In the history of intentional communities, the Israeli kibbutz occupies a relevant position: it is indeed the richest and most successful example of (post) utopian society. Born in British Mandate Palestine, the kibbutz was used by the Zionist World Organization as a way to colonize the land of future Israel and absorb the Jewish immigrants of the Aliyah. Their economic and social structure was based on the famous motto: from each according to his ability, to each according to his needs. Despite the success, the whole movement fell into a deep ideological and economic crises in the ’80 and had to make some reform in order to survive. These reforms completely change the social structure of the traditional kibbutz, transforming it into a privatized gated community. Nevertheless, a new movement had risen from the ashes of the old kibbutz. Its name is educators movement, and the aim is to improve the Israeli society from within the city. Tamuz in Beit-Shemesh, Migvan in Sderot, Amitai in Givat Haviva and Mishol in Nazareth contribute into creating a better, equal and just Israeli society. Finally, project of an urban kibbutz in South Tel Aviv explores the infinite possibilities of an urban community and tries to resolve the issues of the existing urban kibbutzim facing the challenge of surviving in one of the most dynamic and overpriced cities in the world.

Nella storia delle comunità intenzionali, il kibbutz occupa una posizione di rilievo: si tratta infatti di uno degli esempi di utopia (o meglio di post-utopia) più longevi, più ricchi, più prosperosi. Nati all’inizio del ventesimo secolo nella Palestina britannica, i kibbutzim venivano impiegati dall’Organizzazione Sionista sia come centri di colonizzazione della terra, sia come poli di assorbimento degli immigrati delle varie Aliyah. La struttura economica era prevalentemente agricola e la distribuzione delle ricchezze seguiva il motto reso celebre da Karl Marx: “A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità”. Dopo aver attivamente contribuito alla formazione dello Stato di Israele, il movimento è diventato una delle istituzioni più stimate e riconosciute dai suoi cittadini, godendo di appoggio politico ed economico per decenni. Tuttavia, alla fine degli anni ’80, il movimento ha dovuto affrontare una pesante crisi economica ed ideologica: molti kibbutzim sull’orlo della bancarotta si sono privatizzati, quasi tutti hanno introdotto riforme più morbide, pochissimi sono rimasti fedeli al modello tradizionale. Queste riforme hanno salvato la federazione dalla bancarotta, ma hanno snaturato l’intero movimento. All’alba del nuovo secolo, i kibbutzim si presentavano come una gated community per la borghesia israeliana, e sono oggi una delle istituzioni più malviste dello stato. Il tramonto dei kibbutzim tradizionali, tuttavia, 8 9 ha coinciso con la nascita di un nuovo movimento, giovane, fresco e socialmente impegnato. Recuperando l’originale e ormai dimenticata vocazione dei kibbutzim, ovvero la costruzione di una società equa e giusta e l’educazione del nuovo israeliano alla pace, convivenza e solidarietà, questo giovane “Movimento degli educatori” ha riproposto il modello tradizionale del kibbutz nelle città, sostituendo il pionierismo agricolo degli inizi con pionierismo sociale contemporaneo. Nato negli anni ’80, il movimento conta oltre centinaia di gruppi sparsi per tutto Israele. Tra i più importanti e influenti ci sono Migvan a Sderot, Mishol a Nazareth, Tamuz a Beit Shemesh e Kibbutz Amitai a Givat Haviva. Si tratta di centri disomogenei per struttura sociale, architettonica, economica. L’unico denominatore comune è l’impegno sociale e la collocazione urbana. I kibbutz urbani lavorano in stretta collaborazione con la municipalità, che usa queste comunità come strumento di riqualificazione urbana efficiente ed economicamente sostenibile. Il progetto prevede la nascita di un nuovo kibbutz urbano a Tel Aviv, nella difficile area della stazione dei bus, Shapira. Povertà, disoccupazione, tensioni sociali, immigrazione: questi sono i problemi principali del quartiere. Consapevoli della natura mutevole dei problemi sociali e dei repentini processi di gentrificazione nelle metropoli contemporanee, specialmente in una città come Tel Aviv, si è deciso di intervenire con ‘unità mobili’ leggere, spostabili e riutilizzabili laddove c’è più bisogno, e al contempo, creare una comunità più fluida e in grado di adattarsi ai cambiamenti, un intervento mirato e temporaneo in una società in cui nulla sembra essere permanente ma tutto in costante cambiamento.

