Toward an ecology of knowledges. critical pedagogy and epistemic disobedience in contemporary visual art and design practices

This thesis aims to problematize how critical pedagogical theories have been reassessed in radical learning experiments carried out by contemporary artists and designers. Its point of departure is Boaventura de Sousa Santos’s idea of “ecology of knowledges,” an attempt to decolonize learning structures through a wider epistemological diversity. The issue of knowledge production in a global scenario triggers questions regarding knowledge production’s own politics, the community of knowing subjects, and the institutions responsible for structuring and regulating such knowledge systems. The first part of the thesis analyzes theories of critical pedagogy in an historical perspective, locating the emergence of these ideas in relation to transformative social actions according to democratic principles of society. It then moves its focus to Ivan Illich and Paulo Freire, whose works on learning, education, and community practices are read in an eco-ontological perspective and for their contributions to theories of knowledge. This part is complemented by theories of decolonial pedagogy, a school of thought focused on the importance of subaltern knowledges to foster processes of “knowing otherwise”, an emancipation from the normalization of differences and simultaneous creation of new borders imposed by globalization. Central to the thesis is a focus on interdisciplinary pedagogical experiments enacted at the intersection between art, design, and architecture in different geographical and historical frameworks, which have been chosen as case studies for their profound investment in negotiating the complexities of modernity and its conflicting relation to the production of knowledge. In the experience of Global Tools (1973–75), Illich’s idea of “deschooling society” is perpetuated by groups and figures drawn from Italian Radical Architecture, Arte Povera, and conceptual art in a tentative attempt to found an alternative and dispersed educational program in the wake of the first global ecological crisis. The initiative of Campus in Camps (2012–14), an alternative university in a refugee camp in the West Bank of Palestine, positioned at the junction of spatial and cognitive justice, critical pedagogy and critical theory, is paradigmatic for a broader theoretical investigation on the notion of “unlearning,” a tool for creating counter-epistemologies with meaningful cultural impact on local communities. Furthermore, an overview of different southern and non-European artistic practices positioned at the intersection of research, knowledge production, emancipatory pedagogy and transversal institution making (such as the practices of the Italian Lybian artist Adelita Husni-Bey, the Turkish artist Ahmet Ögüt and the Puerto Rican collective Bete Local, among others) sheds light on the question of how to deal with “other knowledges” without “subjectivating the ‘other.’”. Moreover, they broad the investigation to how knowledge can be grounded in action, performance, subjective auto-ethnographic accounts, and intersubjective exchanges that empower participants. The thesis reads these counter-design and art proposals as having critically challenged the hegemony of dominant disciplinary systems through a process of “epistemic disobedience”—a strategy of civil disobedience within processes of construction of knowledge in order to envision social life, knowledge, and institutions differently.

La tesi problematizza come filosofie di pedagogia critica siano state tradotte nelle pratiche di artisti e designer contemporanei coinvolti nella costruzione di esperimenti pedagogici radicali. Il lavoro prende come punto di partenza l'idea di Boaventura De Sousa Santos di "ecologia delle conoscenze", un tentativo di decolonizzare le strutture di apprendimento attraverso una più ampia diversità epistemologica. La prima parte colloca la ricerca sulla pedagogia critica in una prospettiva storica, individuandone l'emergere in relazione ad azioni sociali trasformative secondo principi democratici della società. Quindi si focalizza sulle opere di Paulo Freire e Ivan Illich, i cui lavori sull'apprendimento, l'educazione e le pratiche comunitarie sono letti in una prospettiva eco-ontologica e per il loro contributo alle teorie della conoscenza. Questa parte è arricchita da teorie di pedagogia decoloniale, una scuola di pensiero incentrata sull'importanza delle conoscenze subalterne nel costruire scenari sociali sostenibili e alternativi all'erosione delle differenze imposte dalla globalizzazione. Al centro della tesi l'attenzione si concentra su esperimenti pedagogici interdisciplinari attuati all'intersezione tra arte contemporanea, design e architettura in diversi contesti geografici e storici, che sono stati scelti come casi-studio per la loro capacità di negoziare le complessità della modernità e la sua relazione conflittuale con la produzione di conoscenza. Nell'esperienza di Global Tools (1973-75) l'idea di Illich di "società descolarizzata" viene ripresa da gruppi e figure appartenenti all’architettura radicale italiana, all’arte povera e concettuale nel tentativo di fondare un programma educativo alternativo e diffuso all’indomani della prima crisi ecologica globale. L'iniziativa di Campus in Camps (2012-2014), un'università alternativa in un campo profughi della Cisgiordania, che unisce metodologie di giustizia spaziale e cognitiva, pedagogia e teoria critica, è paradigmatica per una più ampia indagine sulla nozione di "disapprendimento", uno strumento per creare contro-epistemologie che possano avere un impatto culturale significativo sulle comunità locali. Inoltre, una panoramica su diverse pratiche artistiche sud-europee e non-europee posizionate all'incrocio tra ricerca, produzione di conoscenza critica, pedagogia emancipativa e istituzionalità trasversale (tra cui le pratiche dell’artista italo-libica Adelita Husni-Bey, dell’artista turco Ahmet Ögüt e del collettivo di Porto Rico Bete-Local), fa luce su come la conoscenza possa essere radicata in azioni performative, narrative auto-etnografiche, e scambi intersoggettivi mirati all’emancipazione dei partecipanti. La tesi analizza come queste proposte artistiche e di contro-design abbiano messo in discussione l'egemonia dei sistemi disciplinari dominanti attraverso un processo di “disobbedienza epistemica”, una strategia di disobbedienza civile all'interno di processi di costruzione di conoscenza al fine di immaginare la vita sociale, la conoscenza e le istituzioni in modo diverso.