“L'idea del paesaggio come architettura è diventata per me un atto d’immaginazione. Mi ricordo di aver osservato alcuni edifici di pietra e di aver pensato: devono esserci, da qualche parte, dei paesaggi interessanti, perchè tutta questa pietra è stata estratta da una cava, un blocco alla volta. Non avevo mai visto una cava di grandi dimensioni. Mi immaginai un'architettura cubica capovolta, nel fianco di una collina. Andai a cercarla, e quando finalmente la vidi sul vetro smerigliato della mia macchina fotografica, capii che l'avevo trovata: un'architettura vivente, creata dal nostro bisogno di materie prime. Miniere a cielo aperto, cave, perforazioni, mi apparivano come piramidi rovesciate. Ho fotografato le cave per trovare nel mondo qualcosa che corrispondesse a quelle forme che avevo immaginato, all'idea di grattacieli rovesciati. Siamo circondati da ogni genere di beni di consumo, ma dimentichiamo la loro origine. Il nostro stile di vita è reso possibile dall'esistenza di industrie disseminate in tutto il mondo, ma noi diamo questo per scontato; queste cose restano confinate sullo sfondo della nostra esistenza. Penso che mostrare questi luoghi, estranei alla nostra esperienza quotidiana, possa contribuire a una maggiore consapevolezza di cosa siamo e di cosa stiamo facendo.” Edward Burtynsky Partendo da questa affermazione del fotografo canadese Burtynsky , l’intento di questa tesi è quello di indagare il legame tra paesaggio naturale e la contaminazione dell’uomo. Infatti il paesaggio Carrarese è disseminato di sventramenti dovuti allo sfruttamento del suolo per l’estrazione del marmo, uno dei materiali più costosi e richiesti al mondo. Questo progetto si pone come tentativo di risposta a due questioni che sul territorio di Carrara sono, a mio parere, molto evidenti, la valorizzazione del territorio e l’ingente quantità di scarti presenti. Il tentativo si propone sotto forma di uno spazio architettonico, con diverse funzioni al proprio interno, dei laboratori di scultura in cui gli scarti fanno da padroni, perché “materia prima” da cui produrre arte e cultura, vista la storia fortemente caratterizzata e caratterizzante presente sul territorio Carrarese. Il fine dunque, è quello di nobilitare lo “scarto” come risorsa e non come mero materiale, mezzo per un fine: esso viene innalzato al livello di opera d’arte da scoprire e da riutilizzare per creare altre opere d’arte; lo scarto ritorna ad essere materia prima per la creazione e non è più semplice segno di distruzione, di inutilità, di qualcosa che c’era ma che è passato. Il progetto, partendo da questi presupposti va a delinearsi come un sistema di microarchitetture disseminate lungo uno degli assi che connettono i centri abitati ai bacini marmiferi, per poi culminare nella proposta di un edificio espositivo e didattico. In questa composizione progettuale per “dissolvenza inversa” , si accompagnano i visitatori all’interno del cuore della cava per gradi. Può, allora, il “progetto dello scarto”, inteso come materiale e come parte del territorio, intervenire per trasformare lo scarto in opportunità, superando le sue scomode interferenze sull’ambiente? Tornano alla mente le indicazioni “terapeutiche” suggerite da Lynch: “se proviamo a guardare con interesse lo scarto e le cicatrici del territorio forse potremmo imparare ad integrarli in un ciclo unico continuo d’uso. Siccome è chiaro che continueremo a produrre scarto, dobbiamo imparare a riutilizzarlo continuamente e perfino ad apprezzarlo”.

Sculture territoriali. L’architettura dei laboratori del marmo. Un progetto tra cultura e matericità ai piedi delle cave di Carrara

DEOTTO, ANNA
2015/2016

Abstract

“L'idea del paesaggio come architettura è diventata per me un atto d’immaginazione. Mi ricordo di aver osservato alcuni edifici di pietra e di aver pensato: devono esserci, da qualche parte, dei paesaggi interessanti, perchè tutta questa pietra è stata estratta da una cava, un blocco alla volta. Non avevo mai visto una cava di grandi dimensioni. Mi immaginai un'architettura cubica capovolta, nel fianco di una collina. Andai a cercarla, e quando finalmente la vidi sul vetro smerigliato della mia macchina fotografica, capii che l'avevo trovata: un'architettura vivente, creata dal nostro bisogno di materie prime. Miniere a cielo aperto, cave, perforazioni, mi apparivano come piramidi rovesciate. Ho fotografato le cave per trovare nel mondo qualcosa che corrispondesse a quelle forme che avevo immaginato, all'idea di grattacieli rovesciati. Siamo circondati da ogni genere di beni di consumo, ma dimentichiamo la loro origine. Il nostro stile di vita è reso possibile dall'esistenza di industrie disseminate in tutto il mondo, ma noi diamo questo per scontato; queste cose restano confinate sullo sfondo della nostra esistenza. Penso che mostrare questi luoghi, estranei alla nostra esperienza quotidiana, possa contribuire a una maggiore consapevolezza di cosa siamo e di cosa stiamo facendo.” Edward Burtynsky Partendo da questa affermazione del fotografo canadese Burtynsky , l’intento di questa tesi è quello di indagare il legame tra paesaggio naturale e la contaminazione dell’uomo. Infatti il paesaggio Carrarese è disseminato di sventramenti dovuti allo sfruttamento del suolo per l’estrazione del marmo, uno dei materiali più costosi e richiesti al mondo. Questo progetto si pone come tentativo di risposta a due questioni che sul territorio di Carrara sono, a mio parere, molto evidenti, la valorizzazione del territorio e l’ingente quantità di scarti presenti. Il tentativo si propone sotto forma di uno spazio architettonico, con diverse funzioni al proprio interno, dei laboratori di scultura in cui gli scarti fanno da padroni, perché “materia prima” da cui produrre arte e cultura, vista la storia fortemente caratterizzata e caratterizzante presente sul territorio Carrarese. Il fine dunque, è quello di nobilitare lo “scarto” come risorsa e non come mero materiale, mezzo per un fine: esso viene innalzato al livello di opera d’arte da scoprire e da riutilizzare per creare altre opere d’arte; lo scarto ritorna ad essere materia prima per la creazione e non è più semplice segno di distruzione, di inutilità, di qualcosa che c’era ma che è passato. Il progetto, partendo da questi presupposti va a delinearsi come un sistema di microarchitetture disseminate lungo uno degli assi che connettono i centri abitati ai bacini marmiferi, per poi culminare nella proposta di un edificio espositivo e didattico. In questa composizione progettuale per “dissolvenza inversa” , si accompagnano i visitatori all’interno del cuore della cava per gradi. Può, allora, il “progetto dello scarto”, inteso come materiale e come parte del territorio, intervenire per trasformare lo scarto in opportunità, superando le sue scomode interferenze sull’ambiente? Tornano alla mente le indicazioni “terapeutiche” suggerite da Lynch: “se proviamo a guardare con interesse lo scarto e le cicatrici del territorio forse potremmo imparare ad integrarli in un ciclo unico continuo d’uso. Siccome è chiaro che continueremo a produrre scarto, dobbiamo imparare a riutilizzarlo continuamente e perfino ad apprezzarlo”.
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
21-dic-2016
2015/2016
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/132383