This design and research project on the former Istituto Marchiondi Spagliardi in Baggio moves from a simple yet powerful paradox common to buildings which are so overprotected to become ruins. The building is considered as a masterpiece of Italian brutalism and for this reason it has been listed since almost forty years ago. This legal bind together with the extremely high expenses related to its restoration are contributing to the present state of abandonment. A ruin that represents a symbol of an administrative and theoretical conflict, “a ruin as a timeless leftover of history”. Because of its condition we consider that only an architecture (or a landscape architecture) project that follows “the architecture way of thinking” can 'remediate' and 'repair' the place. A transdisciplinary and transscalar framework has been applied to define intervention strategies able to take into account both the specificity of the site and the wider scale of the city breaking the 'cage' where the building is confined. Moreover, a great importance has been given to the nature grown on site as a fundamental element of the project. The openness of Viganò's work brings us to imagine an intervention that can be simultaneously strong and weak, hidden and visible, physical and conceptual. The project moves away from the need to give back a 'productive' function to the building but it focuses on creating a flow inside the building that allows to cross and merge with its context. The building becomes then a relational space; an archaeological place that works as a gate for the Western part of the city.

Il lavoro di ricerca e progetto nasce dal paradosso dell’abbandono più che ventennale di un capolavoro – due volte vincolato1 - dell’architettura moderna. Manufatto segnato da grande fortuna critica e annoverato tra i rari esempi di brutalismo italiano, l’Ex Istituto Marchiondi Spagliardi di Baggio è stato recentemente oggetto di diverse ipotesi di intervento di recupero destinate purtroppo a fallire, anche a fronte di una ormai eccessiva insostenibilità economica dell’operazione3. Se normalmente si pensa a rovine e macerie come prodotti del conflitto bellico, è corretto pensare al presente del Marchiondi non solo come prodotto di un conflitto amministrativo ma anche come risultato di un gap nel dibattito teorico, pratico e culturale italiano intorno al recupero dell’architettura moderna e contemporanea d’autore. Il complesso progettato da Vittoriano Viganò infatti non è che un caso tra tanti, nella vasta costellazione di episodi a questo analoghi. La rovina è il tempo che sfugge alla storia: un paesaggio, una commistione di natura e di cultura che si perde nel passato ed emerge nel presente come un segno senza significato, o, per lo meno, senza altro significato che il sentimento del tempo che passa e che dura contemporaneamente”5: proprio nel senso del tempo e nell’attuale realtà materiale di questo manufatto risiede il senso stesso della sua emblematica identità. È perciò utile considerare la “rovina come materia appartenente al flusso del presente”6 e quindi oggetto non di restauro ma di progetto architettonico (o di paesaggio). In quest’ottica risulta cruciale un approccio in cui è proprio il progetto architettonico, e più in generale “l’architectural thinking” a guidare la “riparazione” dei luoghi su cui esso si innesta, agendo innanzitutto sull’ecosistema, ma, contestualmente (o conseguentemente), anche sul sistema sociale, culturale ed economico. L’approccio trans-disciplinare gioca un ruolo decisivo sia nell’analisi del sito, ma anche nella formulazione di nuove strategie di intervento che operino a partire dalla micro-scala sino alla scala territoriale, paesaggistica e addirittura globale. L’attenzione per il sistema naturale di riferimento e i suoi equilibri rappresenta un tema topico e sempre più sentito; in questo caso in particolare è impossibile ignorare l’influenza che la presenza della vegetazione ha, a livello estetico, percettivo e storico sull’identità del luogo. La natura aperta del progetto di Viganò porta a immaginare un’operazione rigenerativa che sia capace di allargare gli orizzonti oltre il recinto del lotto su cui sorge il complesso. La peculiarità della città diffusa (costituita da spazi aperti, vuoti, strade, aree dismesse e spazi incolti) come contesto di intervento, suggerisce di evitare di estrarre ed importare qui le forme della città storica, densa e consolidata, ma piuttosto di assecondare il dato per cui l’azione caratterizzante di questi spazi è lo spostarsi, l’attraversare. Ciò che si intende sostenere, è un intervento dall’economia minuta, finalizzata a sottrarre questo spazio dall’ossessione produttivista e speculativa della città contemporanea ed eludendo un sistema di “spettacolarizzazione dello spazio in cui si impone ai lavoratori di produrre anche durante il tempo libero.” e allo stesso modo, “passare dal concetto di circolazione come supplemento del lavoro e come distribuzione nelle diverse zone funzionali della città alla circolazione come piacere e come avventura. Si desidera inoltre istituire questo luogo come una nuova porta di ingresso Ovest alla città di Milano, vista l'interesse intrinseco e relazionale che L'Istituto ha dimostrato di avere. Considerando il restauro e la rifunzionalizzazione integrale ormai insostenibile su più fronti, si sceglie di mirare al mantenimento e messa in sicurezza della rovina, e alla riconnessione del piano terra del complesso al tessuto urbano, là dove, rimuovendo il posticcio recinto di proprietà, verranno ristabilite le naturali connessioni con il circostante. Episodi puntuali e specifici saranno ossatura per la costruzione di un paesaggio dominato dall’imperatività del rapporto uomo-natura. Il progetto nasce come pretesto per lanciare una critica implicita alla condizione attuale del’Ex Istituto Marchiondi e al suo stato di rovina, che “più che a rammentarci la caducità di ogni cosa, diventa sempre più il simbolo che ci chiama a un incondizionato e vigile principio di responsabilità”

Il tempo che sfugge alla storia. Una strategia di riappropriazione per l'ex istituto Marchiondi Spagliardi di Vittoriano Viganò

