Why is identity important in architectural practice? How does it interfere whit daily perceptions? Does it have social implications? What are the elements landing identity to a building? This theoretical research finds its early origins in a series of questions dealing with the identity issue in architectural panorama. It has always been really delicate and tricky to talk about such an undefined subject even if it has already been dissected in all directions. The moment when the discussion came under the spotlight was after world war two, during European reconstruction, when the globalizing impulse definitely came in architectural field. However, after almost a century, the issue concerns our time more than ever. The last twenty years have been marked by the expansion and liberalization of international capital and major advances in communication which have created the phenomenon known as globalisation. The breakdown of national barriers to trade and communication and the increased movement of populations have had a significant effect on the stability of communities and have affected their sense of identity. The intrinsic identity of the place has also been transformed as cities adapt and project themselves on the global market. Architects are the agents of the symbolic visual markers of identity and, at the top of their profession, have been instrumental in major changes in the built environment. As social identity is challenged by the effects of globalisation, geographically stable architectural identity can be a palliative to vulnerable communities. The architectural profession has a unique opportunity to influence the character of places to the benefit or dis-benefit of the resident and incoming communities. A broad view of how the architectural profession itself fits into an emerging global society and how it has responded to these challenges and opportunities will reveal if it is acting as a positive or negative force for newly destabilised communities and their sense of identity. One of the most prominent answers to this issue came from the movement called Critical Regionalism. The basic goal was to find a middle ground between two extremes. While the modernists strived to create a place-less "universal" architecture with the International Style, critical regionalists insisted that the building must reflect the culture and tradition of its region through its design and materials. While the postmodernists celebrated ornamentation for its own sake, critical regionalists insisted that stylistic flourishes must only be applied in a measured and meaningful way. The greatest intuition was the ability to strengthen the existing identity of a place inventing something new. Critical regionalism was not simply regionalism in the sense of vernacular architecture. It was a progressive approach to design that sought to mediate between the global and the local languages of architecture. This thesis will try to give an answer to the questions that came out at the beginning. Then it will move on the architectural practice trying to analyse the heredity of the critical regionalism, in order to understand how it might come in handy for the rising generation of architects. What is the place for identity in the contemporary atelier? Will it take its place between today’s trends? Once we will have deeply analysed the figurative elements capable to lend identity to architecture, we will try to show how they have been identified and cleverly used by an interdisciplinary group of artists, operating in the Padana region, who contributed to an important evolution of the architecture approach during the last century. Few artists, different ages, belonging to the same place. The last two exponents of this "wide atelier" are Paolo Zermani and Mario Cucinella, who strongly contributed to this work. The thesis finally aims to argue how, a contemporary architecture even different from the ancient ones, could be impregnated with "identity". Conservation is not the unique and best method to keep the evolving character of a place safe, even in non-metropolitan areas

Perché la questione dell’identità appare così fondamentale nella pratica architettonica? Come interferisce nella nostra percezione quotidiana? Possiede delle implicazioni sociali? Quali sono gli elementi che conferiscono una precisa identità ad un edificio? Questa ricerca teorica trova le sue origini fondanti in una serie di domande che riguardano il tema dell’identità nel panorama architettonico. Si è sempre rivelato arduo e delicato parlare di un argomento così poco definito, anche se è già stato dissezionato in tutte le direzioni. Il momento in cui la discussione arrivò sotto i riflettori fu in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, durante il periodo di ricostruzione in Europa, quando gli impulsi