“Il cielo in una stanza” is more than the title of one of the most iconic songs of Italian music of all time. The sky in a room is an extraordinary lie and, in architecture, only lies make you dream. To the sky, man aspires and makes it the bite of an earthly life, which finds sense in his noble and incessant struggle. But that same sky, man tries to welcome on earth, a metaphor of everyday life, sometimes with the desire to enclose it within the walls of four walls, to make it a vital oasis. Whether the challenge was to bring the sky to man, or to bring man to the sky, over the centuries architecture has been at the mercy of the game, suggesting more or less successful proposals. As is well known, the tripartition of a building borrowed from the classic involves its decomposition into basement, face and crowning, insisting on the relationship with the ground, the diaphragm separator and the relationship with the sky. Of the three, the crowning is undoubtedly the element most loaded with symbols, signs and ghosts, simultaneously bringing back the theme of the original dwelling and that of its roof. In other words, the crowning takes advantage of a primordial pertinence with the art of building, with the ability to produce a construction, with the act of voluntary modification to make habitable that fragment dear to Hölderlin and Heidegger. The present work offers itself as a reflection on the crowning as an archetypal element and as an attempt to make it a proposal for a methodological tool for the reading and possible rewriting of the city. For a long time, theoretical thought has mainly orbited around the attack of Architecture on the ground, obscuring the much more dreamlike attack on the sky. Today, a century in which more than ever before, thanks to software such as Google Earth, it has become common practice to observe and orient oneself by looking at the city from above, it seemed more appropriate than ever to bring one's gaze back to that interval that lies halfway between earth and sky, that is, to the last heights of architectural artifacts. The need, and with it the interest of deepening, comes from the following observation: with due exceptions, today's thought on the crowning seems not to be in step with the technological devices that allow you to interact with it. As if to say that it is not our interpretation of the crowning - and its form - that evolves, but rather only, or above all, the visual perspective through which it is observed. In conclusion, in the limited space of this work, i will try to restore dignity to a fifth facade still very much forgotten, and, more generally, I will try to subvert that look at the city even more anchored to the ground than to the sky.

Il cielo in una stanza è più del titolo di una delle canzoni-icona della musica italiana di tutti i tempi. Il cielo in una stanza è una menzogna straordinaria e, in architettura, solo le menzogne fanno sognare. Al cielo, l’uomo aspira e ne fa mordente di una vita terrestre, che trova nel suo nobile e incessante arrancare un senso. Ma quello stesso cielo l’uomo tenta di accogliere su terra, metafora del quotidiano, talvolta con la foga di racchiuderlo fra le mura di quattro pareti, per farne oasi vitale. Che la sfida fosse portare il cielo verso l’uomo, o portare l’uomo verso il cielo, l’architettura nel corso dei secoli è stata al gioco, suggerendo proposte più o meno riuscite. Come noto ai più, la tripartizione di un edificio mutuata dal classico prevede la sua scomposizione in basamento, paramento e coronamento, insistendo sul rapporto con il suolo, sul diaframma separatore e sul rapporto con il cielo. Tra i tre, il coronamento è senza dubbio l’elemento più carico di simboli, segni e fantasmi, riportando simultaneamente al tema della dimora originale e a quello della sua copertura. Il coronamento, in altre parole, si avvale di una pertinenza primigenia con l’arte del costruire, con la capacità di produrre una costruzione, con l’atto di modificazione volontaria per rendere abitabile quel frammezzo caro ad Hölderlin e ad Heidegger. Il presente lavoro si offre come una riflessione sul coronamento quale elemento archetipo e come un tentativo di farne proposta di strumento metodologico per la lettura e la eventuale riscrittura della città. A lungo il pensiero teorico ha orbitato prevalentemente intorno all’attacco a terra dell’Architettura, oscurando il ben più onirico attacco al cielo. Oggi, secolo in cui più che in precedenza, grazie a software quali Google Earth, è divenuta prassi comune osservare ed orientarsi guardando la città dall’alto, è parso quanto mai opportuno ricondurre lo sguardo su quell’intervallo che si situa a metà strada tra terra e cielo, ovvero sulle quote ultime dei manufatti architettonici. La necessità, e con essa l’interesse di approfondimento, nasce dalla seguente osservazione: con le dovute eccezioni, il pensiero odierno sul coronamento sembra non essere al passo con i dispositivi tecnologici che permettono di interagirvi. Come a dire che ad evolvere non sia la nostra interpretazione del coronamento - e della sua forma -, quanto piuttosto soltanto, o soprattutto, la prospettiva visuale attraverso cui esso viene osservato. In sintesi, nel limitato spazio del presente lavoro, si tenterà innanzitutto di restituire dignità ad una quinta facciata ancora oltremodo dimenticata, e, più in generale, di sovvertire quello sguardo sulla città ancora più ancorato al suolo che al cielo. A tal fine, si è ritenuto opportuno strutturare la tesi nel modo che segue: nel primo capitolo è affrontato il tema del coronamento. In particolare, dopo aver preso in disamina le sue origini archetipe e la visione dogmatica data dal Moderno, si tenta di mettere in luce le potenzialità odierne, avanzandone la proposta interpretativa quale strumento metodologico per la lettura del paesaggio urbano. A questo punto si è resa necessaria l’individuazione di una città che, per le sue specificità interne, si prestasse, meglio di altre, ad essere scenario di tale analisi. Pertanto, nel secondo capitolo viene dato spazio alla città di Parigi, più precisamente, ad una indagine sull’uso del coronamento che l’ha interessata dal 1829 al 1929. Attraverso un taglio storico-critico viene portata in luce l’evoluzione tipologica dell’ultimo piano dell’immobile haussmaniano, dell’atelier d’artista e dell’oggetto moderno lecorbusieriano. Il terzo capitolo rappresenta la sezione operativa del lavoro: in esso è contenuta la raccolta di 81 casi studio, ciascuno presentato attraverso la pianta dell’ultimo livello dell’edificio cui appartiene, accompagnata da una scheda analitica che permetta di visualizzare con immediatezza i dati salienti dal punto di vista, morfologico, tipologico e tecnologico. La lettura della pianta del piano terra o del piano tipo scompare, non essendo utile ai fini della presente indagine. Durante l’analisi delle deformazioni che hanno subito gli schemi spaziali di queste tipologie per iscriversi nella realtà e nei loro contesti urbani, si sono evidenziate tre categorie capaci più di altre di farsene narratrici: il tetto, la toilette e l’ascensore. La totalità delle piante raccolte, ridisegnate e comparate è stata rielaborata sotto forma di nuova cartografia, che auspica a svincolarsi dal suolo, per farsi rappresentazione della quota più prossima al cielo e alle stelle, che poeticamente chiameremo quota celeste. Infine, il quarto capitolo offre un’antologia documentaria, con lo scopo di rendere visibili i documenti d’archivio su cui si è basata l’intera ricerca, dimostrando che ricerca vuol dire già progetto.

