Le radici del sacro. Architettura tra individuo e comunità

Our contemporaneity seems to require architectures capable of accommodating any human activity. Spaces decline as neutral: characterization assumes the limitation value of possibilities. If everyone can be everything, it means that we are talking about a suspension of judgment against the use of the architectural project: the destination becomes a positively attributed value. Identity becomes a secondary issue. Society seems to require greater versatility to the detriment of identity. If it is true that identity is the foundation on which the community is based, how can one recognize it in something that does not take into account the singularity of each individual? The present situation is a striking example: individuality is perceived as diversity, and what is different is posing as unknown, dangerous, avoidable ... not necessary. So you are looking for the comfortable, the known one: safe as it does not hurt anything. We live in a world of reassuring, pleasing effigies; Of immediate and superficial responses; Of anonymous spaces that offer nothing but the advent of their representations. We are of the century of apparition: everything runs out in itself. No relationships are built. But if there is no relationship, how can one know the stranger? How can we talk about integration? How can we talk about communities? To accept the other, to recognize it for what it is, without qualitative attributes, it is necessary to reconstruct a relationship: to recognize the sacredness of the human being. The common root becomes the prerequisite for getting in touch to reach comprehension and therefore respect, an inalienable value to any coexistence. While it is true that architecture reflects the spirit of time, it is not said that a change of society does not arise from an architectural conception. The answer to the problem could be formulated by setting up a meeting place, and thus "sacred": a space of relationships, not hypothesized as a neutral space, but as contained in spaces that allow the affirmation of the singularities that make up a community Finally, of individuals. The series of reflections discussed in this book is the approach of an international architecture competition. The theme: a place of worship for three religions. This interesting announcement has produced a number of considerations that transcended the same competition in order to build a theoretical basis that would allow such a complex project question to be addressed. The issues described are the questions that we have come up with at the design stage and then be re-examined after the outcome of the competition, not so much because they are dissatisfied with the result, but rather to look for a friction inside the design process, something that has passed Unobserved in our eyes, because too involved to be able to see it. To this end, we have decided to ask for an interview with professionals in order to submit them to the same processes being dealt with during the project. The final product consists of a narration between theory and application, so that the final project can be traced back to all the reasons given and the considerations that have emerged.

La nostra contemporaneità sembra richiedere architetture capaci di ospitare qualsiasi attività umana. Gli spazi si declinano come neutrali: la caratterizzazione assume la valenza di limitazione delle possibilità. Se tutti possono essere tutto, significa che stiamo parlando di una sospensione del giudizio nei confronti dell’uso del progetto architettonico: la destinazione diventa un valore attribuito a posteriori. L’identità diventa una questione secondaria. La società sembra richiedere, dunque, una maggiore versatilità a discapito dell’identità. Se è vero che l’identità costituisce il fondamento sul quale si basa la comunità, come si può riconoscersi in qualcosa che non prende in considerazione la singolarità di ogni individuo? La situazione attuale ne è un esempio lampante: l’individualità viene percepita come diversità, e ciò che è diverso si pone come sconosciuto, pericoloso, evitabile…non necessario. Dunque si ricerca il confortevole, il conosciuto: sicuro in quanto non cela niente. Viviamo in un mondo di effigi rassicuranti, gradevoli; di risposte immediate e superficiali; di spazi anonimi che non offrono niente se non l’avvenenza delle proprie rappresentazioni. Siamo del secolo dell’apparenza: tutto si esaurisce in sé stesso. Non si costruiscono relazioni. Ma se non esistono relazioni, come si può conoscere lo sconosciuto? Come si può parlare d’integrazione? Come si può parlare di comunità? Per accettare il diverso, per riconoscerlo per quello che è, senza attribuzioni qualitative, è necessario ricostituire una relazione: riconoscere la sacralità dell’essere umano. La radice comune diventa il presupposto per entrare in contatto, per giungere alla comprensione, e quindi al rispetto, valore irrinunciabile a qualsiasi convivenza. Se è vero che l’architettura riflette lo spirito del tempo, non è detto che un cambiamento della società non scaturisca da una concezione architettonica. La risposta al problema potrebbe essere formulata attraverso la costituzione di un luogo d’incontro, e quindi “sacro”: uno spazio delle relazioni, non ipotizzato come spazio neutrale, ma come contenuto da spazi che permettano l’affermazione delle singolarità che compongono una comunità, finalmente, di individui. La serie di riflessioni trattate in questo libro costituiscono l’approccio con in quale è stato affrontato un concorso internazionale di architettura. Il tema: un luogo di culto per tre religioni. Questo interessante bando ha prodotto una serie di considerazioni che trascendevano lo stesso concorso, al fine di costruire una base teorica che permettesse di affrontare una così complessa domanda progettuale. Le questioni descritte rappresentano gli interrogativi che ci siamo posti in fase progettuale, per poi essere riesaminate dopo l’esito del concorso, non tanto perché insoddisfatti del risultato conseguito, ma piuttosto per cercare all’interno del processo progettuale una frizione, qualcosa che fosse passato inosservato ai nostri occhi, perché troppo coinvolti per poterlo vedere. A questa finalità abbiamo deciso di chiedere un colloquio con dei professionisti, al fine di sottoporli agli stessi processi affrontati in fase di progetto. Il prodotto finale consiste in una narrazione tra teoria e applicazione, in modo da giungere al progetto finale ripercorrendo tutti i ragionamenti effettuati e le considerazioni che sono emerse.