globalizzanti giunsero definitivamente nel campo architettonico. Ad ogni modo, dopo quasi un secolo, la questione riguarda i nostri tempi più che mai. Gli ultimi vent’anni sono stati caratterizzati dalla espansione e liberalizzazione di capitali internazionali e dalla rivoluzione degli strumenti di comunicazione che hanno dato origine al fenomeno noto come globalizzazione. La rottura delle barriere nazionali per il commercio e la condivisione e i crescenti spostamenti di persone ha avuto un effetto significativo sulla stabilità delle comunità e ha colpito il loro senso di identità. Nel momento in cui le città si sono adattate e hanno proiettato loro stesse sul mercato globale anche l’identità architettonica urbana ha subito uno sconvolgimento epocale. Gli ultimi settant’anni in Italia come in Europa hanno visto infatti il proliferare di nuove identità che si proponevano come valide alternative a quella indigena dominante. Alcuni esempi sono l’architettura residenziale popolare degli anni 60-70, nella quale si intravede l’intento di cavalcare un’onda di benessere, di fretta di costruire, di crescere, di aumentare la popolazione, figlia del consumismo e del liberismo. Oppure ancora l’architettura globale, omologata, del ventunesimo secolo, che riflette la necessità di rispondere alle esigenze di un ristretto tipo di popolazione che allo stesso modo è diventata globale, perché vive di connessioni globali, tratta merce globale e quotidianamente si sposta da un continente all’altro ricercando sempre gli stessi standard di vivibilità. Queste, ed altre, si sono sovrapposte ad una identità vernacolare caratterizzata da una infinita ricchezza in termini di differenziazioni, tipicità, cultura e così via. Quella vernacolare rimane quindi l’unica depositaria, non solo di specificità architettoniche ben definite, ma anche di valori sociali condivisi da una comunità di persone. L’architettura, ma più in generale i caratteri del luogo, insieme a vari altri fattori quali ad esempio la lingua o i prodotti culinari, permettono all’uomo di riconoscersi, autodefinirsi, e quindi identificarsi. Proprio nell’architettura tradizionale autoctona l’uomo sempre più spesso cerca una trincea dietro la quale proteggersi dagli sconvolgimenti sociali che ha causato la perdita di identità in paesi come il Nord Europa o l’asia più sviluppata. Un efficacie palliativo per le comunità più vulnerabili. In questo panorama estremamente vasto, gli architetti ricoprono il ruolo di custodi dei tratti visuali e simbolici dell’identità del luogo e, agli apici della professione, sono stati i responsabili dei maggiori cambiamenti dell’ecosistema costruito. Può condizionare il carattere dei luoghi per il beneficio o a discapito delle comunità residenti o visitatrici. È utile a questo punto cercare inquadrare la questione a partire da una visione più ampia, per comprendere come negli ultimi decenni l’architettura stessa si sia interfacciata con la società globale emergente e come abbia saputo rispondere a queste nuove sfide ed opportunità. Questo approccio permetterà di stabilire se stia agendo come forza positiva o negativa per le nuove comunità destabilizzate e per il loro senso di identità, per poi spostarsi ad un’analisi più puntuale del problema. Una delle risposte di maggiore spicco a questo dibattito giunse dal movimento chiamato Regionalismo Critico. L’obiettivo basilare era quello di individuare una terra di mezzo tra due estremi emersi durante la ricostruzione postbellica. Mentre la corrente modernista combatteva per la definizione di una architettura universale e “senza luogo” attraverso l’International Style, i fautori del regionalismo critico controbattevano affermando che l’edificio debba riflettere la cultura e le tradizioni del luogo attraverso il progetto e i materiali. Mentre i postmodernisti celebravano l’ornamento fine a sé stesso e il citazionismo, il regionalismo critico sosteneva che il prosperare stilistico dovesse essere applicato in maniera misurata e poco eloquente. La più grande intuizione che ebbe questo movimento, fu l’abilità di rafforzare l’identità esistente di un luogo inventando qualcosa di nuovo. Frampton lo definisce come «una cultura forte e carica di identità, che mantenga tuttavia aperti i contatti con la tecnica universale». Il regionalismo critico non fu semplicemente un approccio sterile volto a venerare l’architettura vernacolare. Fu un approccio progressivo al progetto che cercava di mediare tra il linguaggio globale e locale dell’architettura, ma che guardava con particolare attenzione a stabilire una connessione percepibile con l’architettura indigena. Questa lezione risulta fondamentale per il futuro del dibattito. L’aspetto innovativo e rivoluzionario di questa ricerca si ritrova nella capacità di non soffermarsi agli aspetti formali vernacolari e di ergerli a