Il lavoro di ricerca parte dall’interesse che nutro nei confronti della complessità delle relazioni interpersonali. Essendo una persona silenziosa ma osservatrice, mi è stato impossibile non notare - non che occorra una sensibilità particolare - quanto i rapporti siano sempre più di frequente bloccati, fino a rendere difficile la relazione tra le persone, la formazione di comunità e la riconoscibilità di contesti. Con il supporto di letteratura specifica ho svolto una ricerca di tipo teorico-interpretativa del fenomeno, analizzando il modo in cui il progresso tecnologico ha influito sul processo di individualizzazione, cercando di inquadrare le potenzialità dell’utilizzo della tecnologia digitale se utilizzata nel modo appropriato e, senza schierarmi in posizione conservativa, individuando i limiti che la stessa pone. La diffusione delle nuove tecnologie ha contribuito alla rivisitazione del significato di comunità, soprattutto di alcune sue caratteristiche quali lo spazio e il fattore temporale, ritenute fino ad allora fondamentali per la sua definizione. Gli spazi virtuali consentendo livelli di libertà e anonimato che in relazioni dirette non sono raggiungibili, colmano quella “voglia di comunità” identificata da Z. Bauman dal calo di socializzazione. Da qui emerge il rischio che la possibilità di collegarsi con il mondo intero annulli l’interesse di conoscere il vicino. Ulteriore rischio è che le comunità virtuali siano troppo variegate e troppo poco unificate per essere identificate come comunità tradizionali. Su questa base la tesi si articola in quattro parti. Ho selezionato alcuni luoghi di relazione che ho riconosciuto fondamentali per il dialogo di persone e lo scambio culturale di informazioni all’interno della città, quali biblioteche, musei, cinema, teatri e piazze. Ho dedicato ad ognuno di essi un capitolo che illustri brevemente la configurazione tradizionale di quell’ambito, la sua evoluzione storica e il suo utilizzo attuale, anticipato da un’illustrazione che provochi un confronto sui temi. Per rappresentare le deduzioni tratte dall’analisi ho composto cinque tabelle descrittive, ognuna delle quali riferita ad alcuni parametri specifici. Ho interpretato i luoghi selezionati attraverso un metodo figurativo supportato da due concetti binomiali che rinviano a fattori secondo cui si frequentano o utilizzano tali luoghi (accessibilità/interfaccia e diffusione/fruizione) e tre criteri, ognuno dei quali caratterizza in modo diverso i luoghi descritti (empatia, potenzialità e limiti). Successivamente ho analizzato come e dove sono organizzati questi luoghi nella città di Brescia (escludendo dall’analisi le biblioteche di quartiere, le sale cinematografiche parrocchiali ed una multisala, destinate ad un bacino d’utenza piuttosto limitato), scoprendo che la prevalenza dei luoghi di relazione analizzati è collocata all’interno del centro storico, in particolare addirittura all’interno della cinta muraria di epoca veneta, abbattuta tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni venti del Novecento. Questo tipo di organizzazione di servizi, con le funzioni di più alta qualità nel centro, rimanda alla forma di città ottocentesca, con un centro, un ring-circonvallazione e le aree di espansione più esterne. L’analisi mi ha fatto pensare a quanto poco sia favorita la fruizione degli spazi culturali e di relazione nel centro storico da parte di chi vive al di fuori di esso e soprattutto a quanto questo porti alla conseguenza di preferire le evoluzioni digitali di questi luoghi. Le deduzioni sono state rafforzate dal parroco di San Giovanni Evangelista, nel Carmine di Brescia, che con la sua testimonianza ha ammesso la mancanza di un piano di tipo sociale completo nella sua zona e il successo delle iniziative proposte finché si tratta di eventi singoli. La teoria esaminata è stata confermata dall’ultima fase, un’indagine su un campione di popolazione costituito da 100 persone tra i venti e i trent’anni di età che, verosimilmente, abbia la possibilità di accedere a tutti i luoghi di scambio e cultura descritti e che abbia, allo stesso tempo, confidenza con le tecnologie più recenti. Questa ricerca mi ha permesso di riconoscere che la società odierna corra un grave rischio, ovvero che l’organismo scolastico - che ricopre un importantissimo ruolo formativo ed educativo - non sia aggiornato rispetto alla grande disponibilità tecnologica e che la società delle nuove generazioni ne risenta. L’innovazione tecnologica, infatti, amplia le possibilità di accesso alle informazioni ma, a sua volta, richiede più impegno, approcci e comprensione diversi, per orientarsi nel modo corretto tra l’enorme quantità di risorse e informazioni presenti in rete. Il livello di formazione degli utenti che utilizzano il digitale richiede una diversa capacità di scelta rispetto a chi non ne fa uso.

