During the normal maintenance procedure of the self-service laundries, we find ourselves, each time in our hands, a bag of soft fluff about the size of a soccer ball. Within a week, this amount accumulates to fill an entire garbage bag, which will be thrown away as any undifferentiated waste. The Fabric Project was born from my personal experience, to be exact, when I came across this unique textile waste, almost totally unknown, and I realized that, worked appropriately, it could become an interesting resource and, in some ways, a precious material. Starting from these assumptions born the will to study and develop solutions and alternative way for the manipulation and processing of this waste, in particular, from the point of view of design, adopting the Material Design Driven method. This approach, which opens up new relationships between designers, technologies and production processes, allowed us to develop a DIY material. During the experiments, it was possible to come in contact with the potential of the material, which led to the creation of a machine able to work and self-produce the material through a low-cost technology, The Fabric Machine. In light of this analysis, with an in-depth knowledge of the material developed, it was possible to devise scenarios of use that would enhance the research and the material itself, taking into account that it is a project still in its infancy and, therefore, with the possibility of being further studied and modified.

Durante la normale procedura di manutenzione delle asciugatrici delle lavanderie self-service, ci si ritrova, ogni volta fra le mani una matassa di lanuggine soffice grande all’incirca quanto un pallone da calcio. Nel giro di una settimana, questo scarto si accumula fino a riempire un intero sacco della spazzatura, che in seguito, viene gettato come un qualsiasi rifiuto indifferenziato. The Fabric Project è nato dalla mia esperianza personale, per l’esattezza, nel momento in cui mi sono imbattuta in questo singolare scarto tessile, quasi totalmente sconosciuto, e mi sono resa conto che, lavorato in modo appropriato, sarebbe potuto diventare una risorsa interessante e, per certi versi, preziosa. Partendo da questi presupposti, è nato l’interesse, non che la volontà, di studiare e sviluppare delle soluzioni e dei percorsi alternativi per la manipolazione e lavorazione di questo scarto, in particolare, dal punto di vista del design, adottando il metodo di progettazione Material Design Driven. Questo approccio, che apre nuove relazioni tra designer, tecnologie e processi di produzione, ha permesso dunque di sviluppare un materiale DIY. Nell’ultimo decennio, si è presa sempre più consapevolezza dei cambiamenti globali provocati dall’uomo, a causa dell’abuso indiscriminato delle risorse naturali, dall’eccessivo inquinamento e dall’enorme mole di rifiuti che ogni giorno siamo costretti a gestire. É emerso in modo evidente, che occorre trovare delle soluzioni che possano andare a sostituire alcuni dei materiali attualmente utilizzati, tra cui la plastica. Nonostante il suo ampio impiego, infatti, è uno dei materiali più dannosi per l’ambiente, data la sua vasta produzione, l’utilizzo frivolo e la difficoltà di smaltimento. È stato proprio grazie ad essa ed alle sue peculiarità, che è stato possibile introdurre sul mercato la filosofia degli utensili monouso. La produzione di oggetti usa e getta, per disparate ragioni, non sarà sostenibile ancora a lungo e deve lasciare il posto alla progettazione di manufatti il cui maggior valore risiede nella sua capacità di essere smaltiti, riciclati o riutilizzati. Oppure, per la particolarità di essere prodotti attraverso materiali alternativi fin ora poco considerati, come, ad esempio, i rifiuti. Per molti, purtroppo, non è previsto alcun riutilizzo e, nel migliore dei casi, vengono smaltiti secondo le normative, provocando ulteriore inquinamento e danno al pianeta. Sono così tanti e differenti, che molti di essi passano sotto i nostri occhi senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, come nel caso della lanuggine prodotta dalle essiccatrici. Si tratta di veri e propri “scarti invisibili”, provenienti dai più disparati settori commerciali e dell’industria, prodotti in significative quantità. Nonostante non gli attribuisca particolare valore, molti di questi rifiuti possiedono potenzialità che li renderebbero adatti al reinserimento sul mercato, allungandone la vita, o riconsiderati all’interno di un’ottica di economia circolare. Il fine della ricerca è stato, quindi, quello di studiare e testare lo scarto industriale, proveniente da un’attività commerciale, un così detto “scarto invisibile”, a cui dare una “seconda vita”. Il percorso di analisi compiuto, ha poggiato le sue basi sul rifiuto prodotto dalle essiccatrici, un misto di residui tessili e organici, sotto forma di pulviscolo, che si accumulano all’interno di un filtro presente nella macchina. Questo tipo di scarto è stato analizzato e testato in diverse modalità, con l’obiettivo di creare un materiale che fosse economico, curioso e alternativo. Le sperimentazioni sono state poi seguite da user studies su campioni ristretti di persone e test tecnici eseguiti in laboratorio, che hanno delineato con maggior precisione il carattere e le proprietà del materiale, oltre che il suo nome, Felt Stone. Grazie alle sue specifiche peculiarità, è stato possibile testare diversi tipi di lavorazioni e tecnologie di modellazione, al fine di ottenere dei semilavorati. Durante le sperimentazioni, è stato possibile entrare in contatto diretto con le potenzialità del materiale, che hanno portato all’ideazione di un macchinario in grado di lavorare e autoprodurre attraverso tecnologia low-cost, The Fabric Machine. Alla luce di questa analisi, con una conoscenza approfondita del materiale sviluppato, è stato possibile ideare degli scenari di utilizzo che valorizzassero la ricerca e il materiale stesso, tenendo in considerazione che si tratta di un progetto ancora in fase embrionale e, dunque, con la possibilità di essere ulteriormente studiato e modificato.