custodi di identità, ma di aprire l’analisi a tutto il campo della percezione permettendo di giungere ad un concetto di identità in divenire, fertile, dinamico. Se fino a questo momento il carattere più o meno identitario dell’architettura è sempre stato delegato alla sensibilità soggettiva dell’architetto, questa tesi prova a spostarsi verso un approccio più analitico oggettivo. Per fare questo è stato necessario sperimentare un processo diviso in tre momenti: concreto-astratto-concreto. Si è quindi partiti dall’analisi dei dati concreti e sensibili presenti in tutta l’architettura vernacolare come in quella contemporanea. In un secondo momento si è proceduto all’astrazione, che ha permesso di individuare quattro concetti come principali attori che giocano un ruolo nel determinare l’identità architettonica di un edificio. Questi concetti astratti hanno poi riacquisito una concretezza attraverso lo studio della loro applicazione architettonica. Il passaggio che più di tutti rimane fondamentale per questa ricerca è quello dell’astrazione. Permette infatti di scostarsi dal pensiero comune che vede l’identità mummificata attraverso una conservazione volta alla musealizzazione del patrimonio, e recuperare l’identità come entità dinamica e progressiva e non esclusiva dell’architettura vernacolare. Questa astrazione si concretizza attraverso il concetto di ambiance, ovvero il campo che si occupa dello studio della percezione umana dei luoghi. L’ambiance lavora presupponendo una sensibilità diversa da quella limitata dei 5 sensi. La percezione del luogo passa attraverso la sua atmosfera, attraverso la memoria e le sensazioni. L’individuazione dei quattro elementi alla base dell’identità è partita analizzando il concetto in maniera più ampia possibile. In particolare sono state messe in relazione l’identità umana con quella architettonica. L’uomo è riconoscibile tra gli altri suoi simili attraverso quattro caratteristiche fondamentali che possiede unicamente in quanto essere non replicabile. Queste sono i tratti somatici, il carattere, la memoria e le relazioni che ha con ciò che lo circonda. Possiamo quindi affermare che l’identità di un essere umano sia determinabile attraverso una di queste peculiarità proprie dell’individuo e che, la combinazione delle quattro, ne rappresenti una forma completa e insindacabile. Ad ognuna è stato associato il corrispettivo architettonico. Terra è il corpo, il patrimonio dei vecchi e nuovi iconemi nascosti e anestetizzati dallo sguardo dell’abitudine come sotto strati di sterile suolo. Tempo è il carattere, come percepiamo la musica percepiamo anche i tempi dei luoghi e il ritmo degli elementi ripetuti in un edificio, venendone influenzati attraverso le sensazioni che ci muove. Luce è la memoria, il ricordo che abbiamo dei luoghi viene assimilato e semplificato fino a ridursi, in estrema sintesi, a luci e ombre, calde e fredde. Luogo sono le relazioni, un complesso sistema di connessioni che porta l’edificio a modificarsi radicalmente per essere “accettato” dalle condizioni ambientali e trarne intelligentemente vantaggio. La permanenza di questi ognuno di questi caratteri permette di mantenere una linea di connessione identitaria con l’architettura vernacolare del luogo e preservare la ricchezza culturale delle sue comunità. Canoni da rispettare Ognuno di questi, ampiamente analizzato, è stato calato nel caso studio della regione Padana, attraverso il suo paesaggio e le sue architetture. La scelta del luogo è stata fatta sulla base di una forte appartenenza personale e una maggiore assimilazione della carica simbolica di questo luogo rispetto ad ogni altro. Si è rivelato estremamente d’aiuto il lavoro, consapevolmente o inconsapevolmente, svolto da un gruppo multidisciplinare di artisti, operanti nella regione padana durante l’ultimo secolo. Su tutti Luigi Ghirri, Attilio Bertolucci, e Giorgio Morandi artisti di epoche differenti, appartenenti allo stesso luogo. Gli ultimi esponenti, in ordine cronologico, di questo “laboratorio padano” sono Paolo Zermani e Mario Cucinella, architetti attivi in territorio emiliano, che hanno contribuito attivamente in prima persona a questa ricerca. La tesi si pone infine come obiettivo quello di proporre un’alternativa concreta alla dilagante pratica della sacralizzazione della storicità sterile in favore di uno storicismo fertile, dinamico e progressivo, fornendo una base concettuale e strumenti concreti di approccio al progetto alle nuove generazioni di architetti. L’auspicio è che questa ricerca possa aiutare l’identità indigena a liberarsi dagli stereotipi che la vogliono presente solo nelle architetture vernacolari, e farla tornare ad essere un’entità “fluida” che può agilmente essere trasmessa anche alle nuove opere, con grande beneficio per le dinamiche sociali della popolazione che le abita.

