The representation of the interior spaces and more generally of architecture makes use of a) plants, b) high and outs or sections, c) photographs. Individually and together, these tools are unable to fully represent the architectural space. The discovery of cinematography is immense scope for the representation of architectural spaces because, if applied well, it solves virtually all the problems from the fourth dimension. However, one thing is to sit in the chair of a theater and see from a single point of view of the actors moving, quite another to live and act on the stage of life. Missing, even in cinematic representation, that of full participation in the spring, the source of the will and the consciousness of freedom that we experience in the direct experience of space. We are to be included, becoming and feeling part and spatial organization meter, we ourselves wander. In this essay we will investigate the power of knowing that the camera has on real, exploring it and restructuring it according to the expressive needs of their films; and the nature of the relationship that is so iconic to exist between reality and image. Scenic architectures used by Stanley Kubrick are represented by a sublime directorial technique that carries us viewers within the film. But the British filmmaker goes much further, allowing us to experience these spaces in person overcoming the barrier of space-time sets the screen. It allows us to range ourselves in Nineteenth room of 2001, in Milkova Bar with Alex and the droogs in A Clockwork Orange, in the corridors of the Overlook Hotel in The Shining, in the barracks of Full Metal Jacket, in the Bill’s apartment in Eyes Wide Shut. The aim is to understand how the expressive power of the images references to space and how the space acquires meaning, charging lived for the viewer through the influence of the characters on stage. Like the character find his identity in a given space designed exclusively for him and make us an integral part of it.

Il metodo di rappresentazione degli spazi interni e più in generale dell’architettura si avvale di a) piante, b) elevati e spaccati o sezioni, c) fotografie. Singolarmente e nel loro insieme, questi strumenti sono incapaci di rappresentare compiutamente lo spazio architettonico. La scoperta della cinematografia è di immensa portata per la rappresentazione degli spazi architettonici perché, se applicata bene, essa risolve praticamente tutti i problemi posti dalla quarta dimensione. Tuttavia, una cosa è stare seduto nella poltrona di un teatro e vedere da un unico punto di vista gli attori che si muovono, un’altra è vivere e agire sulla scena della vita. Manca, anche nella rappresentazione cinematografica, quella molla di completa partecipazione, quel motivo di volontà e quella coscienza di libertà che noi proviamo nell’esperienza diretta dello spazio. Dobbiamo noi essere inclusi, divenire e sentirci parte e metro dell’organismo spaziale, dobbiamo noi stessi spaziare. In questo saggio si vorrà indagare sul potere conoscitivo che la macchina da presa esercita sul reale, esplorandolo e ristrutturandolo in funzione delle esigenze espressive proprie del film; e alla natura della relazione iconica che viene così a instaurarsi fra realtà e immagine. Le architetture sceniche utilizzate da Stanley Kubrick sono rappresentate tramite una tecnica registica sublime che trasporta noi spettatori all’interno del film. Ma il regista britannico va ben oltre, ci permette di vivere tali spazi in prima persona superando la barriera dello spazio-tempo imposta dallo schermo. Ci permette di spaziare noi stessi nella stanza Ottocentesca di 2001, nel Milkova Bar con Alex e i drughi in Arancia Meccanica, nei corridoi dell’Overlook Hotel in Shining, nella caserma di Full Metal Jacket, nell’appartamento di Bill in Eyes Wide Shut. Ci si propone di comprendere come la forza espressiva delle immagini rimandi allo spazio e come quest’ultimo acquisisca significato, carica vissuta per lo spettatore attraverso l’influenza dei personaggi in scena. Come il personaggio trovi la sua identità in un determinato spazio progettato unicamente per lui e ci renda parte integrante di esso.

Overlook. Inventario sull’identità uomo-spazio in Stanley Kubrick

TESTA, SIMONE
2015/2016

Abstract

The representation of the interior spaces and more generally of architecture makes use of a) plants, b) high and outs or sections, c) photographs. Individually and together, these tools are unable to fully represent the architectural space. The discovery of cinematography is immense scope for the representation of architectural spaces because, if applied well, it solves virtually all the problems from the fourth dimension. However, one thing is to sit in the chair of a theater and see from a single point of view of the actors moving, quite another to live and act on the stage of life. Missing, even in cinematic representation, that of full participation in the spring, the source of the will and the consciousness of freedom that we experience in the direct experience of space. We are to be included, becoming and feeling part and spatial organization meter, we ourselves wander. In this essay we will investigate the power of knowing that the camera has on real, exploring it and restructuring it according to the expressive needs of their films; and the nature of the relationship that is so iconic to exist between reality and image. Scenic architectures used by Stanley Kubrick are represented by a sublime directorial technique that carries us viewers within the film. But the British filmmaker goes much further, allowing us to experience these spaces in person overcoming the barrier of space-time sets the screen. It allows us to range ourselves in Nineteenth room of 2001, in Milkova Bar with Alex and the droogs in A Clockwork Orange, in the corridors of the Overlook Hotel in The Shining, in the barracks of Full Metal Jacket, in the Bill’s apartment in Eyes Wide Shut. The aim is to understand how the expressive power of the images references to space and how the space acquires meaning, charging lived for the viewer through the influence of the characters on stage. Like the character find his identity in a given space designed exclusively for him and make us an integral part of it.
ARC III - Scuola del Design
29-set-2016
2015/2016
Il metodo di rappresentazione degli spazi interni e più in generale dell’architettura si avvale di a) piante, b) elevati e spaccati o sezioni, c) fotografie. Singolarmente e nel loro insieme, questi strumenti sono incapaci di rappresentare compiutamente lo spazio architettonico. La scoperta della cinematografia è di immensa portata per la rappresentazione degli spazi architettonici perché, se applicata bene, essa risolve praticamente tutti i problemi posti dalla quarta dimensione. Tuttavia, una cosa è stare seduto nella poltrona di un teatro e vedere da un unico punto di vista gli attori che si muovono, un’altra è vivere e agire sulla scena della vita. Manca, anche nella rappresentazione cinematografica, quella molla di completa partecipazione, quel motivo di volontà e quella coscienza di libertà che noi proviamo nell’esperienza diretta dello spazio. Dobbiamo noi essere inclusi, divenire e sentirci parte e metro dell’organismo spaziale, dobbiamo noi stessi spaziare. In questo saggio si vorrà indagare sul potere conoscitivo che la macchina da presa esercita sul reale, esplorandolo e ristrutturandolo in funzione delle esigenze espressive proprie del film; e alla natura della relazione iconica che viene così a instaurarsi fra realtà e immagine. Le architetture sceniche utilizzate da Stanley Kubrick sono rappresentate tramite una tecnica registica sublime che trasporta noi spettatori all’interno del film. Ma il regista britannico va ben oltre, ci permette di vivere tali spazi in prima persona superando la barriera dello spazio-tempo imposta dallo schermo. Ci permette di spaziare noi stessi nella stanza Ottocentesca di 2001, nel Milkova Bar con Alex e i drughi in Arancia Meccanica, nei corridoi dell’Overlook Hotel in Shining, nella caserma di Full Metal Jacket, nell’appartamento di Bill in Eyes Wide Shut. Ci si propone di comprendere come la forza espressiva delle immagini rimandi allo spazio e come quest’ultimo acquisisca significato, carica vissuta per lo spettatore attraverso l’influenza dei personaggi in scena. Come il personaggio trovi la sua identità in un determinato spazio progettato unicamente per lui e ci renda parte integrante di esso.
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/125601