Digital infrastructure and data are the backbone of our post-millennial society. During the last forty years, they have progressively become a vital framework for mankind, sustaining most of the operations we do everyday. More recently, Covid-19 outbreak and the lockdown period that most people in the world underwent exposed our strong dependency on digital infrastructure for - if not the totality - a wide range of our activities and everyday life: from logistics to healthcare, from education to work, including entertainment and leisure, all the major aspects that define our existence run on fiber-optic cables, server racks and cell towers. Though data has proven vital for our existence, very little is known about what happens behind our screens. The institutions which operate data infrastructure are most of the times unaccountable and their use of the data produced by users is often opaque as the architecture in which the same data is kept: which kind of models lie behind their computing power? And how is that affecting the space we live in? At which moment in history did internet networks shift from being a communications medium and became the byproduct of a specific business model? In 2017, The Economist famously claimed that "data is the new oil". By comparing the top ten companies by revenue in the world today with the ones in the 1980s, it is clear why: Amoco has been replaced by Facebook, Exxon by Google, and Mobil by Amazon. To tackle such questions, it is crucial to trace geographies that jump from the global scales of economic flows to the microscopic dimensions of the cables delivering data. Only by investigating such aspects it is possible to assess how the spatiality of data infrastructure is the direct consequence of distinct governance models. Likewise, deeply understanding the technologies allowing for data - our digital souls - to flow between devices can reveal alternative models for parallel data ecosystems: the network prototypes built by communities around the world and the theoretical explorations of different figures will constitute the basis for a speculation about alternative networks questioning the assumption that data should only flow through Big Tech's control. The territory of Milan will be a testing ground for questioning the established formula by which data is extracted, managed and used and for bringing forward a different network that adapts to the complexity of the urban territory and suggests a different relationship with the telecommunications infrastructure, the city, and its non-human agents, creating pockets of autonomy. A different take on the infrastructure whose early creators once thought could "democratize the whole world".

Le infrastrutture digitali e i dati sono la spina dorsale della società del nuovo millennio. Durante gli ultimi quarant’anni, essi sono diventati una struttura vitale per l’umanità, supportando molte delle operazioni che compiamo ogni giorno. Più recentemente, lo scoppio dell’epidemia di covid-19 e il periodo di isolamento che gran parte del pianeta ha attraversato hanno esposto la nostra forte dipendenza nei confronti dell’infrastruttura digitale per un ampio spettro, se non per la totalità, delle nostre attività e della nostra vita quotidiana: dalla logistica alla sanità, dall’educazione al lavoro, includendo anche l’intrattenimento e il tempo libero, tutti gli aspetti più importanti che definiscono la nostra esistenza passano attraverso cavi di fibra ottica, server e torri cellulari. Sebbene i dati si siano rivelati vitali per la nostra esistenza, conosciamo molto poco di quello che succede dietro agli schermi dei nostri dispositivi. Le istituzioni che operano questa infrastruttura sono il più delle volte incontrollabili e l’uso che fanno dei dati prodotti dagli utilizzatori delle tecnologie digitali è spesso opaco come l’architettura nella quale i dati sono conservati: quali modelli giaciono dietro alla loro forza computazionale? E come questo influisce lo spazio in cui viviamo? In quale momento nel corso della storia i network di internet hanno smesso di essere un mezzo di comunicazione e sono diventati sinonimi di un modello economico molto specifico? Nel 2017, l’Economist ha affermato la celebre frase “i dati sono il nuovo petrolio.” Comparando le dieci maggiori compagnie al mondo per fatturato oggi con quelle negli anni ottanta, è subito chiaro il perché di questa affermazione: Amoco è stata sostituita da Facebook, Exxon da Google e Mobil da Amazon. Per affrontare questi interrogativi, è fondamentale tracciare geografie che passano/si distendono dalle scale globali dei flussi economici alle dimensioni microscopiche dei cavi che trasportano i dati. Solo indagando questi aspetti è possibile verificare come la spazialità dell’infrastruttura dei dati sia la diretta conseguenza di modelli di gestione ben definiti. Allo stesso modo, comprendere profondamente le tecnologie che permettono ai dati, le nostre anime digitali, di fluire attraverso i dispositivi digitali può rivelare modelli alternativi di convivenza con questa infrastruttura: i prototipi di network costruiti da alcune comunità in diverse parti del mondo e le riflessioni teoriche di diversi progettisti serviranno da base per l’ipotesi di network alternativi che mettano in discussione il presupposto che i dati debbano passare soltanto attraverso il controllo di Big Tech. Il territorio di Milano costituirà un terreno di sperimentazione per dubitare la formula consolidata con la quale i dati sono estratti, controllati e usati e per esplorare la possibilità di un network diverso, che si adatti alla complessità del territorio urbano e che suggerisca una diversa relazione con l’infrastruttura delle telecomunicazioni, la città, e con agenti diversi dall’uomo, creando sacche di autonomia. Un approccio diverso all’infrastruttura di cui i creatori un tempo pensarono potesse “democratizzare il mondo intero”.