The fabric project. Progettazione e modellazione di un materiale invisibile

MAINO, VALENTINA
2016/2017

Abstract

During the normal maintenance procedure of the self-service laundries, we find ourselves, each time in our hands, a bag of soft fluff about the size of a soccer ball. Within a week, this amount accumulates to fill an entire garbage bag, which will be thrown away as any undifferentiated waste. The Fabric Project was born from my personal experience, to be exact, when I came across this unique textile waste, almost totally unknown, and I realized that, worked appropriately, it could become an interesting resource and, in some ways, a precious material. Starting from these assumptions born the will to study and develop solutions and alternative way for the manipulation and processing of this waste, in particular, from the point of view of design, adopting the Material Design Driven method. This approach, which opens up new relationships between designers, technologies and production processes, allowed us to develop a DIY material. During the experiments, it was possible to come in contact with the potential of the material, which led to the creation of a machine able to work and self-produce the material through a low-cost technology, The Fabric Machine. In light of this analysis, with an in-depth knowledge of the material developed, it was possible to devise scenarios of use that would enhance the research and the material itself, taking into account that it is a project still in its infancy and, therefore, with the possibility of being further studied and modified.
GARCIA, CAMILO AYALA
PARISI, STEFANO
ARC III - Scuola del Design
21-dic-2017
2016/2017
Durante la normale procedura di manutenzione delle asciugatrici delle lavanderie self-service, ci si ritrova, ogni volta fra le mani una matassa di lanuggine soffice grande all’incirca quanto un pallone da calcio. Nel giro di una settimana, questo scarto si accumula fino a riempire un intero sacco della spazzatura, che in seguito, viene gettato come un qualsiasi rifiuto indifferenziato. The Fabric Project è nato dalla mia esperianza personale, per l’esattezza, nel momento in cui mi sono imbattuta in questo singolare scarto tessile, quasi totalmente sconosciuto, e mi sono resa conto che, lavorato in modo appropriato, sarebbe potuto diventare una risorsa interessante e, per certi versi, preziosa. Partendo da questi presupposti, è nato l’interesse, non che la volontà, di studiare e sviluppare delle soluzioni e dei percorsi alternativi per la manipolazione e lavorazione di questo scarto, in particolare, dal punto di vista del design, adottando il metodo di progettazione Material Design Driven. Questo approccio, che apre nuove relazioni tra designer, tecnologie e processi di produzione, ha permesso dunque di sviluppare un materiale DIY. Nell’ultimo decennio, si è presa sempre più consapevolezza dei cambiamenti globali provocati dall’uomo, a causa dell’abuso indiscriminato delle risorse naturali, dall’eccessivo inquinamento e dall’enorme mole di rifiuti che ogni giorno siamo costretti a gestire. É emerso in modo evidente, che occorre trovare delle soluzioni che possano andare a sostituire alcuni dei materiali attualmente utilizzati, tra cui la plastica. Nonostante il suo ampio impiego, infatti, è uno dei materiali