Lo Stadio Flaminio, la sua storia, il suo abbandono e il conseguente degrado e futuro destino. L’interesse a questo tema è scaturito quando, in una lezione del corso “Progettazione, costruzione, gestione delle infrastrutture sportive” tenuto dal professor Faroldi, il Direttore Generale della FIGC Michele Uva presentò l’oggetto, le problematiche legate ad esso e il suo incerto avvenire: demolire per una questione economica o messa a norma ed ampliamento difficilmente sostenibili? Per l’assoluto valore storico ed architettonico del manufatto, progettato nel 1957 da Pierluigi Nervi con il contributo del figlio Antonio ed abbandonato a partire dal 2011 a causa di limiti funzionali e di capienza, la strada della demolizione per un architetto non è contemplata, trovandosi di fronte ad un bene culturale la cui memoria andrebbe rispettata e valorizzata. Come dimostrano i fatti, anche l’opzione di messa a norma ed ampliamento risulta difficile da realizzare poiché troppo onerosa. Questa tesi propone quindi una “terza via” con l’intento di dimostrare possibile un’ipotesi fortemente distaccata dalle soluzioni tradizionali viste ad oggi. L’idea di progetto si sviluppa attorno al concetto di “museo di sé stesso” e di “museo nel museo”, presente in molti casi di riqualificazione effettuati nel nord Europa, in particolare nella Ruhr, in Germania. Riconoscendo l’infrastruttura sportiva oggetto di tesi come un bene dal rilevante valore culturale e sociale, nonché un esempio di architettura del ‘900 tra i più riusciti il cui autore è riconosciuto a livello mondiale come uno dei più grandi progettisti del XX secolo, il progetto prevede la conservazione e “musealizzazione” del manufatto architettonico attraverso la mostra “di sé stesso” e la costruzione di un nuovo museo ipogeo (museo nel museo) nell’area dell’odierno campo da calcio, in modo da non intaccare la struttura esistente; inoltre l’intervento prevede la riattivazione di spazi polifunzionali presenti nel sottotribuna (bar, palestre, piscina) e, in casi specifici, una rifunzionalizzazione non invasiva di essi. Attraverso una strategia progettuale ben definita nelle sue volontà comunicative, lo stadio Flaminio ottiene “nuova vita” tramite la decisa migrazione da struttura sportiva abbandonata a polo espositivo e socio-culturale, contribuendo significativamente alla rilettura urbanistica della zona iniziata con il Parco della Musica di Renzo Piano e proseguita con il MAXXI di Zaha Hadid. L’intervento offre al CONI un nuovo spazio in cui allestire il museo dello sport italiano in un sito che possiede nel suo dna una forte memoria sportiva. La sua ritrovata conformazione funzionale permette inoltre al Comune di rendere locabili ambienti (palestre, piscina, bar, spazio eventi, ristorante) in spazi storici dall’enorme qualità architettonica ricavando fondi annuali per effettuare la manutenzione ordinaria necessaria alla conservazione del bene nel tempo. La “terza via” ha infatti l’ambizione di risultare sostenibile sia dal punto di vista funzionale che economico.
L'infrastruttura sportiva come bene culturale. Lo Stadio Flaminio di Per Luigi Nervi e il museo nel museo : progetto per un nuovo polo espositivio e socio-culturale
ROTA, MARCO
2015/2016
Abstract
Lo Stadio Flaminio, la sua storia, il suo abbandono e il conseguente degrado e futuro destino. L’interesse a questo tema è scaturito quando, in una lezione del corso “Progettazione, costruzione, gestione delle infrastrutture sportive” tenuto dal professor Faroldi, il Direttore Generale della FIGC Michele Uva presentò l’oggetto, le problematiche legate ad esso e il suo incerto avvenire: demolire per una questione economica o messa a norma ed ampliamento difficilmente sostenibili? Per l’assoluto valore storico ed architettonico del manufatto, progettato nel 1957 da Pierluigi Nervi con il contributo del figlio Antonio ed abbandonato a partire dal 2011 a causa di limiti funzionali e di capienza, la strada della demolizione per un architetto non è contemplata, trovandosi di fronte ad un bene culturale la cui memoria andrebbe rispettata e valorizzata. Come dimostrano i fatti, anche l’opzione di messa a norma ed ampliamento risulta difficile da realizzare poiché troppo onerosa. Questa tesi propone quindi una “terza via” con l’intento di dimostrare possibile un’ipotesi fortemente distaccata dalle soluzioni tradizionali viste ad oggi. L’idea di progetto si sviluppa attorno al concetto di “museo di sé stesso” e di “museo nel museo”, presente in molti casi di riqualificazione effettuati nel nord Europa, in particolare nella Ruhr, in Germania. Riconoscendo l’infrastruttura sportiva oggetto di tesi come un bene dal rilevante valore culturale e sociale, nonché un esempio di architettura del ‘900 tra i più riusciti il cui autore è riconosciuto a livello mondiale come uno dei più grandi progettisti del XX secolo, il progetto prevede la conservazione e “musealizzazione” del manufatto architettonico attraverso la mostra “di sé stesso” e la costruzione di un nuovo museo ipogeo (museo nel museo) nell’area dell’odierno campo da calcio, in modo da non intaccare la struttura esistente; inoltre l’intervento prevede la riattivazione di spazi polifunzionali presenti nel sottotribuna (bar, palestre, piscina) e, in casi specifici, una rifunzionalizzazione non invasiva di essi. Attraverso una strategia progettuale ben definita nelle sue volontà comunicative, lo stadio Flaminio ottiene “nuova vita” tramite la decisa migrazione da struttura sportiva abbandonata a polo espositivo e socio-culturale, contribuendo significativamente alla rilettura urbanistica della zona iniziata con il Parco della Musica di Renzo Piano e proseguita con il MAXXI di Zaha Hadid. L’intervento offre al CONI un nuovo spazio in cui allestire il museo dello sport italiano in un sito che possiede nel suo dna una forte memoria sportiva. La sua ritrovata conformazione funzionale permette inoltre al Comune di rendere locabili ambienti (palestre, piscina, bar, spazio eventi, ristorante) in spazi storici dall’enorme qualità architettonica ricavando fondi annuali per effettuare la manutenzione ordinaria necessaria alla conservazione del bene nel tempo. La “terza via” ha infatti l’ambizione di risultare sostenibile sia dal punto di vista funzionale che economico.File | Dimensione | Formato | |
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https://hdl.handle.net/10589/132379