“Usate la verità come pregiudizio” diceva Eugene Smith, fotografo reporter interno di Life che, tra il 1945 e il 1978, è stato più volte chiamato a realizzare reportage per il noto settimanale americano. Quella in cui Smith opera è un’epoca nella quale l’informazione cartacea e tutta l’editoria godono di un periodo fiorente, di un’economia stabile. Tutti questi fattori portano i maggiori magazine e giornali ad avere dei fotografi interni da inviare sul campo per raccontare i fatti di cronaca, economia e società. Questa ricerca vuole essere un’indagine sull’evoluzione del ruolo del fotoreporter negli ultimi quarant’anni alla luce dell’avvento del digitale e dei cambiamenti socio - economici che hanno cambiato il mondo dell’editoria. Il lavoro sarà introdotto da una digressione, un focus sulla fotografia di reportage, che metterà in luce come essa sia stata sempre scelta quale veicolo migliore per testimoniare la realtà, per avvicinare rapidamente il pubblico agli avvenimenti lontani. Infatti, nel caso di Smith, Life pagava al fotografo viaggio, vitto e alloggio per una permanenza anche di tre, quattro settimane nei luoghi di interesse. La vicenda del fotografo americano ci aiuta ad entrare nel merito di un confronto con la situazione attuale. Attraverso le esperienze dirette di Giulio Piscitelli, fotografo per Contrasto, Livio Sinigalliesi, Toni Capuozzo e Lorenzo Meloni, fotografo di Magnum, verrà messo in evidenza come oggi questo paradigma del foto reportage sia invertito: oggi il fotografo cerca personalmente storie, fatti da raccontare e pianifica, prepara il viaggio, per poi effettivamente realizzare il reportage. E, una volta editato il racconto, prova a venderlo alle maggiori testate. Questa dinamica, anche a causa della ristrettezza delle risorse finanziarie, porta gli editori a comprare alcuni scatti del corpus, talvolta quelli più utili per il completamento varie notizie sul tema scelto. Si crea così una tipologia, un range di immagini che, più interessano agli editori, più spingono il fotografo a concentrarsi su alcuni temi piuttosto che su altri. Questa dinamica porta ad una censura preventiva di un certo tipo di realtà, magari positiva, che viene però allontana dal dramma “acchiappa click” e diventa così meno appetibile. Grazie al racconto in prima persona di Giulia Tornari, photo editor di Contrasto, si approfondiranno quali sono le dinamiche della compravendita delle foto oggi, nelle più grandi agenzie editrici, e del rapporto tra reportage e carta stampata. Cosa vuol dire oggi usare la verità come pregiudizio? Come essa è difesa da meccanismi di interesse superiore? Come viene educato il pubblico? Ci sono casi di buon reportage? Di amore “fino in fondo” per tutta la realtà? Questi interrogativi portano al focus finale su alcuni casi positivi di circostanze sorte negli ultimi anni per contrastare i cambiamenti narrativi, che hanno come mission lo sviluppo e la difesa di una fotografia etica che sappia testimoniare una verità libera dalle dinamiche commerciali. In ultimo, verrà presentato il collettivo fotografico “Icon Photos”, da me fondato insieme ad altri soci, che afferma nel suo statuto: “La fotografia che il collettivo insegue è una fotografia in grado di evocare una nostalgia, a partire dall’osservazione della realtà nelle sue diverse espressioni e sfumature, affinché l’esperienza di chi guarda venga rievocata nell’incontro con l’esperienza di chi ha scattato. Aspiriamo a una fotografia che racconti con intensità e in modo assolutamente sorprendente la profondità della realtà e che spinga l’osservatore ad arrivare al fondo di ciò che sta guardando e a intuire la possibilità di un Oltre non descritto.”

Usate la verità come pregiudizio

COLOMBO, CARLO FRANCESCO
2015/2016

Abstract

“Usate la verità come pregiudizio” diceva Eugene Smith, fotografo reporter interno di Life che, tra il 1945 e il 1978, è stato più volte chiamato a realizzare reportage per il noto settimanale americano. Quella in cui Smith opera è un’epoca nella quale l’informazione cartacea e tutta l’editoria godono di un periodo fiorente, di un’economia stabile. Tutti questi fattori portano i maggiori magazine e giornali ad avere dei fotografi interni da inviare sul campo per raccontare i fatti di cronaca, economia e società. Questa ricerca vuole essere un’indagine sull’evoluzione del ruolo del fotoreporter negli ultimi quarant’anni alla luce dell’avvento del digitale e dei cambiamenti socio - economici che hanno cambiato il mondo dell’editoria. Il lavoro sarà introdotto da una digressione, un focus sulla fotografia di reportage, che metterà in luce come essa sia stata sempre scelta quale veicolo migliore per testimoniare la realtà, per avvicinare rapidamente il pubblico agli avvenimenti lontani. Infatti, nel caso di Smith, Life pagava al fotografo viaggio, vitto e alloggio per una permanenza anche di tre, quattro settimane nei luoghi di interesse. La vicenda del fotografo americano ci aiuta ad entrare nel merito di un confronto con la situazione attuale. Attraverso le esperienze dirette di Giulio Piscitelli, fotografo per Contrasto, Livio Sinigalliesi, Toni Capuozzo e Lorenzo Meloni, fotografo di Magnum, verrà messo in evidenza come oggi questo paradigma del foto reportage sia invertito: oggi il fotografo cerca personalmente storie, fatti da raccontare e pianifica, prepara il viaggio, per poi effettivamente realizzare il reportage. E, una volta editato il racconto, prova a venderlo alle maggiori testate. Questa dinamica, anche a causa della ristrettezza delle risorse finanziarie, porta gli editori a comprare alcuni scatti del corpus, talvolta quelli più utili per il completamento varie notizie sul tema scelto. Si crea così una tipologia, un range di immagini che, più interessano agli editori, più spingono il fotografo a concentrarsi su alcuni temi piuttosto che su altri. Questa dinamica porta ad una censura preventiva di un certo tipo di realtà, magari positiva, che viene però allontana dal dramma “acchiappa click” e diventa così meno appetibile. Grazie al racconto in prima persona di Giulia Tornari, photo editor di Contrasto, si approfondiranno quali sono le dinamiche della compravendita delle foto oggi, nelle più grandi agenzie editrici, e del rapporto tra reportage e carta stampata. Cosa vuol dire oggi usare la verità come pregiudizio? Come essa è difesa da meccanismi di interesse superiore? Come viene educato il pubblico? Ci sono casi di buon reportage? Di amore “fino in fondo” per tutta la realtà? Questi interrogativi portano al focus finale su alcuni casi positivi di circostanze sorte negli ultimi anni per contrastare i cambiamenti narrativi, che hanno come mission lo sviluppo e la difesa di una fotografia etica che sappia testimoniare una verità libera dalle dinamiche commerciali. In ultimo, verrà presentato il collettivo fotografico “Icon Photos”, da me fondato insieme ad altri soci, che afferma nel suo statuto: “La fotografia che il collettivo insegue è una fotografia in grado di evocare una nostalgia, a partire dall’osservazione della realtà nelle sue diverse espressioni e sfumature, affinché l’esperienza di chi guarda venga rievocata nell’incontro con l’esperienza di chi ha scattato. Aspiriamo a una fotografia che racconti con intensità e in modo assolutamente sorprendente la profondità della realtà e che spinga l’osservatore ad arrivare al fondo di ciò che sta guardando e a intuire la possibilità di un Oltre non descritto.”
ARC III - Scuola del Design
27-apr-2017
2015/2016
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/133003