Identity in the making. From conservation to transmission of local identity through architecture

TROGU, GIOVANNI
2016/2017

Abstract

Why is identity important in architectural practice? How does it interfere whit daily perceptions? Does it have social implications? What are the elements landing identity to a building? This theoretical research finds its early origins in a series of questions dealing with the identity issue in architectural panorama. It has always been really delicate and tricky to talk about such an undefined subject even if it has already been dissected in all directions. The moment when the discussion came under the spotlight was after world war two, during European reconstruction, when the globalizing impulse definitely came in architectural field. However, after almost a century, the issue concerns our time more than ever. The last twenty years have been marked by the expansion and liberalization of international capital and major advances in communication which have created the phenomenon known as globalisation. The breakdown of national barriers to trade and communication and the increased movement of populations have had a significant effect on the stability of communities and have affected their sense of identity. The intrinsic identity of the place has also been transformed as cities adapt and project themselves on the global market. Architects are the agents of the symbolic visual markers of identity and, at the top of their profession, have been instrumental in major changes in the built environment. As social identity is challenged by the effects of globalisation, geographically stable architectural identity can be a palliative to vulnerable communities. The architectural profession has a unique opportunity to influence the character of places to the benefit or dis-benefit of the resident and incoming communities. A broad view of how the architectural profession itself fits into an emerging global society and how it has responded to these challenges and opportunities will reveal if it is acting as a positive or negative force for newly destabilised communities and their sense of identity. One of the most prominent answers to this issue came from the movement called Critical Regionalism. The basic goal was to find a middle ground between two extremes. While the modernists strived to create a place-less "universal" architecture with the International Style, critical regionalists insisted that the building must reflect the culture and tradition of its region through its design and materials. While the postmodernists celebrated ornamentation for its own sake, critical regionalists insisted that stylistic flourishes must only be applied in a measured and meaningful way. The greatest intuition was the ability to strengthen the existing identity of a place inventing something new. Critical regionalism was not simply regionalism in the sense of vernacular architecture. It was a progressive approach to design that sought to mediate between the global and the local languages of architecture. This thesis will try to give an answer to the questions that came out at the beginning. Then it will move on the architectural practice trying to analyse the heredity of the critical regionalism, in order to understand how it might come in handy for the rising generation of architects. What is the place for identity in the contemporary atelier? Will it take its place between today’s trends? Once we will have deeply analysed the figurative elements capable to lend identity to architecture, we will try to show how they have been identified and cleverly used by an interdisciplinary group of artists, operating in the Padana region, who contributed to an important evolution of the architecture approach during the last century. Few artists, different ages, belonging to the same place. The last two exponents of this "wide atelier" are Paolo Zermani and Mario Cucinella, who strongly contributed to this work. The thesis finally aims to argue how, a contemporary architecture even different from the ancient ones, could be impregnated with "identity". Conservation is not the unique and best method to keep the evolving character of a place safe, even in non-metropolitan areas
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
25-lug-2017
2016/2017