Comunità e individualismo. Le interfacce tecnologiche

DONATI, CAROLINA
2015/2016

Abstract

Il lavoro di ricerca parte dall’interesse che nutro nei confronti della complessità delle relazioni interpersonali. Essendo una persona silenziosa ma osservatrice, mi è stato impossibile non notare - non che occorra una sensibilità particolare - quanto i rapporti siano sempre più di frequente bloccati, fino a rendere difficile la relazione tra le persone, la formazione di comunità e la riconoscibilità di contesti. Con il supporto di letteratura specifica ho svolto una ricerca di tipo teorico-interpretativa del fenomeno, analizzando il modo in cui il progresso tecnologico ha influito sul processo di individualizzazione, cercando di inquadrare le potenzialità dell’utilizzo della tecnologia digitale se utilizzata nel modo appropriato e, senza schierarmi in posizione conservativa, individuando i limiti che la stessa pone. La diffusione delle nuove tecnologie ha contribuito alla rivisitazione del significato di comunità, soprattutto di alcune sue caratteristiche quali lo spazio e il fattore temporale, ritenute fino ad allora fondamentali per la sua definizione. Gli spazi virtuali consentendo livelli di libertà e anonimato che in relazioni dirette non sono raggiungibili, colmano quella “voglia di comunità” identificata da Z. Bauman dal calo di socializzazione. Da qui emerge il rischio che la possibilità di collegarsi con il mondo intero annulli l’interesse di conoscere il vicino. Ulteriore rischio è che le comunità virtuali siano troppo variegate e troppo poco unificate per essere identificate come comunità tradizionali. Su questa base la tesi si articola in quattro parti. Ho selezionato alcuni luoghi di relazione che ho riconosciuto fondamentali per il dialogo di persone e lo scambio culturale di informazioni all’interno della città, quali biblioteche, musei, cinema, teatri e piazze. Ho dedicato ad ognuno di essi un capitolo che illustri brevemente la configurazione tradizionale di quell’ambito, la sua evoluzione storica e il suo utilizzo attuale, anticipato da un’illustrazione che provochi un confronto sui temi. Per rappresentare le deduzioni tratte dall’analisi ho composto cinque tabelle descrittive, ognuna delle quali riferita ad alcuni parametri specifici. Ho interpretato i luoghi selezionati attraverso un metodo figurativo supportato da due concetti binomiali che rinviano a fattori secondo cui si frequentano o utilizzano tali luoghi (accessibilità/interfaccia e diffusione/fruizione) e tre criteri, ognuno dei quali caratterizza in modo diverso i luoghi descritti (empatia, potenzialità e limiti). Successivamente ho analizzato come e dove sono organizzati questi luoghi nella città di Brescia (escludendo dall’analisi le biblioteche di quartiere, le sale cinematografiche parrocchiali ed una multisala, destinate ad un bacino d’utenza piuttosto limitato), scoprendo che la prevalenza dei luoghi di relazione analizzati è collocata all’interno del centro storico, in particolare addirittura all’interno della cinta muraria di epoca veneta, abbattuta tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni venti del Novecento. Questo tipo di organizzazione di servizi, con le funzioni di più alta qualità nel centro, rimanda alla forma di città ottocentesca, con un centro, un ring-circonvallazione e le aree di espansione più esterne. L’analisi mi ha fatto pensare a quanto poco sia favorita la fruizione degli spazi culturali e di relazione nel centro storico da parte di chi vive al di fuori di esso e soprattutto a quanto questo porti alla conseguenza di preferire le evoluzioni digitali di questi luoghi. Le deduzioni sono state rafforzate dal parroco di San Giovanni Evangelista, nel Carmine di Brescia, che con la sua testimonianza ha ammesso la mancanza di un piano di tipo sociale completo nella sua zona e il successo delle iniziative proposte finché si tratta di eventi singoli. La teoria esaminata è stata confermata dall’ultima fase, un’indagine su un campione di popolazione costituito da 100 persone tra i venti e i trent’anni di età che, verosimilmente, abbia la possibilità di accedere a tutti i luoghi di scambio e cultura descritti e che abbia, allo stesso tempo, confidenza con le tecnologie più recenti. Questa ricerca mi ha permesso di riconoscere che la società odierna corra un grave rischio, ovvero che l’organismo scolastico - che ricopre un importantissimo ruolo formativo ed educativo - non sia aggiornato rispetto alla grande disponibilità tecnologica e che la società delle nuove generazioni ne risenta. L’innovazione tecnologica, infatti, amplia le possibilità di accesso alle informazioni ma, a sua volta, richiede più impegno, approcci e comprensione diversi, per orientarsi nel modo corretto tra l’enorme quantità di risorse e informazioni presenti in rete. Il livello di formazione degli utenti che utilizzano il digitale richiede una diversa capacità di scelta rispetto a chi non ne fa uso.
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
22-dic-2016
2015/2016
Tesi di laurea Magistrale
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