Manifesto per una nuova utopia cittadina

BONGIORNO, ELENA
2016/2017

Abstract

In the history of intentional communities, the Israeli kibbutz occupies a relevant position: it is indeed the richest and most successful example of (post) utopian society. Born in British Mandate Palestine, the kibbutz was used by the Zionist World Organization as a way to colonize the land of future Israel and absorb the Jewish immigrants of the Aliyah. Their economic and social structure was based on the famous motto: from each according to his ability, to each according to his needs. Despite the success, the whole movement fell into a deep ideological and economic crises in the ’80 and had to make some reform in order to survive. These reforms completely change the social structure of the traditional kibbutz, transforming it into a privatized gated community. Nevertheless, a new movement had risen from the ashes of the old kibbutz. Its name is educators movement, and the aim is to improve the Israeli society from within the city. Tamuz in Beit-Shemesh, Migvan in Sderot, Amitai in Givat Haviva and Mishol in Nazareth contribute into creating a better, equal and just Israeli society. Finally, project of an urban kibbutz in South Tel Aviv explores the infinite possibilities of an urban community and tries to resolve the issues of the existing urban kibbutzim facing the challenge of surviving in one of the most dynamic and overpriced cities in the world.
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
25-lug-2017
2016/2017
Nella storia delle comunità intenzionali, il kibbutz occupa una posizione di rilievo: si tratta infatti di uno degli esempi di utopia (o meglio di post-utopia) più longevi, più ricchi, più prosperosi. Nati all’inizio del ventesimo secolo nella Palestina britannica, i kibbutzim venivano impiegati dall’Organizzazione Sionista sia come centri di colonizzazione della terra, sia come poli di assorbimento degli immigrati delle varie Aliyah. La struttura economica era prevalentemente agricola e la distribuzione delle ricchezze seguiva il motto reso celebre da Karl Marx: “A ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue capacità”. Dopo aver attivamente contribuito alla formazione dello Stato di Israele, il movimento è diventato una delle istituzioni più stimate e riconosciute dai suoi cittadini, godendo di appoggio politico ed economico per decenni. Tuttavia, alla fine degli anni ’80, il movimento ha dovuto affrontare una pesante crisi economica ed ideologica: molti kibbutzim sull’orlo della bancarotta si sono privatizzati, quasi tutti hanno introdotto riforme più morbide, pochissimi sono rimasti fedeli al modello tradizionale. Queste riforme hanno salvato la federazione dalla bancarotta, ma hanno snaturato l’intero movimento. All’alba del nuovo secolo, i kibbutzim si presentavano come una gated community per la borghesia israeliana, e sono oggi una delle istituzioni più malviste dello stato. Il tramonto dei kibbutzim tradizionali, tuttavia, 8 9 ha coinciso con la nascita di un nuovo movimento, giovane, fresco e socialmente impegnato. Recuperando l’originale e ormai dimenticata vocazione dei kibbutzim, ovvero la costruzione di una società equa e giusta e l’educazione del nuovo israeliano alla pace, convivenza e solidarietà, questo giovane “Movimento degli educatori” ha riproposto il modello tradizionale del kibbutz nelle città, sostituendo il pionierismo agricolo degli inizi con pionierismo sociale contemporaneo. Nato negli anni ’80, il movimento conta oltre centinaia di gruppi sparsi per tutto Israele. Tra i più importanti e influenti ci sono Migvan a Sderot, Mishol a Nazareth, Tamuz a Beit Shemesh e Kibbutz Amitai a Givat Haviva. Si tratta di centri disomogenei per struttura sociale, architettonica, economica. L’unico denominatore comune è l’impegno sociale e la collocazione urbana. I kibbutz urbani lavorano in stretta collaborazione con la municipalità, che usa queste comunità come strumento di riqualificazione urbana efficiente ed economicamente sostenibile. Il progetto prevede la nascita di un nuovo kibbutz urbano a Tel Aviv, nella difficile area della stazione dei bus, Shapira. Povertà, disoccupazione, tensioni sociali, immigrazione: questi sono i problemi principali del quartiere. Consapevoli della natura mutevole dei problemi sociali e dei repentini processi di gentrificazione nelle metropoli contemporanee, specialmente in una città come Tel Aviv, si è deciso di intervenire con ‘unità mobili’ leggere, spostabili e riutilizzabili laddove c’è più bisogno, e al contempo, creare una comunità più fluida e in grado di adattarsi ai cambiamenti, un intervento mirato e temporaneo in una società in cui nulla sembra essere permanente ma tutto in costante cambiamento.
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/134642