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Il presente lavoro scaturisce dal desiderio di poter affrontare le sfide che la realtà pone oggi alle nostre città attraverso l’architettura e ciò che abbiamo studiato in questi anni di università. La volontà è quella di confrontarsi con le complessità di un tema così attuale come quello delle migrazioni, che da qualche anno ormai stanno generando un evidente cambiamento delle nostre città. Di fronte a un sempre maggior numero di profughi e migranti in Italia, in particolare a Milano, ci siamo chieste come rispondere, partendo dal presupposto di non voler risolvere un’emergenza, ma di dare una forma definita a un fenomeno che si sta consolidando. Dall’analisi del tema e dal confronto con varie realtà implicate da vicino, il lavoro si è strutturato in tre parti: la prima raccoglie documenti e testimonianze che raccontano come sono cambiati i flussi migratori e cosa sta accadendo oggi a Milano, particolarmente interessata da questo fenomeno negli ultimi anni. Le ragioni sono molteplici: si trova a ridosso del confine ed è una città economica, che offre possibilità. Allo stesso tempo è capace di rispondere e l’abbiamo visto in tante realtà che abbiamo conosciuto e analizzato. Dall’analisi svolta sul fenomeno migratorio, risulta interessante considerare la problematica da un punto di vista architettonico, nel tentativo di offrire un modello di accoglienza che possa rispondere alle nuove esigenze imposte dalle condizioni della situazione attuale e, allo stesso tempo, che possa rivelarsi un’opportunità per la città, andando a rigenerare le aree e gli edifici dismessi o sottoutilizzati, che costituiscono un sistema diffuso in tutto il tessuto urbano. L’intuizione inziale per il lavoro di tesi è stata infatti quella di affrontare il tema dell’accoglienza come occasione per restituire alla città alcuni luoghi ad oggi dimenticati. La seconda parte è costituita da un documento contenente le linee guida per la progettazione di spazi per l’accoglienza. E’ stata approfondita l’ipotesi di un modello che da un punto di vista sociale, economico e architettonico, risulti totalmente nuovo e che richiede un primo approccio di natura teorica e una successiva sperimentazione pratica. Questo documento non ha la pretesa di sostituirsi a nessun protocollo già esistente, né di risolvere il problema dell’integrazione, ma vuole definire i caratteri spaziali e architettonici di una nuova proposta. L’obiettivo è quello di definire una nuova tipologia di edificio, fornendo gli strumenti e le indicazioni necessarie alla sua applicazione in casi reali. Questo non corrisponde a una tipologia consolidata e costituisce un tema decisamente nuovo, che ha richiesto una riflessione su problematiche attuali e non ancora risolte - si tratta infatti di un argomento delicato e poco affrontato dal punto di vista di soluzioni spaziali - nel tentativo di offrire una risposta tipologica e architettonica coerente e contemporanea. La fase iniziale del lavoro si è concentrata nella raccolta di tutte quelle informazioni che definiscono le categorie sociali a cui appartengono i soggetti che beneficeranno di questo intervento: i rifugiati, gli operatori e la città di Milano. Il risultato è quello di un programma inedito che, attingendo dall’unione delle diverse strutture di accoglienza e di centro diurno studiate, si fa portatore dei caratteri più consoni per un modello sperimentale di accoglienza e accompagnamento all’autonomia. Questo si caratterizza per uno sguardo duplice: il primo, rivolto al profugo, prevede la costruzione di spazi per la permanenza e lo svolgersi di attività finalizzate al recupero dell’autonomia. Il secondo si rivolge alla città e al cittadino, a cui sono dedicati una serie di servizi che hanno sede nel centro e che possono essere utilizzati liberamente, diventando vero e proprio “filtro”, punto comune tra le due realtà. L’idea portante del modello è quindi offrire spazi che possano rivelarsi una possibilità per entrambi, migranti e cittadini. L’architettura acquisisce qui una funzione esplicitamente sociale ed educativa e il disegno degli spazi si rende capace di suggerire un modo nuovo e ben specifico di vivere e relazionarsi, che tenti di farsi promotore di una vita comunitaria e aperta all’interazione con la realtà locale e favorisca il reinserimento in una società nuova per i soggetti a cui si rivolge. La terza parte di questo lavoro vuole indagare l’applicazione del modello teorico nel contesto reale di due progetti, in modo da verificare la validità del documento. A partire da un’analisi delle aree degradate e degli edifici abbandonati a Milano, sono state scelte due aree in due quartieri a densità urbana molto differente. Anche le due tipologie di edificio sono molto contrastanti tra loro: una è un ex mercato comunale, a pianta quadrata disposto su due livelli. Il secondo edificio è un ex deposito del Molino Certosa, dal volume ampio, generato da una pianta lunga e stretta. In entrambi i casi, è stato sviluppato il programma funzionale proposto, di cui la caratteristica principale è l’unione degli spazi per l’accoglienza con alcuni spazi che servono la città e il cittadino. L’intuizione iniziale di unire i bisogni del migrante con quelli del cittadino ci ha permesso quindi di stilare un programma funzionale che ha come obbiettivo il dialogo e l’incontro con una realtà consolidata, creando spazi di condivisione. Dall’esercizio svolto è emerso che il documento dimostra la sua validità indipendentemente dalla tipologia di edificio, ma che non può trascurare il luogo in cui si inserisce: il tessuto, il quartiere e la vita del territorio sono parti fondamentali del processo progettuale.
Architettura e condivisione. Spazi, funzioni e strategie per l'accoglienza a Milano
RADICE, FRANCESCA;ZURLO, CLELIA
2015/2016
Abstract
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https://hdl.handle.net/10589/134172