Perché la questione dell’identità appare così fondamentale nella pratica architettonica? Come interferisce nella nostra percezione quotidiana? Possiede delle implicazioni sociali? Quali sono gli elementi che conferiscono una precisa identità ad un edificio? Questa ricerca teorica trova le sue origini fondanti in una serie di domande che riguardano il tema dell’identità nel panorama architettonico. Si è sempre rivelato arduo e delicato parlare di un argomento così poco definito, anche se è già stato dissezionato in tutte le direzioni. Il momento in cui la discussione arrivò sotto i riflettori fu in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, durante il periodo di ricostruzione in Europa, quando gli impulsi globalizzanti giunsero definitivamente nel campo architettonico. Ad ogni modo, dopo quasi un secolo, la questione riguarda i nostri tempi più che mai. Gli ultimi vent’anni sono stati caratterizzati dalla espansione e liberalizzazione di capitali internazionali e dalla rivoluzione degli strumenti di comunicazione che hanno dato origine al fenomeno noto come globalizzazione. La rottura delle barriere nazionali per il commercio e la condivisione e i crescenti spostamenti di persone ha avuto un effetto significativo sulla stabilità delle comunità e ha colpito il loro senso di identità. Nel momento in cui le città si sono adattate e hanno proiettato loro stesse sul mercato globale anche l’identità architettonica urbana ha subito uno sconvolgimento epocale. Gli ultimi settant’anni in Italia come in Europa hanno visto infatti il proliferare di nuove identità che si proponevano come valide alternative a quella indigena dominante. Alcuni esempi sono l’architettura residenziale popolare degli anni 60-70, nella quale si intravede l’intento di cavalcare un’onda di benessere, di fretta di costruire, di crescere, di aumentare la popolazione, figlia del consumismo e del liberismo. Oppure ancora l’architettura globale, omologata, del ventunesimo secolo, che riflette la necessità di rispondere alle esigenze di un ristretto tipo di popolazione che allo stesso modo è diventata globale, perché vive di connessioni globali, tratta merce globale e quotidianamente si sposta da un continente all’altro ricercando sempre gli stessi standard di vivibilità. Queste, ed altre, si sono sovrapposte ad una identità vernacolare caratterizzata da una infinita ricchezza in termini di differenziazioni, tipicità, cultura e così via. Quella vernacolare rimane quindi l’unica depositaria, non solo di specificità architettoniche ben definite, ma anche di valori sociali condivisi da una comunità di persone. L’architettura, ma più in generale i caratteri del luogo, insieme a vari altri fattori quali ad esempio la lingua o i prodotti culinari, permettono all’uomo di riconoscersi, autodefinirsi, e quindi identificarsi. Proprio nell’architettura tradizionale autoctona l’uomo sempre più spesso cerca una trincea dietro la quale proteggersi dagli sconvolgimenti sociali che ha causato la perdita di identità in paesi come il Nord Europa o l’asia più sviluppata. Un efficacie palliativo per le comunità più vulnerabili. In questo panorama estremamente vasto, gli architetti ricoprono il ruolo di custodi dei tratti visuali e simbolici dell’identità del luogo e, agli apici della professione, sono stati i responsabili dei maggiori cambiamenti dell’ecosistema costruito. Può condizionare il carattere dei luoghi per il beneficio o a discapito delle comunità residenti o visitatrici. È utile a questo punto cercare inquadrare la questione a partire da una visione più ampia, per comprendere come negli ultimi decenni l’architettura stessa si sia interfacciata con la società globale emergente e come abbia saputo rispondere a queste nuove sfide ed opportunità. Questo approccio permetterà di stabilire se stia agendo come forza positiva o negativa per le nuove comunità destabilizzate e per il loro senso di identità, per poi spostarsi ad un’analisi più puntuale del problema. Una delle risposte di maggiore spicco a questo dibattito giunse dal movimento chiamato Regionalismo Critico. L’obiettivo basilare era quello di individuare una terra di mezzo tra due estremi emersi durante la ricostruzione postbellica. Mentre la corrente modernista combatteva per la definizione di una architettura universale e “senza luogo” attraverso l’International Style, i fautori del regionalismo critico controbattevano affermando che l’edificio debba riflettere la cultura e le tradizioni del luogo attraverso il progetto e i materiali. Mentre i postmodernisti celebravano l’ornamento fine a sé stesso e il citazionismo, il regionalismo critico sosteneva che il prosperare stilistico dovesse essere applicato in maniera misurata e poco eloquente. La più grande intuizione che ebbe questo movimento, fu l’abilità di rafforzare l’identità esistente di un luogo inventando qualcosa di nuovo. Frampton lo definisce come «una cultura forte e carica di identità, che mantenga tuttavia aperti i contatti con la tecnica universale». Il regionalismo critico non fu semplicemente un approccio sterile volto a venerare l’architettura vernacolare. Fu un approccio progressivo al progetto che cercava di mediare tra il linguaggio globale e locale dell’architettura, ma che guardava con particolare attenzione a stabilire una connessione percepibile con l’architettura indigena. Questa lezione risulta fondamentale per il futuro del dibattito. L’aspetto innovativo e rivoluzionario di questa ricerca si ritrova nella capacità di non soffermarsi agli aspetti formali vernacolari e