I fari sono segni di mediazione. Sono lumi pieni di significato, architetture speciali, fatte di terra e di mare, la cui funzione determina la forma, progettati per indicare il segno e accompagnare la rotta delle navi. Da quando la figura del farista è stata sostituita dall’uso della tecnologia, gran parte di essi versa in stato di abbandono. Sono diventati una sorta di archeologia industriale della navigazione, che va riconosciuta e valorizzata, non abbandonata. In quest’ottica l’Agenzia del Demanio, assieme al ministero della Difesa e agli enti territoriali, ha deciso di lanciare un progetto per valorizzarli e salvarli, per fare in modo che, nel rispetto degli ecosistemi e del funzionamento delle lanterne, le torri che vigilano sulle nostre coste possano avere nuova vita. Raccogliendo questa sfida il progetto di tesi si rapporta con uno dei luoghi più suggestivi del territorio Italiano: la penisola della Maddalena a Siracusa, dove si trova il faro di Capo Murro di Porco; un’area situata ai margini della costa, caratterizzata da una straordinaria valenza paesaggistica e geologica, grazie anche alla sua singolare formazione calcarea. La risposta progettuale non nasce tanto dall’esigenza di recuperare un luogo degradato, quanto dalla necessità di potenziare le identità intrinseche del luogo stesso, riconoscendo l’appartenenza del faro all’interno di un sistema più vasto di stratificazioni del suolo, che si ritrovano lunga tutta la fascia costiera. All’interno di questo lavoro sulle tracce e sugli elementi di cui il suolo è portatore, lo spazio costruito ricerca la propria dimensione e la propria strategia conformativa, riallacciandosi alle preesistenze architettoniche, che non rimangono oggetti isolati ma partecipano alla determinazione formale. Il progetto tenta quindi di definire una nuova armonia tra l’architettura e ciò che la natura offre, proponendo un nuovo Centro di osservazione marina. È grazie all’uso di materiali autoctoni e allo sfruttamento dell’orografia preesistente che la natura diventa parte integrante del sistema, che si pone in relazione diretta e costante con l’acqua. Al suolo tutto è restituito. I percorsi mettono in relazione tutte le parti del sistema e determinano un limite unificante fatto di elementi che si accostano e si addizionano, mimetizzandosi nel paesaggio.
Memorie del suolo. Tracce e luogo del progetto : nuovo centro di osservazione Marina al Faro di Capo Murro di Porco a Siracusa
CANALI, ELENA;CARRETTI, ELISA
2015/2016
Abstract
I fari sono segni di mediazione. Sono lumi pieni di significato, architetture speciali, fatte di terra e di mare, la cui funzione determina la forma, progettati per indicare il segno e accompagnare la rotta delle navi. Da quando la figura del farista è stata sostituita dall’uso della tecnologia, gran parte di essi versa in stato di abbandono. Sono diventati una sorta di archeologia industriale della navigazione, che va riconosciuta e valorizzata, non abbandonata. In quest’ottica l’Agenzia del Demanio, assieme al ministero della Difesa e agli enti territoriali, ha deciso di lanciare un progetto per valorizzarli e salvarli, per fare in modo che, nel rispetto degli ecosistemi e del funzionamento delle lanterne, le torri che vigilano sulle nostre coste possano avere nuova vita. Raccogliendo questa sfida il progetto di tesi si rapporta con uno dei luoghi più suggestivi del territorio Italiano: la penisola della Maddalena a Siracusa, dove si trova il faro di Capo Murro di Porco; un’area situata ai margini della costa, caratterizzata da una straordinaria valenza paesaggistica e geologica, grazie anche alla sua singolare formazione calcarea. La risposta progettuale non nasce tanto dall’esigenza di recuperare un luogo degradato, quanto dalla necessità di potenziare le identità intrinseche del luogo stesso, riconoscendo l’appartenenza del faro all’interno di un sistema più vasto di stratificazioni del suolo, che si ritrovano lunga tutta la fascia costiera. All’interno di questo lavoro sulle tracce e sugli elementi di cui il suolo è portatore, lo spazio costruito ricerca la propria dimensione e la propria strategia conformativa, riallacciandosi alle preesistenze architettoniche, che non rimangono oggetti isolati ma partecipano alla determinazione formale. Il progetto tenta quindi di definire una nuova armonia tra l’architettura e ciò che la natura offre, proponendo un nuovo Centro di osservazione marina. È grazie all’uso di materiali autoctoni e allo sfruttamento dell’orografia preesistente che la natura diventa parte integrante del sistema, che si pone in relazione diretta e costante con l’acqua. Al suolo tutto è restituito. I percorsi mettono in relazione tutte le parti del sistema e determinano un limite unificante fatto di elementi che si accostano e si addizionano, mimetizzandosi nel paesaggio.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/10589/132349