Rebranding Scampia

Our journey begins right in front of the “Gioia” bar with a coffee, as good Neapolitan habit suggests. And it is right from here that, fearfully, we started out, inspired by curiosity, armed with camera and sketchbook, but mostly with contacts, associations, people who were just waiting for us narrate about their Scampia. Being able to divide the two points of view, the media and cinematographic one, from the real one, was the rst step towards the understanding of the place where we were. Scampia, victim of the hugest atrocities, theatre of pain and war, today is the voice of 40,000 inhabitants who take care of the territory. Nowadays, it has the highest number of associations in a single district; here we are talking about law, art, culture, organization, and production. Gomorrah, as con rmed by author himself, during our meeting, ended in 2006. What you now breathe in Scampia is something different; we found a place signi cantly abandoned by institutions but not degraded, or empty. The people have lled all the administration’s breaches from the bottom in this area. Our fear actually disappeared during our rst meeting with “I Pollici Verdi”, that started to clean up the park Corto Maltese with brooms and paint 10 years ago. Inhabitants, volunteers, as Mariella of the Gridas, who along with her boys takes care about the otherwise inexistent artistic and cultural offer. We felt protected when we walked into Gianni Maddaloni’s gym, where from all over the province, each day kids of all ages train with Olympic champions; a gym where the policeman’s son might be training with racketeer’s without seeming odd for anyone. It is right in the suburbs that we must seek because sometimes it is right there that we can nd the best part of our society. We have chosen as the emblem of the suburbs Scampia, a neighbourhood model, a “city made up of public housing” (De Lucia). The society we live in has changed its customs and this is declaring the need of a different way of thinking and designing, beginning from the bottom, a new method that can easily trigger mechanisms that power themselves, comparing themselves with more and more lacking resources.

Il nostro viaggio inizia davanti al bar Gioia, con un caffè, come da buona abitudine napoletana. È da qua che, timorosi, siamo partiti, forti della nostra curiosità, armati di telecamera, sketchbook e taccuino, ma soprattutto di contatti, di associazioni, di persone che già da settimane aspettavano di raccontarci qual era la loro Scampia. Riuscire a separare i due sguardi, quello mediatico/cinematogra co da quello reale è stato il primo passo verso la comprensione del luogo dove ci trovavamo. Scampia, vittima delle atrocità più grandi, teatro di dolore, di guerre, oggi è la voce di 40’000 abitanti che si prendono cura del territorio. Oggi registra il più alto numero di associazioni in un unico quartiere; qua si parla di legalità, di arte, di cultura, di organizzazione, di produzione. Gomorra, come ci ha confermato lo stesso autore, è nita nel 2006. Questo non signi ca che la criminalità sia stata scon tta ma semplicemente spostata, poco lontano, secondo Roberto Saviano. A Scampia ora si respira un aria diversa; un luogo sensibilmente abbandonato dallo Stato ma non per questo degradato o vuoto. Tutte le mancanze delle amministrazioni sono state in questo quartiere colmate dal basso, dal modello associativo, dalle persone. Il nostro iniziale timore è scomparso al primo incontro I Pollici Verdi, che 10 anni fa hanno iniziato a pulire con scope e vernici il parco Corto Maltese Abitanti, volontari, come Mariella del Gridas (Gruppo Risveglio al Sonno), che insieme ai suoi ragazzi si occupa dell’offerta culturale, o come Gianni Maddaloni che allena sullo stesso tatami gli di poliziotti e gli di detenuti. E’ nelle periferie che bisogna cercare, perché spesso è qua che si trova la parte migliore della società. Noi abbiamo scelto Scampia come emblema delle periferie, un quartiere popolare modello, una “città di case popolari” (De Lucia). L’ambiente nel quale viviamo ha cambiato i propri ritmi e questo dichiara la necessità di un metodo progettuale diverso, che parta dal basso e non più dall’alto, che sappia innescare meccanismi che a loro volta si auto alimentino, facendo i conti con risorse sempre più carenti.