“Il vuoto e il pieno amplificano il gioco di luci e silenzi e rende possibile all’uomo la presa di coscienza della natura e delle leggi dell’universo: lo spazio è luce, la colonna crea silenzio. In questo modo lo spazio interno giustifica quello esterno del contesto, creando un collegamento tra le due parti, dipendenti una dall’altra. Infatti se si sottovaluta tale collegamento imprescindibile, si nota come tutto sta insieme fisicamente, ma non spiritualmente e, col passare del tempo, risulta evidente la mancanza di ciò di cui l’edificio ha veramente bisogno per esprimersi.” L. Kahn, Gli Scritti Le parole di Louis Kahn sembrano riassumere l’intento che ha guidato la progettazione della Galleria Integrata per le Arti Contemporanee a Milano, sviluppata in sede di Tesi di Laurea. Lo sviluppo del tema si è basato su una fondamentale riflessione: cosa significa creare spazi per l’arte contemporanea oggi? Nei suoi articoli pubblicati sulla rivista Artforum, raccolti nel testo Inside the Wihite Cube. L’ideologia dello spazio espositivo, Brian O’ Doherty afferma che “oggi è impossibile allestire una mostra senza perlustrare la parete come un ispettore sanitario: bisogna tenere conto dell’estetica che inevitabilmente trasformerà l’opera”. Secondo l’artista irlandese nella galleria ideale, dove non vi è alcun elemento di connessione con la realtà esterna, i muri sono dipinti di bianco e il soffitto è fonte di luce, l’arte deve essere “libera di vivere la sua vita “. Si crea, così, un “ultraspazio” in cui la matrice spazio-temporale sembra annullarsi. Preso coscienza della posizione di O’ Doherty, ma, al contempo, consapevoli della fondamentale importanza, in architettura, della relazione con il luogo, al fine di attivare un processo di trasformazione che dialoghi criticamente con la realtà contemporanea, sono stati definiti due principi su cui è stato fondato il progetto: estraneità e appartenenza. Questi ultimi si traducono in spazi intesi come luoghi della mente e del silenzio in cui lo spettatore è in grado di estraniarsi e contemplare l’opera d’arte, ma, al contempo, essi devono potersi radicare nel contesto e quindi appartenere ad esso sia fisicamente che dal punto di vista sociale. Tale pensiero ha attraversato le diverse scale in modo che tutti gli elementi che compongono il progetto siano saldamente relazionati al contesto e creino, così, un sistema in grado di riattivare a diverse scale un’area ora abbandonata ma carica di potenzialità come quella dello Scalo San Cristoforo. La scelta di partire dalla pratica artistica ha portato ad affrontare il tema sulla base di un principio dell’interno, basato sullo studio del vuoto e dello spazio interno per l’arte contemporanea. Il progetto viene, così, concepito da partire dal visitatore, l’uomo, che percorre e attraversa gli spazi, e nella sua relazione con l’opera d’arte e la città. Ciò, quindi, non implica l’esclusione di quanto accade nella realtà esterna, ma al contrario la relazione con il contesto sia fisico che sociale ha impregnato tutto il processo di progettazione, in quanto solo attraverso il confronto tra interno ed esterno, come afferma Kahn, l’architettura si carica di significato. Questo continuo salto di scala ha portato a considerare i principi di estraneità e appartenenza anche attraverso il tempo. Si è, cosi, deciso di proporre un progetto da realizzarsi in più fasi, a ognuna delle quali è dato di costruire il luogo stesso, generare un senso di appartenenza e innescare un meccanismo di riappropriazione sociale che parta dalla scala di quartiere fino ad arrivare ad una più ampia. Pertanto l’obiettivo prepostici è quello di dimostrare come la promozione di un principio dell’interno, atta alla comprensione degli spazi per l’arte contemporanea, non possa prescindere da una profonda conoscenza del luogo. Infatti, solo all’interno di quest’ultimo è possibile reperire solidi fondamenti, ovvero l’interpretazione critica del contesto, da cui si evincono le fondazioni, il nuovo sistema di significati che il progetto propone, grazie ai quali è possibile generare un’architettura che appartenga al luogo a tal punto che appare essere presente da sempre.
