Much has been said and written about the MASP on Paulista, a fate of all icons, even the most "reluctant" in modern history. With a certain sacred reverence, critics placed it in the Olympus of the great, timeless, and eternally untouchable architecture; a status that allowed the building to stand the test of time from years of neglect that came from the turbulence contradictions of the growth the City. The MASP, however, since its primary cell on rua 7 de Abril is above all a large experimental "construction site", in which it is possible to observe the spirit of a "revolution" that arises through a series of radical proposals: between 1947 and 1968 Lina Bo ferries Practice and themes of exhibition out of the “decoration” attribute to become Architecture, by demystifying a European museological vision and building a "poor but rich in inventions" architectural language, capable of breaking boundaries between stage and audience without staging a “religion of use and consume“ to cultivate the freedom of the individual.

Molto è stato detto e scritto a proposito del MASP sulla Paulista, destino di cui godono tutte le icone, anche le più "riluttanti" della storia moderna.
Con una certa reverenza sacrale la critica lo ha collocato nell'Olimpo delle grandi architetture, intramontabili, ed eternamente intoccabili; uno status che gli ha giovato, risparmiandolo da oltraggi irreparabili in anni in cui la città ha detto e contraddetto sé medesima. Il MASP, tuttavia, sin dalla sede su rua 7 de Abril è soprattutto un grande "cantiere" sperimentale, in cui è possibile osservare lo spirito di una "rivoluzione" che prende forma attraverso una serie di proposte radicali: tra il 1947 e il 1968 Lina Bo traghetta la pratica e i temi dell’allestimento fuori dall’attributo di "decorazione" per diventare Architettura.
Lo fa, smitizzando una concezione museografica di importazione e costruendo un linguaggio architettonico "povero ma ricco di invenzioni" in grado di rompere i limiti tra palco e pubblico senza mettere in scena una "religione del consumo" per coltivare la libertà dell’individuo.

Architettura povera. Lina Bo Bardi. 1947—1968

D'Odorico Borsoni, Giovanni
2019/2020

Abstract

Much has been said and written about the MASP on Paulista, a fate of all icons, even the most "reluctant" in modern history. With a certain sacred reverence, critics placed it in the Olympus of the great, timeless, and eternally untouchable architecture; a status that allowed the building to stand the test of time from years of neglect that came from the turbulence contradictions of the growth the City. The MASP, however, since its primary cell on rua 7 de Abril is above all a large experimental "construction site", in which it is possible to observe the spirit of a "revolution" that arises through a series of radical proposals: between 1947 and 1968 Lina Bo ferries Practice and themes of exhibition out of the “decoration” attribute to become Architecture, by demystifying a European museological vision and building a "poor but rich in inventions" architectural language, capable of breaking boundaries between stage and audience without staging a “religion of use and consume“ to cultivate the freedom of the individual.
PISANI , DANIELE
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
24-lug-2020
2019/2020
Molto è stato detto e scritto a proposito del MASP sulla Paulista, destino di cui godono tutte le icone, anche le più "riluttanti" della storia moderna.
Con una certa reverenza sacrale la critica lo ha collocato nell'Olimpo delle grandi architetture, intramontabili, ed eternamente intoccabili; uno status che gli ha giovato, risparmiandolo da oltraggi irreparabili in anni in cui la città ha detto e contraddetto sé medesima. Il MASP, tuttavia, sin dalla sede su rua 7 de Abril è soprattutto un grande "cantiere" sperimentale, in cui è possibile osservare lo spirito di una "rivoluzione" che prende forma attraverso una serie di proposte radicali: tra il 1947 e il 1968 Lina Bo traghetta la pratica e i temi dell’allestimento fuori dall’attributo di "decorazione" per diventare Architettura.
Lo fa, smitizzando una concezione museografica di importazione e costruendo un linguaggio architettonico "povero ma ricco di invenzioni" in grado di rompere i limiti tra palco e pubblico senza mettere in scena una "religione del consumo" per coltivare la libertà dell’individuo.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/165477