L'intervallo celeste. Indagine sull'uso del coronamento a Parigi dal 1829 al 1929

DI CHIARA, VALENTINA
2017/2018

Abstract

“Il cielo in una stanza” is more than the title of one of the most iconic songs of Italian music of all time. The sky in a room is an extraordinary lie and, in architecture, only lies make you dream. To the sky, man aspires and makes it the bite of an earthly life, which finds sense in his noble and incessant struggle. But that same sky, man tries to welcome on earth, a metaphor of everyday life, sometimes with the desire to enclose it within the walls of four walls, to make it a vital oasis. Whether the challenge was to bring the sky to man, or to bring man to the sky, over the centuries architecture has been at the mercy of the game, suggesting more or less successful proposals. As is well known, the tripartition of a building borrowed from the classic involves its decomposition into basement, face and crowning, insisting on the relationship with the ground, the diaphragm separator and the relationship with the sky. Of the three, the crowning is undoubtedly the element most loaded with symbols, signs and ghosts, simultaneously bringing back the theme of the original dwelling and that of its roof. In other words, the crowning takes advantage of a primordial pertinence with the art of building, with the ability to produce a construction, with the act of voluntary modification to make habitable that fragment dear to Hölderlin and Heidegger. The present work offers itself as a reflection on the crowning as an archetypal element and as an attempt to make it a proposal for a methodological tool for the reading and possible rewriting of the city. For a long time, theoretical thought has mainly orbited around the attack of Architecture on the ground, obscuring the much more dreamlike attack on the sky. Today, a century in which more than ever before, thanks to software such as Google Earth, it has become common practice to observe and orient oneself by looking at the city from above, it seemed more appropriate than ever to bring one's gaze back to that interval that lies halfway between earth and sky, that is, to the last heights of architectural artifacts. The need, and with it the interest of deepening, comes from the following observation: with due exceptions, today's thought on the crowning seems not to be in step with the technological devices that allow you to interact with it. As if to say that it is not our interpretation of the crowning - and its form - that evolves, but rather only, or above all, the visual perspective through which it is observed. In conclusion, in the limited space of this work, i will try to restore dignity to a fifth facade still very much forgotten, and, more generally, I will try to subvert that look at the city even more anchored to the ground than to the sky.
FABRIZI, MARIABRUNA
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
15-apr-2019
2017/2018
Il cielo in una stanza è più del titolo di una delle canzoni-icona della musica italiana di tutti i tempi. Il cielo in una stanza è una menzogna straordinaria e, in architettura, solo le menzogne fanno sognare. Al cielo, l’uomo aspira e ne fa mordente di una vita terrestre, che trova nel suo nobile e incessante arrancare un senso. Ma quello stesso cielo l’uomo tenta di accogliere su terra, metafora del quotidiano, talvolta con la foga di racchiuderlo fra le mura di quattro pareti, per farne oasi vitale. Che la sfida fosse portare il cielo verso l’uomo, o portare l’uomo verso il cielo, l’architettura nel corso dei secoli è stata al gioco, suggerendo proposte più o meno riuscite. Come noto ai più, la tripartizione di un edificio mutuata dal classico prevede la sua scomposizione in basamento, paramento e coronamento, insistendo sul rapporto con il suolo, sul diaframma separatore e sul rapporto con il cielo. Tra i tre, il coronamento è senza dubbio l’elemento più carico di simboli, segni