Estraneità e appartenenza. Milano San Cristoforo. Progetto di una galleria integrata per le arti contemporanee
ANDREONI, GRETA;INSELVINI, MATTIA
2015/2016
Abstract
“Il vuoto e il pieno amplificano il gioco di luci e silenzi e rende possibile all’uomo la presa di coscienza della natura e delle leggi dell’universo: lo spazio è luce, la colonna crea silenzio. In questo modo lo spazio interno giustifica quello esterno del contesto, creando un collegamento tra le due parti, dipendenti una dall’altra. Infatti se si sottovaluta tale collegamento imprescindibile, si nota come tutto sta insieme fisicamente, ma non spiritualmente e, col passare del tempo, risulta evidente la mancanza di ciò di cui l’edificio ha veramente bisogno per esprimersi.” L. Kahn, Gli Scritti Le parole di Louis Kahn sembrano riassumere l’intento che ha guidato la progettazione della Galleria Integrata per le Arti Contemporanee a Milano, sviluppata in sede di Tesi di Laurea. Lo sviluppo del tema si è basato su una fondamentale riflessione: cosa significa creare spazi per l’arte contemporanea oggi? Nei suoi articoli pubblicati sulla rivista Artforum, raccolti nel testo Inside the Wihite Cube. L’ideologia dello spazio espositivo, Brian O’ Doherty afferma che “oggi è impossibile allestire una mostra senza perlustrare la parete come un ispettore sanitario: bisogna tenere conto dell’estetica che inevitabilmente trasformerà l’opera”. Secondo l’artista irlandese nella galleria ideale, dove non vi è alcun elemento di connessione con la realtà esterna, i muri sono dipinti di bianco e il soffitto è fonte di luce, l’arte deve essere “libera di vivere la sua vita “. Si crea, così, un “ultraspazio” in cui la matrice spazio-temporale sembra annullarsi. Preso coscienza della posizione di O’ Doherty, ma, al contempo, consapevoli della fondamentale importanza, in architettura, della relazione con il luogo, al fine di attivare un processo di trasformazione che dialoghi criticamente con la realtà contemporanea, sono stati definiti due principi su cui è stato fondato il progetto: estraneità e appartenenza. Questi ultimi si traducono in spazi intesi come luoghi della mente e del silenzio in cui lo spettatore è in grado di estraniarsi e contemplare l’opera d’arte, ma, al contempo, essi devono potersi radicare nel contesto e quindi appartenere ad esso sia fisicamente che dal punto di vista sociale. Tale pensiero ha attraversato le diverse scale in modo che tutti gli elementi che compongono il progetto siano saldamente relazionati al contesto e creino, così, un sistema in grado di riattivare a diverse scale un’area ora abbandonata ma carica di potenzialità come quella dello Scalo San Cristoforo. La scelta di partire dalla pratica artistica ha portato ad affrontare il tema sulla base di un principio dell’interno, basato sullo studio del vuoto e dello spazio interno per l’arte contemporanea. Il progetto viene, così, concepito da partire dal visitatore, l’uomo, che percorre e attraversa gli spazi, e nella sua relazione con l’opera d’arte e la città. Ciò, quindi, non implica l’esclusione di quanto accade nella realtà esterna, ma al contrario la relazione con il contesto sia fisico che sociale ha impregnato tutto il processo di progettazione, in quanto solo attraverso il confronto tra interno ed esterno, come afferma Kahn, l’architettura si carica di significato. Questo continuo salto di scala ha portato a considerare i principi di estraneità e appartenenza anche attraverso il tempo. Si è, cosi, deciso di proporre un progetto da realizzarsi in più fasi, a ognuna delle quali è dato di costruire il luogo stesso, generare un senso di appartenenza e innescare un meccanismo di riappropriazione sociale che parta dalla scala di quartiere fino ad arrivare ad una più ampia. Pertanto l’obiettivo prepostici è quello di dimostrare come la promozione di un principio dell’interno, atta alla comprensione degli spazi per l’arte contemporanea, non possa prescindere da una profonda conoscenza del luogo. Infatti, solo all’interno di quest’ultimo è possibile reperire solidi fondamenti, ovvero l’interpretazione critica del contesto, da cui si evincono le fondazioni, il nuovo sistema di significati che il progetto propone, grazie ai quali è possibile generare un’architettura che appartenga al luogo a tal punto che appare essere presente da sempre.File | Dimensione | Formato | |
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