Novi Stav. Un nuovo paragrafo

Our project is a reflection on the possibilities of coexistence and socialization between us and the others, between Europe and the Sea, clashes with the city of Sarajevo in recent years. Crossroads of Cultures of passage, ethnic groups and religions, Sarajevo was and will be the link between the two worlds, the East and the West; The opposite nature of the old continent. Its very urban vocation is complex and contradictory, concealed and revealed according the succession of signs, symbols and narratives of the powers that have governed, of lives that have corrupted. Stratification is therefore the secular compromise in which the remains are hiding between the ancient and the modern, between construction and reconstruction; Islamic feeling of the minarets, and the Austrian-Yugo desire of rationality.   Sarajevo is therefore the city of contradiction, opposing opposites, which will never attract. The project re-reads the stratified and blurred forms of one of the most controversial "European" capitals. It tries to abstract geometries, compositions and understand the social, anthropological dynamics that have generated the demographic catastrophe. Sarajevo presents itself as a case study for the proposition of an autonomous architecture that does not prescind from rewriting, from history, but which overlaps its characterizing aspects, to rewrite its own text. A new paragraph. Architecture is a lexical, metric-syntactic composition, an excerpt of those historical notes that we read analytically, a succession of excavations, signs that are based on traces. The urban plan is rooted in the gaps, the Austrian barracks, as a new home. Kasarna Maršal Tito. The city becomes a building, the building becomes a city. The bigness of form, the variety of contents, services, agility, hospitality, dispositions and social relationships are his prerogatives. As in a metabolism, you live your life. The scene becomes choral, the project fades between being inserted into the fabric and becoming itself a new hierarchy of textures, passages, links. The form is housed, in the barracks of the barracks, among the ruins, sometimes recognizable, by other latents. They do not read the boundaries clearly, disclose continuities, and hide the ribs. The limit is unmarked. This is the new city, the head of the new Sarajevo today, more than ever unbalanced. A university complex and a historical center, which is a historian, has only the crystallized memory between the Austrian facades and the marshal statue.

La riflessione sulle possibilità di coabitazione, di convivenza e di socializzazione fra noi e l’altro, fra Europa e Mare, si scontra nell’attualità di questi ultimi anni con la città di Sarajevo. L’odierna storia già scritta di popoli che vanno e che vengono; e vengono uccisi: “la morte in diretta”. Crocevia di culture di passaggio, etnie e religioni, Sarajevo era e sarà l’anello fra i due mondi, quello orientale e quello occidentale: le opposte nature del vecchio continente. Un dualismo radicato. La sua stessa vocazione urbana è complessa e contraddittoria, celata e disvelata secondo successioni di segni, simboli e narrazioni dei poteri che l’hanno governata, di vite che l’hanno corrotta. La stratificazione è dunque il compromesso secolare in cui i resti si nascondo tra l’antico e il moderno, tra costruzione e ricostruzione; fra il senso di appartenenza dei minareti e il desiderio jugo-austriaco della razionalità. Sarajevo è dunque la città della contraddizione, degli opposti che si sfiorano, ma non si attraggono mai. Il progetto rilegge le forme stratificate e offuscate di una delle più controverse capitali “europee”. Tenta di astrarne geometrie, composizioni e comprenderne le dinamiche sociali, antropologiche, che hanno generato la catastrofe demografica. Sarajevo si presenta come caso studio per la proposizione di un’architettura autonoma che non prescinda da riscritture, dalla storia, ma che ne colga gli aspetti caratterizzanti, per riscrivere il proprio testo. Un testamento. L’architettura si presenta come una composizione lessicale, metrico-sintattica, uno stralcio di quegli spartiti storici che rileggiamo analiticamente, una successione di scavi, segni, che si fondano su tracce. L’impianto urbano si radica sui vuoti, le rovine austriache della caserma, come nuova casa. Kasarna Maršal Tito. La città si fa edificio, l’edificio diviene città. La grandezza della Forma, la varietà dei contenuti, dei servizi, degli agi, dell’ospitalità, delle disposizioni e le relazioni sociali, sono le sue prerogative. Come in un metabolismo, si vive la vita. Si ospita, si viene ospitati. Come l’antica tekia, l’università diventa una famiglia, dove sostare, vivere, mangiare, condividere e crescere. La scena diviene corale, le infrastrutture come fondamenti, la stazione dei treni, quella dei bus, le linee tramviarie, il sistema capillare dei trasporti, e le auto, i parcheggi, gli spazi collettivi, i negozi, i mercati, e i caffè, il gioco degli scacchi, la vita nelle strade, i passages. Il progetto si sfoca fra l’essere inserito nel tessuto e fondare esso stesso una nuova gerarchia di trame, passaggi, collegamenti. La forma viene ospitata, assoluta, nella cortina della caserma, fra le macerie di un conflitto ancora indelebile. Non si leggono chiaramente i confini, disvelano le continuità e nascondono i bordi. Il limite è indicibile. Questa è la nuova città, il capo della Sarajevo oggi più che mai sbilanciata. Un complesso universitario e un centro storico, che di storico ha solo la memoria cristallizzata fra le facciate austriache e la statua del maresciallo. Un spazio collettivo e corale per la città, della città. Il morfotipo architettonico rilegge le caratteristiche del “tappeto” ottomano, e permette la tessitura di nuove trame governate da gerarchie spaziali precise. La mancanza di un principio di urbanità all’interno della città consolidata porta ad un’incoerenza tra il tessuto urbano e l’organizzazione spaziale dell’architettura. Le regole compositive che si basano sui principi del mat building consentono tuttavia una rivalutazione dell’architettura strettamente legata al luogo rendendo lo spazio pubblico centro strategico per la composizione del progetto urbano. Autonomi, fortemente correlati ma indipendenti, gli edifici a corte si inseriscono fra le trame del tappeto, come palazzi, la cui forma è fortemente connotata dalla memoria dei caravansaraj, le residenze temporanee tipiche della cultura ottomana. Infine gli edifici in linea contribuiscono alla restituzione formale di cui Sarajevo necessita, organizzando la domanda di residenza in grandi elementi unitari e collettivi come risposta alla costruzione vernacolare e sporadica delle tipske kuce, le residenze abusive e non regolate delle Bosnia.