BANANA. Built absolutely nothing snywhere Near anything

How does contemporaneity succeeds in overlapping to sensitive and untouchable contexts? How to approach the multitude of items necessary to bring on the contemporary lifestyle but which nobody would ever bear next-doors? The Venice Lagoon embodies an unusual urban fabric, symbol of all those settlements in very specific territories, deeply shaped by the anthropic hand, but at the same time eventually conceived nowadays as forbidden. The balance articulating life on the lagoon can’t help boosting its brittleness.The limit, if one, between anthropic landscape and natural one is necessarily fleeting, as a matter of fact it is clear the enhancement for a specific reading of the systemic lagoon organized by magnetic poles (Mestre, Venezia, il Lido, Chioggia) crossed and inhabited by means of the canals infrastructure, marked by the underwater orography and finally colonized by scattered settlements outlining a constellation of dots. Such lagoon islands are kept alive uniquely by the broader net embracing them, they speak the language of artificial settlements, cut out from the muddy ground they detect the reason of their birth among a series of functional roles, yet disappeared. The scattered lands are inevitably revolving around magnetic cores even though they tend to keep their identity whether detached, vitally independent. The reading of such a beautiful pentagram triggers the questioning on the real meaning of placing any kind of artifact inside such softly balanced environment. As a consequence, opposite to the contemporary programmatic approach, the role of an intervention by means of a specific and fragmented act aims at participating to a unitary context extending the layering process which deeply defines the so called Genius loci. The colonization of Venice lagoon has always moved along with the subtraction of land from water, cooperating with the shaping of a specific already existing morphology of cut out objects underlined by precise and strong perimeter. The architect Gio Ponti, referring to Andrea Palladio’s writings, highlights the key centrality of “perpetuity” as connotation of built architecture (finished) in compareson with the ephemeral nature (unfinished) “ciò che resta contro ciò che passa”. Not so distant has always been the local approach to construction and protection of the homeland. Resistance to natural and rather negative mutations of the territory makes such environment so unique and hard to handle due to the key control of the artificial on the natural. The overlapping observation of both methodic spontaneous behaviors and the more subjective interpretation of the context provoquate several questions about the possibility of a contemporary coexistence of morphologic, social, historical, economical, technical, political and cultural layering. The answer is not univocal, nor could be crystalized as such, but it comes for sure directly from a very Italian experience with conservation where anything is preserved nor is passing on if it stays still. That’s the paradox lying behind memory which needs mutation, the plug-in of new parts following the local genetic code so to assure a balanced and harmonic growth. This turned out being the starting point for the interest in approaching a system able to blend such contradictions into only one peaceful picture made up of nature and anthropization cohabiting with the exploitation of settlements and contemporary urban dynamics of consumption. The composition is therefore guided by a seek for specificity of architecture together with a dialogue with the territory from a proportional, material, symbolical and typological point of view. Moreover, the research focuses on the contemporary but tricky role of all those ‘uncomfortable’ items so necessary but seen as unbecoming to the majority. The architectural punctual intervention stresses, by its rooting in one of the consolidated lagoon settlements, the idea of generating a prototype of intrusion in the heart of such a fragile environment. The artifact collects functional and technical characters (NIMBY: ‘Not in my backyard) placing the building far away from a human and cozy scale together with the historical coexistence and the landscape background, relying on the quality of architectural spaces as the best way to mediate the relationship among those actors. The projects questions the topic if isolation, both imposed and chosen, the issue of the eventual strengths of typological autonomy and the role that the artifact itself is acquiring in the territory. The research aims at having a uniform and detailed control of the object, testing its rooting, the materiality and proportion in the foggy landscape. The narration finally leads to an identification of a specific vocabulary which had a key resonance, rather offscreen, in the design process.