di ergerli a custodi di identità, ma di aprire l’analisi a tutto il campo della percezione permettendo di giungere ad un concetto di identità in divenire, fertile, dinamico. Se fino a questo momento il carattere più o meno identitario dell’architettura è sempre stato delegato alla sensibilità soggettiva dell’architetto, questa tesi prova a spostarsi verso un approccio più analitico oggettivo. Per fare questo è stato necessario sperimentare un processo diviso in tre momenti: concreto-astratto-concreto. Si è quindi partiti dall’analisi dei dati concreti e sensibili presenti in tutta l’architettura vernacolare come in quella contemporanea. In un secondo momento si è proceduto all’astrazione, che ha permesso di individuare quattro concetti come principali attori che giocano un ruolo nel determinare l’identità architettonica di un edificio. Questi concetti astratti hanno poi riacquisito una concretezza attraverso lo studio della loro applicazione architettonica. Il passaggio che più di tutti rimane fondamentale per questa ricerca è quello dell’astrazione. Permette infatti di scostarsi dal pensiero comune che vede l’identità mummificata attraverso una conservazione volta alla musealizzazione del patrimonio, e recuperare l’identità come entità dinamica e progressiva e non esclusiva dell’architettura vernacolare. Questa astrazione si concretizza attraverso il concetto di ambiance, ovvero il campo che si occupa dello studio della percezione umana dei luoghi. L’ambiance lavora presupponendo una sensibilità diversa da quella limitata dei 5 sensi. La percezione del luogo passa attraverso la sua atmosfera, attraverso la memoria e le sensazioni. L’individuazione dei quattro elementi alla base dell’identità è partita analizzando il concetto in maniera più ampia possibile. In particolare sono state messe in relazione l’identità umana con quella architettonica. L’uomo è riconoscibile tra gli altri suoi simili attraverso quattro caratteristiche fondamentali che possiede unicamente in quanto essere non replicabile. Queste sono i tratti somatici, il carattere, la memoria e le relazioni che ha con ciò che lo circonda. Possiamo quindi affermare che l’identità di un essere umano sia determinabile attraverso una di queste peculiarità proprie dell’individuo e che, la combinazione delle quattro, ne rappresenti una forma completa e insindacabile. Ad ognuna è stato associato il corrispettivo architettonico. Terra è il corpo, il patrimonio dei vecchi e nuovi iconemi nascosti e anestetizzati dallo sguardo dell’abitudine come sotto strati di sterile suolo. Tempo è il carattere, come percepiamo la musica percepiamo anche i tempi dei luoghi e il ritmo degli elementi ripetuti in un edificio, venendone influenzati attraverso le sensazioni che ci muove. Luce è la memoria, il ricordo che abbiamo dei luoghi viene assimilato e semplificato fino a ridursi, in estrema sintesi, a luci e ombre, calde e fredde. Luogo sono le relazioni, un complesso sistema di connessioni che porta l’edificio a modificarsi radicalmente per essere “accettato” dalle condizioni ambientali e trarne intelligentemente vantaggio. La permanenza di questi ognuno di questi caratteri permette di mantenere una linea di connessione identitaria con l’architettura vernacolare del luogo e preservare la ricchezza culturale delle sue comunità. Canoni da rispettare Ognuno di questi, ampiamente analizzato, è stato calato nel caso studio della regione Padana, attraverso il suo paesaggio e le sue architetture. La scelta del luogo è stata fatta sulla base di una forte appartenenza personale e una maggiore assimilazione della carica simbolica di questo luogo rispetto ad ogni altro. Si è rivelato estremamente d’aiuto il lavoro, consapevolmente o inconsapevolmente, svolto da un gruppo multidisciplinare di artisti, operanti nella regione padana durante l’ultimo secolo. Su tutti Luigi Ghirri, Attilio Bertolucci, e Giorgio Morandi artisti di epoche differenti, appartenenti allo stesso luogo. Gli ultimi esponenti, in ordine cronologico, di questo “laboratorio padano” sono Paolo Zermani e Mario Cucinella, architetti attivi in territorio emiliano, che hanno contribuito attivamente in prima persona a questa ricerca. La tesi si pone infine come obiettivo quello di proporre un’alternativa concreta alla dilagante pratica della sacralizzazione della storicità sterile in favore di uno storicismo fertile, dinamico e progressivo, fornendo una base concettuale e strumenti concreti di approccio al progetto alle nuove generazioni di architetti. L’auspicio è che questa ricerca possa aiutare l’identità indigena a liberarsi dagli stereotipi che la vogliono presente solo nelle architetture vernacolari, e farla tornare ad essere un’entità “fluida” che può agilmente essere trasmessa anche alle nuove opere, con grande beneficio per le dinamiche sociali della popolazione che le abita.
Tesi di laurea Magistrale
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