più dannosi per l’ambiente, data la sua vasta produzione, l’utilizzo frivolo e la difficoltà di smaltimento. È stato proprio grazie ad essa ed alle sue peculiarità, che è stato possibile introdurre sul mercato la filosofia degli utensili monouso. La produzione di oggetti usa e getta, per disparate ragioni, non sarà sostenibile ancora a lungo e deve lasciare il posto alla progettazione di manufatti il cui maggior valore risiede nella sua capacità di essere smaltiti, riciclati o riutilizzati. Oppure, per la particolarità di essere prodotti attraverso materiali alternativi fin ora poco considerati, come, ad esempio, i rifiuti. Per molti, purtroppo, non è previsto alcun riutilizzo e, nel migliore dei casi, vengono smaltiti secondo le normative, provocando ulteriore inquinamento e danno al pianeta. Sono così tanti e differenti, che molti di essi passano sotto i nostri occhi senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, come nel caso della lanuggine prodotta dalle essiccatrici. Si tratta di veri e propri “scarti invisibili”, provenienti dai più disparati settori commerciali e dell’industria, prodotti in significative quantità. Nonostante non gli attribuisca particolare valore, molti di questi rifiuti possiedono potenzialità che li renderebbero adatti al reinserimento sul mercato, allungandone la vita, o riconsiderati all’interno di un’ottica di economia circolare. Il fine della ricerca è stato, quindi, quello di studiare e testare lo scarto industriale, proveniente da un’attività commerciale, un così detto “scarto invisibile”, a cui dare una “seconda vita”. Il percorso di analisi compiuto, ha poggiato le sue basi sul rifiuto prodotto dalle essiccatrici, un misto di residui tessili e organici, sotto forma di pulviscolo, che si accumulano all’interno di un filtro presente nella macchina. Questo tipo di scarto è stato analizzato e testato in diverse modalità, con l’obiettivo di creare un materiale che fosse economico, curioso e alternativo. Le sperimentazioni sono state poi seguite da user studies su campioni ristretti di persone e test tecnici eseguiti in laboratorio, che hanno delineato con maggior precisione il carattere e le proprietà del materiale, oltre che il suo nome, Felt Stone. Grazie alle sue specifiche peculiarità, è stato possibile testare diversi tipi di lavorazioni e tecnologie di modellazione, al fine di ottenere dei semilavorati. Durante le sperimentazioni, è stato possibile entrare in contatto diretto con le potenzialità del materiale, che hanno portato all’ideazione di un macchinario in grado di lavorare e autoprodurre attraverso tecnologia low-cost, The Fabric Machine. Alla luce di questa analisi, con una conoscenza approfondita del materiale sviluppato, è stato possibile ideare degli scenari di utilizzo che valorizzassero la ricerca e il materiale stesso, tenendo in considerazione che si tratta di un progetto ancora in fase embrionale e, dunque, con la possibilità di essere ulteriormente studiato e modificato.
Tesi di laurea Magistrale
File allegati
File Dimensione Formato  
The Fabric Project - STAMPA.pdf

non accessibile

Descrizione: Testo della tesi
Dimensione 44.4 MB
Formato Adobe PDF
44.4 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri

I documenti in POLITesi sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/138357