In che modo la contemporaneità riesce ad inserirsi tra le righe di contesti delicati, sensibili e talvolta intoccabili? Come approcciare tutti quegli elementi del sistema contemporaneo indispensabili, ma che nessuno vorrebbe fossero realizzati? La laguna veneta rappresenta un sistema urbano anomalo, un insediamento in un territorio specifico, modellato dall’uomo nel senso più profondo possibile, ma al tempo stesso paradossalmente considerato intoccabile. L’equilibrio che scandisce la vita della laguna contribuisce ad irrobustirne la fragilità, si rimane appesi alla volubilità del livello delle maree, alla resistenza delle fondamenta umide, alle pietre scivolose dei sagrati e all’aranciato dei mattoni che, ritagliando il paesaggio, separano di netto l’acqua dal cielo fosco, altrimenti indistinguibili. La lettura di questo spartito bellissimo ha motivato ad interrogarsi sul significato dell’inserimento di un qualsiasi elemento all’interno di tale equilibrio. Il ruolo di un intervento che, in contrasto con l’approccio programmatico contemporaneo, ambisca attraverso la costruzione del frammento, del gesto puntuale e specifico, a partecipare all’unità, proseguendo un discorso di stratificazione inscindibile dal Genius loci. L’insediamento lagunare ha sempre proceduto attraverso un atto di sottrazione dalle acque, collaborando alla morfologia esistente nel consolidare e ridisegnare i contorni dei fragili lembi di terra affioranti. La sovrapposizione di una caratterizzazione di un metodo insito nel luogo e l’interpretazione del contesto contemporaneo del territorio hanno provocato numerosi interrogativi sulla possibilità, ad oggi, di una convivenza di stratificazioni morfologiche, sociali, storiche, pratiche, economiche, politiche, tecniche e culturali. La risposta non è univoca, forse tantomeno è qualificabile in quanto tale, ma sicuramente nasce dalla paradossale esperienza italianissima della conservazione (memoria/fisica) dove nulla si conserva né mai si tramanda se resta immobile e stagnante. È il paradosso della memoria, che per sopravvivere ha bisogno del mutamento, un innestarsi del nuovo nel rispetto del codice genetico del luogo, favorendone una crescita armonica. Da qui l’interesse per lo studio attento di un sistema in grado di armonizzare le chiare così come contraddittorie componenti effimere e permanenti di un luogo così specifico, dove natura e manufatto antropico convivono con l’usura dell’insediamento e, oggi, le dinamiche urbane di consumo. L’intento compositivo è guidato e motivato in primo luogo dalla ricerca di specificità dell’architettura, di colloquio con il territorio, non sul piano sociale ma proporzionale, materico, simbolico e tipologico; in secondo luogo dal ruolo contemporaneo di un’architettura non antropocentrica ma antropizzante, che testi i limiti dell’oggetto genericamente scomodo. L’esercizio mira a visualizzare in maniera estremamente concreta un elemento potenzialmente destabilizzante all’interno di un sistema delicato e morbido, che ha la tendenza ad essere più volentieri ammirato, dipinto o imbalsamato. L’intervento progettuale tecnico, nel radicarsi in uno dei puntuali elementi insediativi lagunari consolidati, può quindi rappresentare un pretestuoso esperimento di incursione, capace di mettere a sistema l’elemento ‘sporco’, lontano dalla scala umana e suo malgrado simbolico di una contemporaneità produttiva e di consumo (NIMBY: ‘Not in my backyard’), con la stratificazione storica e la specificità territoriale, affidando la mediazione alla fiducia nell’architettura come 'monotipo'.Il progetto si interroga dunque sul tema dell’isolamento (imposto o volontario), sull’eventuale significato reale dell’autonomia tipologica e del ruolo che il manufatto in sé acquisisce nel paesaggio; la ricerca è volta ad ottenere un controllo approfondito dell’oggetto, verificandone il radicamento nel territorio, la materia, la natura inanimata, la sua proporzione nella nebbia. Il percorso narrativo infine mira a srotolare un insieme di tematiche che, mantenendosi più o meno in contraddizione tra loro, avvalorano e demoliscono la sovrapposizione di letture che definisce la stratificazione del luogo individuando tutto quel vocabolario che deve avere risonanza decisiva nel processo progettuale.