e fantasmi, riportando simultaneamente al tema della dimora originale e a quello della sua copertura. Il coronamento, in altre parole, si avvale di una pertinenza primigenia con l’arte del costruire, con la capacità di produrre una costruzione, con l’atto di modificazione volontaria per rendere abitabile quel frammezzo caro ad Hölderlin e ad Heidegger. Il presente lavoro si offre come una riflessione sul coronamento quale elemento archetipo e come un tentativo di farne proposta di strumento metodologico per la lettura e la eventuale riscrittura della città. A lungo il pensiero teorico ha orbitato prevalentemente intorno all’attacco a terra dell’Architettura, oscurando il ben più onirico attacco al cielo. Oggi, secolo in cui più che in precedenza, grazie a software quali Google Earth, è divenuta prassi comune osservare ed orientarsi guardando la città dall’alto, è parso quanto mai opportuno ricondurre lo sguardo su quell’intervallo che si situa a metà strada tra terra e cielo, ovvero sulle quote ultime dei manufatti architettonici. La necessità, e con essa l’interesse di approfondimento, nasce dalla seguente osservazione: con le dovute eccezioni, il pensiero odierno sul coronamento sembra non essere al passo con i dispositivi tecnologici che permettono di interagirvi. Come a dire che ad evolvere non sia la nostra interpretazione del coronamento - e della sua forma -, quanto piuttosto soltanto, o soprattutto, la prospettiva visuale attraverso cui esso viene osservato. In sintesi, nel limitato spazio del presente lavoro, si tenterà innanzitutto di restituire dignità ad una quinta facciata ancora oltremodo dimenticata, e, più in generale, di sovvertire quello sguardo sulla città ancora più ancorato al suolo che al cielo. A tal fine, si è ritenuto opportuno strutturare la tesi nel modo che segue: nel primo capitolo è affrontato il tema del coronamento. In particolare, dopo aver preso in disamina le sue origini archetipe e la visione dogmatica data dal Moderno, si tenta di mettere in luce le potenzialità odierne, avanzandone la proposta interpretativa quale strumento metodologico per la lettura del paesaggio urbano. A questo punto si è resa necessaria l’individuazione di una città che, per le sue specificità interne, si prestasse, meglio di altre, ad essere scenario di tale analisi. Pertanto, nel secondo capitolo viene dato spazio alla città di Parigi, più precisamente, ad una indagine sull’uso del coronamento che l’ha interessata dal 1829 al 1929. Attraverso un taglio storico-critico viene portata in luce l’evoluzione tipologica dell’ultimo piano dell’immobile haussmaniano, dell’atelier d’artista e dell’oggetto moderno lecorbusieriano. Il terzo capitolo rappresenta la sezione operativa del lavoro: in esso è contenuta la raccolta di 81 casi studio, ciascuno presentato attraverso la pianta dell’ultimo livello dell’edificio cui appartiene, accompagnata da una scheda analitica che permetta di visualizzare con immediatezza i dati salienti dal punto di vista, morfologico, tipologico e tecnologico. La lettura della pianta del piano terra o del piano tipo scompare, non essendo utile ai fini della presente indagine. Durante l’analisi delle deformazioni che hanno subito gli schemi spaziali di queste tipologie per iscriversi nella realtà e nei loro contesti urbani, si sono evidenziate tre categorie capaci più di altre di farsene narratrici: il tetto, la toilette e l’ascensore. La totalità delle piante raccolte, ridisegnate e comparate è stata rielaborata sotto forma di nuova cartografia, che auspica a svincolarsi dal suolo, per farsi rappresentazione della quota più prossima al cielo e alle stelle, che poeticamente chiameremo quota celeste. Infine, il quarto capitolo offre un’antologia documentaria, con lo scopo di rendere visibili i documenti d’archivio su cui si è basata l’intera ricerca, dimostrando che ricerca vuol dire già progetto.
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/147771