If we recognize the essential role of action in the city functioning (i.e. its creative role for innovation, the importance of localized knowledge, the need for perpetual adjustment and improvement of the built environment, the expansion and the growth of economies and services, etc.), we cannot plan and create the intentional and specific social-spatial configurations we like or desire (due to the unintentional effects of many actions interacting and the impossibility of collecting the dispersed knowledge); we can only create the conditions in which certain negative externalities are avoided and acceptable emergent socio-spatial configurations may occur and adapted over time. Such conditions regard (i) good planning on public spaces to grant certain infrastructures and (ii) good rules for private spaces that allow high degree of flexibility, experimentation and self-organization (i.e. rules that are simple, open, abstract and general, mainly negative, stable and easily enforceable).  After decades of comprehensive and technocratic planning, we can recognize certain limits and avoid them (i.e. the lack of flexibility, the problems and the costs of complex rules, the impossibility to forecast future emergent opportunities with detailed land-use plans). This doesn’t mean that we may neglect the importance of public interventions in addressing cities' development, but that we need to revise some consolidated planning dogmas diffused all along the twentieth century, repositioning our attention on what effectively guarantees cities' survival and wealth: the action. From this perspective, the experimental experience of Oosterwold, as well as other cases of the so called “organic planning” in the Netherlands, are merely examples of how social-spatial emergent configurations can evolve even without the traditional zoning plan, relying on forms of spontaneous developments and self-organizing processes.

Se riconosciamo il contributo fondamentale giocato dell’azione (spontanea) per funzionamento della città (ad esempio per l’innovazione, per l’uso della conoscenza dispersa, per il continuo e perpetuo adattamento/miglioramento dello spazio urbano, ecc.), non possiamo pianificare e creare le specifiche configurazioni sociali e spaziali che riteniamo auspicabili (ad esempio per via degli effetti inintenzionali dovuti all’interazione di molteplici azioni o, più in generale, per i limiti conoscitivi derivati dalla complessità del sistema sociale), ma al massimo possiamo introdurre certe condizioni che cercano di evitare l’emergere di esternalità negative e, al contempo, favoriscono l’evoluzione di (buone e accettabili) configurazioni socio-spaziali emergenti. Tali condizioni riguardano (i) una buona pianificazione della città pubblica per lo sviluppo di infrastrutture collettive ritenute necessarie, e (ii) buone regole per la città privata che garantiscono un’ampia flessibilità e abbondanti spazi per l’auto-organizzazione (ovvero regole che sono semplici, aperte, astratte e generali, prevalentemente negative, stabili e facilmente applicabili). Dopo una lunga stagione contraddistinta da una pianificazione urbanistica prevalentemente comprensiva e tecnocratica, alcuni limiti/problemi sono oramai evidenti e possono essere evitati (ad esempio la mancanza di flessibilità all’interno del piano, i costi derivanti da sistemi regolativi complessi, l’impossibilità di prevedere in anticipo future opportunità/necessità mediante piani urbanistici dettagliati). Questo non vuol dire rinnegare l’importanza dell’intervento pubblico nell’indirizzare lo sviluppo urbano ma, più semplicemente, che alcuni dogmi consolidati durante la seconda parte del XX secolo devono essere rivisti e superati per dare spazio a nuovi approcci. Da questo punto di vista, l’esperienza sperimentale di Oosterwold, così come altri casi della cosiddetta pianificazione organica diffusasi recentemente in Olanda, sono dei validi esempi di come sia possibile ottenere buone configurazioni socio-spaziali anche senza l’ausilio di tradizionali masterplan o mappe di zonizzazione.

The city as action. The dialectic between rules and spontaneity.

COZZOLINO, STEFANO

Abstract

If we recognize the essential role of action in the city functioning (i.e. its creative role for innovation, the importance of localized knowledge, the need for perpetual adjustment and improvement of the built environment, the expansion and the growth of economies and services, etc.), we cannot plan and create the intentional and specific social-spatial configurations we like or desire (due to the unintentional effects of many actions interacting and the impossibility of collecting the dispersed knowledge); we can only create the conditions in which certain negative externalities are avoided and acceptable emergent socio-spatial configurations may occur and adapted over time. Such conditions regard (i) good planning on public spaces to grant certain infrastructures and (ii) good rules for private spaces that allow high degree of flexibility, experimentation and self-organization (i.e. rules that are simple, open, abstract and general, mainly negative, stable and easily enforceable).  After decades of comprehensive and technocratic planning, we can recognize certain limits and avoid them (i.e. the lack of flexibility, the problems and the costs of complex rules, the impossibility to forecast future emergent opportunities with detailed land-use plans). This doesn’t mean that we may neglect the importance of public interventions in addressing cities' development, but that we need to revise some consolidated planning dogmas diffused all along the twentieth century, repositioning our attention on what effectively guarantees cities' survival and wealth: the action. From this perspective, the experimental experience of Oosterwold, as well as other cases of the so called “organic planning” in the Netherlands, are merely examples of how social-spatial emergent configurations can evolve even without the traditional zoning plan, relying on forms of spontaneous developments and self-organizing processes.
PUCCI, PAOLA
MORONI, STEFANO
IKEDA, SANFORD
19-giu-2017
Se riconosciamo il contributo fondamentale giocato dell’azione (spontanea) per funzionamento della città (ad esempio per l’innovazione, per l’uso della conoscenza dispersa, per il continuo e perpetuo adattamento/miglioramento dello spazio urbano, ecc.), non possiamo pianificare e creare le specifiche configurazioni sociali e spaziali che riteniamo auspicabili (ad esempio per via degli effetti inintenzionali dovuti all’interazione di molteplici azioni o, più in generale, per i limiti conoscitivi derivati dalla complessità del sistema sociale), ma al massimo possiamo introdurre certe condizioni che cercano di evitare l’emergere di esternalità negative e, al contempo, favoriscono l’evoluzione di (buone e accettabili) configurazioni socio-spaziali emergenti. Tali condizioni riguardano (i) una buona pianificazione della città pubblica per lo sviluppo di infrastrutture collettive ritenute necessarie, e (ii) buone regole per la città privata che garantiscono un’ampia flessibilità e abbondanti spazi per l’auto-organizzazione (ovvero regole che sono semplici, aperte, astratte e generali, prevalentemente negative, stabili e facilmente applicabili). Dopo una lunga stagione contraddistinta da una pianificazione urbanistica prevalentemente comprensiva e tecnocratica, alcuni limiti/problemi sono oramai evidenti e possono essere evitati (ad esempio la mancanza di flessibilità all’interno del piano, i costi derivanti da sistemi regolativi complessi, l’impossibilità di prevedere in anticipo future opportunità/necessità mediante piani urbanistici dettagliati). Questo non vuol dire rinnegare l’importanza dell’intervento pubblico nell’indirizzare lo sviluppo urbano ma, più semplicemente, che alcuni dogmi consolidati durante la seconda parte del XX secolo devono essere rivisti e superati per dare spazio a nuovi approcci. Da questo punto di vista, l’esperienza sperimentale di Oosterwold, così come altri casi della cosiddetta pianificazione organica diffusasi recentemente in Olanda, sono dei validi esempi di come sia possibile ottenere buone configurazioni socio-spaziali anche senza l’ausilio di tradizionali masterplan o mappe di zonizzazione.
Tesi di dottorato
File allegati
File Dimensione Formato  
Phd thesis Cozzolino.pdf

accessibile in internet per tutti

Descrizione: Testo della tesi
Dimensione 56.66 MB
Formato Adobe PDF
56.66 MB Adobe PDF Visualizza/Apri

I documenti in POLITesi sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/133510