TINTO, MIRIAM
2018/2019

Abstract

This design and research project on the former Istituto Marchiondi Spagliardi in Baggio moves from a simple yet powerful paradox common to buildings which are so overprotected to become ruins. The building is considered as a masterpiece of Italian brutalism and for this reason it has been listed since almost forty years ago. This legal bind together with the extremely high expenses related to its restoration are contributing to the present state of abandonment. A ruin that represents a symbol of an administrative and theoretical conflict, “a ruin as a timeless leftover of history”. Because of its condition we consider that only an architecture (or a landscape architecture) project that follows “the architecture way of thinking” can 'remediate' and 'repair' the place. A transdisciplinary and transscalar framework has been applied to define intervention strategies able to take into account both the specificity of the site and the wider scale of the city breaking the 'cage' where the building is confined. Moreover, a great importance has been given to the nature grown on site as a fundamental element of the project. The openness of Viganò's work brings us to imagine an intervention that can be simultaneously strong and weak, hidden and visible, physical and conceptual. The project moves away from the need to give back a 'productive' function to the building but it focuses on creating a flow inside the building that allows to cross and merge with its context. The building becomes then a relational space; an archaeological place that works as a gate for the Western part of the city.
BRICOLO, FILIPPO
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
15-apr-2019
2018/2019
Il lavoro di ricerca e progetto nasce dal paradosso dell’abbandono più che ventennale di un capolavoro – due volte vincolato1 - dell’architettura moderna. Manufatto segnato da grande fortuna critica e annoverato tra i rari esempi di brutalismo italiano, l’Ex Istituto Marchiondi Spagliardi di Baggio è stato recentemente oggetto di diverse ipotesi di intervento di recupero destinate purtroppo a fallire, anche a fronte di una ormai eccessiva insostenibilità economica dell’operazione3. Se normalmente si pensa a rovine e macerie come prodotti del conflitto bellico, è corretto pensare al presente del Marchiondi non solo come prodotto di un conflitto amministrativo ma anche come risultato di un gap nel dibattito teorico, pratico e culturale italiano intorno al recupero dell’architettura moderna e contemporanea d’autore. Il complesso progettato da Vittoriano Viganò infatti non è che un caso tra tanti, nella vasta costellazione di episodi a questo analoghi. La rovina è il tempo che sfugge alla storia: un paesaggio, una commistione di natura e di cultura che si perde nel passato ed emerge nel presente come un segno senza significato, o, per lo meno, senza altro significato che il sentimento del tempo che passa e che dura contemporaneamente”5: proprio nel senso del tempo e nell’attuale realtà materiale di questo manufatto risiede il senso stesso della sua emblematica identità. È perciò utile considerare la “rovina come materia appartenente al flusso del presente”6 e quindi oggetto non di restauro ma di progetto architettonico (o di paesaggio). In quest’ottica risulta cruciale un approccio in cui è proprio il progetto architettonico, e più in generale “l’architectural thinking” a guidare la “riparazione” dei luoghi su cui esso si innesta, agendo innanzitutto sull’ecosistema, ma, contestualmente (o conseguentemente), anche sul sistema sociale, culturale ed economico. L’approccio trans-disciplinare gioca un ruolo decisivo sia nell’analisi del sito, ma anche nella formulazione di nuove strategie di intervento che operino a partire dalla micro-scala sino alla scala territoriale, paesaggistica e addirittura globale. L’attenzione per il sistema naturale di riferimento e i suoi equilibri rappresenta un tema topico e sempre più sentito; in questo caso in particolare è impossibile ignorare l’influenza che la presenza della vegetazione ha, a livello estetico, percettivo e storico sull’identità del luogo. La natura aperta del progetto di Viganò porta a immaginare un’operazione rigenerativa che sia capace di allargare gli orizzonti oltre il recinto del lotto su cui sorge il complesso. La peculiarità della città diffusa (costituita da spazi aperti, vuoti, strade, aree dismesse e spazi incolti) come contesto di intervento, suggerisce di evitare di estrarre ed importare qui le forme della città storica, densa e consolidata, ma piuttosto di assecondare il dato per cui l’azione caratterizzante di questi spazi è lo spostarsi, l’attraversare. Ciò che si intende sostenere, è un intervento dall’economia minuta, finalizzata a sottrarre questo spazio dall’ossessione produttivista e speculativa della città contemporanea ed eludendo un sistema di “spettacolarizzazione dello spazio in cui si impone ai lavoratori di produrre anche durante il tempo libero.” e allo stesso modo, “passare dal concetto di circolazione come supplemento del lavoro e come distribuzione nelle diverse zone funzionali della città alla circolazione come piacere e come avventura. Si desidera inoltre istituire questo luogo come una nuova porta di ingresso Ovest alla città di Milano, vista l'interesse intrinseco e relazionale che L'Istituto ha dimostrato di avere. Considerando il restauro e la rifunzionalizzazione integrale ormai insostenibile su più fronti, si sceglie di mirare al mantenimento e messa in sicurezza della rovina, e alla riconnessione del piano terra del complesso al tessuto urbano, là dove, rimuovendo il posticcio recinto di proprietà, verranno ristabilite le naturali connessioni con il circostante. Episodi puntuali e specifici saranno ossatura per la costruzione di un paesaggio dominato dall’imperatività del rapporto uomo-natura. Il progetto nasce come pretesto per lanciare una critica implicita alla condizione attuale del’Ex Istituto Marchiondi e al suo stato di rovina, che “più che a rammentarci la caducità di ogni cosa, diventa sempre più il simbolo che ci chiama a un incondizionato e vigile principio di responsabilità”
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/147739