Historically, architecture has developed a primary role in the creation of spaces of reclusion. From the simple construction of a closed and isolated place, in which to force individuals considered unfit for the social life of the city, up to the development of a real type of deprivation of freedom, based on the isolation of the individual, on the restriction of his space vital and implemented through the use of the cell as a distribution organization module. Whether it is a voluntary imprisonment or imposed by the exercise of a power, the constriction architectures all present similar distribution solutions and control devices, including: impassable physical limits that create a clear separation from the outside world, control towers, cells in which to confine a single individual at a time and "collective" spaces in which to access according to established methods and times. The location of these places in peripheral areas, far from the daily life of cities, is also a considerable urban-scale reclusive strategy. It then becomes necessary to briefly retrace the history and evolution of the spaces of compulsion in order to better understand the analogies and differences with the architecture of the emergency that, today more than ever, are set up all over the world, to respond to the phenomena of humanitarian crisis like that of migrants, and which seem to be increasingly similar to places of detention rather than protection.

Storicamente, l’architettura ha sviluppato un ruolo primario nella realizzazione degli spazi di reclusione. Dalla semplice costruzione di uno luogo chiuso e isolato, nel quale costringere gli individui considerati inadatti alla vita sociale della città, fino allo sviluppo di una vera e propria tipologia di privazione della libertà, basata sull’isolamento dell’individuo, sulla restrizione dello suo spazio vitale e attuata mediante l’utilizzo della cella come modulo di organizzazione distributiva. Che sia esso un imprigionamento volontario o che venga imposto dall'esercitazione di un potere, le architetture della costrizione presentano tutte soluzioni distributive e dispositivi di controllo analoghi, tra cui: limiti fisici invalicabili che creano una netta separazione dal mondo esterno, torri di controllo, celle in cui confinare un singolo individuo per volta e spazi “collettivi” in cui poter accedere secondo metodi e tempi stabiliti. La collocazione stessa di questi luoghi in aree periferiche, lontane dalla vita quotidiana delle città, è anch’essa considerabile una strategia di reclusione alla scala urbana. Diventa necessario quindi, ripercorrere brevemente la storia e l’evoluzione degli spazi della costrizione per capire al meglio analogie e differenze con le architetture dell’emergenza che, oggi più che mai, vengono predisposte in tutto il mondo, per rispondere ai fenomeni di crisi umanitaria come quella dei migranti, e che sembrano essere sempre più simili a luoghi di detenzione piuttosto che di protezione.

Cosa c'entra l'architettura ? La predisposizione di spazi per i migranti, tra protezione e costrizione

GAGLIARDI, MORENA
2018/2019

Abstract

Historically, architecture has developed a primary role in the creation of spaces of reclusion. From the simple construction of a closed and isolated place, in which to force individuals considered unfit for the social life of the city, up to the development of a real type of deprivation of freedom, based on the isolation of the individual, on the restriction of his space vital and implemented through the use of the cell as a distribution organization module. Whether it is a voluntary imprisonment or imposed by the exercise of a power, the constriction architectures all present similar distribution solutions and control devices, including: impassable physical limits that create a clear separation from the outside world, control towers, cells in which to confine a single individual at a time and "collective" spaces in which to access according to established methods and times. The location of these places in peripheral areas, far from the daily life of cities, is also a considerable urban-scale reclusive strategy. It then becomes necessary to briefly retrace the history and evolution of the spaces of compulsion in order to better understand the analogies and differences with the architecture of the emergency that, today more than ever, are set up all over the world, to respond to the phenomena of humanitarian crisis like that of migrants, and which seem to be increasingly similar to places of detention rather than protection.
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
24-lug-2019
2018/2019
Storicamente, l’architettura ha sviluppato un ruolo primario nella realizzazione degli spazi di reclusione. Dalla semplice costruzione di uno luogo chiuso e isolato, nel quale costringere gli individui considerati inadatti alla vita sociale della città, fino allo sviluppo di una vera e propria tipologia di privazione della libertà, basata sull’isolamento dell’individuo, sulla restrizione dello suo spazio vitale e attuata mediante l’utilizzo della cella come modulo di organizzazione distributiva. Che sia esso un imprigionamento volontario o che venga imposto dall'esercitazione di un potere, le architetture della costrizione presentano tutte soluzioni distributive e dispositivi di controllo analoghi, tra cui: limiti fisici invalicabili che creano una netta separazione dal mondo esterno, torri di controllo, celle in cui confinare un singolo individuo per volta e spazi “collettivi” in cui poter accedere secondo metodi e tempi stabiliti. La collocazione stessa di questi luoghi in aree periferiche, lontane dalla vita quotidiana delle città, è anch’essa considerabile una strategia di reclusione alla scala urbana. Diventa necessario quindi, ripercorrere brevemente la storia e l’evoluzione degli spazi della costrizione per capire al meglio analogie e differenze con le architetture dell’emergenza che, oggi più che mai, vengono predisposte in tutto il mondo, per rispondere ai fenomeni di crisi umanitaria come quella dei migranti, e che sembrano essere sempre più simili a luoghi di detenzione piuttosto che di protezione.
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/148322