Da qualche anno Londra ha deciso di trasformarsi al suo interno e lungo il fiume, accogliendo con estrema disinvoltura nuove architetture. Una trasformazione “pesante”, fatta di interventi ed architetture che non sono “leggeri”, né dal punto di vista urbanistico, né da quello gestionale e amministrativo, ma neppure dal punto di vista tecnologico. Nel caso di Londra poi, “città molteplice”, ma certo austera, la “pesantezza” e la “gravità” dell’architettura contemporanea non faticano ad inserirsi nel vivo della sua storia. La tesi sviluppata è la continuazione di un percorso iniziato nel Laboratorio di Progettazione Architettonica II che aveva come programma la progettazione di una nuova biblioteca per Londra secondo quanto indicato dal concorso istituito da ARCHMedium. Il progetto si inserisce così lungo il margine sud del Tamigi, là dove il Tower Bridge inarca le sue duplici azzurre catenarie intrecciate che sostengono il ponte sospeso ai turriti piloni. È in questo luogo, fulcro e cuore pulsante dell’area londinese, che la folla ondeggia con movimenti incerti, con improvvise accelerazioni, soste e con moti browniani, occupando lo spazio che si dilata per includervi performances improvvisate e spettacoli da luna park, come del resto è tradizione di tutte le grandi città del centro e del nord Europa. Un luogo dove architetture come la City Hall di Foster, sono una smorfia alla leggerezza. Essa è un oggetto inusuale, stravagante, inaspettato, un’apparecchio della partecipazione che oscilla tra lo spettacolo e la responsabilità, un luogo che appartiene ad una dimensione amplissima: alla città, agli amministratori, alla gente, un vortice tuttavia frenetico, instabile e senza fine che si distacca per forma e posizione dal Tamigi e dalla sua “naturalezza”. Progettare in questo luogo inoltre, lungo il margine, vuol dire delineare forme di integrazione e commutazione tra i differenti ambiti, individuando le differenti identità dei luoghi ai fini di preservarle e metterle a sistema secondo una composizione di relazioni e rapporti. Non ci si confronta più con un bordo che è una semplice linea di divisione priva di una propria identità, ma con uno spazio con un suo spessore abitabile e quindi con una propria indipendenza figurativa, dove dar vita all’integrazione delle differenze. Il progetto diviene quindi lo strumento con cui andare a ridisegnare e ripensare questo luogo, inserendo al suo “interno” un edificio che in sé condensa gli spazi della cultura, dello svago e dell’interazione sociale; Un’architettura ibrida tra le biblioteche che noi tutti conosciamo e il vivere quotidiano di una città, come Londra, in continuo cambiamento, in grado di interfacciarsi con il passato e il futuro. Quale può essere quindi la biblioteca del domani?
LPL : London public library. Lavorare sul margine
CAMPANATI, MARIA;BONIZZONI, GIULIA;BAJO, ELEONORA
2015/2016
Abstract
Da qualche anno Londra ha deciso di trasformarsi al suo interno e lungo il fiume, accogliendo con estrema disinvoltura nuove architetture. Una trasformazione “pesante”, fatta di interventi ed architetture che non sono “leggeri”, né dal punto di vista urbanistico, né da quello gestionale e amministrativo, ma neppure dal punto di vista tecnologico. Nel caso di Londra poi, “città molteplice”, ma certo austera, la “pesantezza” e la “gravità” dell’architettura contemporanea non faticano ad inserirsi nel vivo della sua storia. La tesi sviluppata è la continuazione di un percorso iniziato nel Laboratorio di Progettazione Architettonica II che aveva come programma la progettazione di una nuova biblioteca per Londra secondo quanto indicato dal concorso istituito da ARCHMedium. Il progetto si inserisce così lungo il margine sud del Tamigi, là dove il Tower Bridge inarca le sue duplici azzurre catenarie intrecciate che sostengono il ponte sospeso ai turriti piloni. È in questo luogo, fulcro e cuore pulsante dell’area londinese, che la folla ondeggia con movimenti incerti, con improvvise accelerazioni, soste e con moti browniani, occupando lo spazio che si dilata per includervi performances improvvisate e spettacoli da luna park, come del resto è tradizione di tutte le grandi città del centro e del nord Europa. Un luogo dove architetture come la City Hall di Foster, sono una smorfia alla leggerezza. Essa è un oggetto inusuale, stravagante, inaspettato, un’apparecchio della partecipazione che oscilla tra lo spettacolo e la responsabilità, un luogo che appartiene ad una dimensione amplissima: alla città, agli amministratori, alla gente, un vortice tuttavia frenetico, instabile e senza fine che si distacca per forma e posizione dal Tamigi e dalla sua “naturalezza”. Progettare in questo luogo inoltre, lungo il margine, vuol dire delineare forme di integrazione e commutazione tra i differenti ambiti, individuando le differenti identità dei luoghi ai fini di preservarle e metterle a sistema secondo una composizione di relazioni e rapporti. Non ci si confronta più con un bordo che è una semplice linea di divisione priva di una propria identità, ma con uno spazio con un suo spessore abitabile e quindi con una propria indipendenza figurativa, dove dar vita all’integrazione delle differenze. Il progetto diviene quindi lo strumento con cui andare a ridisegnare e ripensare questo luogo, inserendo al suo “interno” un edificio che in sé condensa gli spazi della cultura, dello svago e dell’interazione sociale; Un’architettura ibrida tra le biblioteche che noi tutti conosciamo e il vivere quotidiano di una città, come Londra, in continuo cambiamento, in grado di interfacciarsi con il passato e il futuro. Quale può essere quindi la biblioteca del domani?File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/10589/126072