di demolizione o di riuso. Un approccio per fasi permette quindi di comprendere le potenzialità del rudere anche nel breve periodo. Questo viene infatti pensato fin da subito come parte attiva di un processo di valorizzazione che ne prevede la riattivazione al fine di una sua restituzione alla collettività, indipendentemente dal completamento o meno di tutte le fasi. Al fine di dimostrare l’efficacia della strategia, se ne propone l’applicazione a un caso esemplificativo: gli incompiuti Laboratori di Sanità Pubblica della città di Biella. L’edificio, di proprietà dell’ASL di Biella, compare nell’elenco dell’Anagrafe opere incompiute della Regione Piemonte, presentandosi allo stato attuale con la sola struttura in travi e pilastri di calcestruzzo armato completata da solai tipo “predalles”. Esso rappresenta un tipico esempio di opera “all’italiana”: il cantiere, avviato negli anni ’80 e costato oltre 7 miliardi di lire, venne bloccato dalla magistratura con tanto di arresti, processi e assoluzioni. L’opera, nonostante le numerose proposte di recupero, non venne mai completata e versa in uno stato di totale abbandono, in attesa di un futuro ormai necessario. Essa è percepita come un peso dai proprietari che, non trovando idee e investimenti per il suo riutilizzo, ne chiedono la definitiva alienazione. Per questo motivo è necessario ragionare su un processo progettuale che renda l’intervento realizzabile per fasi successive e con un basso investimento economico iniziale. Un progetto aperto, in grado di affrontare l’imprevedibile variabilità del domani, soddisfacendo le esigenze dell’oggi. Una proposta alternativa alla demolizione, processo delicato e oneroso, che promuova il recupero di una parte di città scartata e volutamente dimenticata offrendo una concreta possibilità di redenzione a uno di quei monumenti allo spreco italiani.
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
26-apr-2016
2014/2015
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/121658