DITTO. A strategy for new data landscapes

Franti, Matteo
2019/2020

Abstract

Digital infrastructure and data are the backbone of our post-millennial society. During the last forty years, they have progressively become a vital framework for mankind, sustaining most of the operations we do everyday. More recently, Covid-19 outbreak and the lockdown period that most people in the world underwent exposed our strong dependency on digital infrastructure for - if not the totality - a wide range of our activities and everyday life: from logistics to healthcare, from education to work, including entertainment and leisure, all the major aspects that define our existence run on fiber-optic cables, server racks and cell towers. Though data has proven vital for our existence, very little is known about what happens behind our screens. The institutions which operate data infrastructure are most of the times unaccountable and their use of the data produced by users is often opaque as the architecture in which the same data is kept: which kind of models lie behind their computing power? And how is that affecting the space we live in? At which moment in history did internet networks shift from being a communications medium and became the byproduct of a specific business model? In 2017, The Economist famously claimed that "data is the new oil". By comparing the top ten companies by revenue in the world today with the ones in the 1980s, it is clear why: Amoco has been replaced by Facebook, Exxon by Google, and Mobil by Amazon. To tackle such questions, it is crucial to trace geographies that jump from the global scales of economic flows to the microscopic dimensions of the cables delivering data. Only by investigating such aspects it is possible to assess how the spatiality of data infrastructure is the direct consequence of distinct governance models. Likewise, deeply understanding the technologies allowing for data - our digital souls - to flow between devices can reveal alternative models for parallel data ecosystems: the network prototypes built by communities around the world and the theoretical explorations of different figures will constitute the basis for a speculation about alternative networks questioning the assumption that data should only flow through Big Tech's control. The territory of Milan will be a testing ground for questioning the established formula by which data is extracted, managed and used and for bringing forward a different network that adapts to the complexity of the urban territory and suggests a different relationship with the telecommunications infrastructure, the city, and its non-human agents, creating pockets of autonomy. A different take on the infrastructure whose early creators once thought could "democratize the whole world".
HÄNNINEN, GIOVANNI
PESTELLINI LAPARELLI, IPPOLITO
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
28-apr-2021
2019/2020
Le infrastrutture digitali e i dati sono la spina dorsale della società del nuovo millennio. Durante gli ultimi quarant’anni, essi sono diventati una struttura vitale per l’umanità, supportando molte delle operazioni che compiamo ogni giorno. Più recentemente, lo scoppio dell’epidemia di covid-19 e il periodo di isolamento che gran parte del pianeta ha attraversato hanno esposto la nostra forte dipendenza nei confronti dell’infrastruttura digitale per un ampio spettro, se non per la totalità, delle nostre attività e della nostra vita quotidiana: dalla logistica alla sanità, dall’educazione al lavoro, includendo anche l’intrattenimento e il tempo libero, tutti gli aspetti più importanti che definiscono la nostra esistenza passano attraverso cavi di fibra ottica, server e torri cellulari. Sebbene i dati si siano rivelati vitali per la nostra esistenza, conosciamo molto poco di quello che succede dietro agli schermi dei nostri dispositivi. Le istituzioni che operano questa infrastruttura sono il più delle volte incontrollabili e l’uso che fanno dei dati prodotti dagli utilizzatori delle tecnologie digitali è spesso opaco come l’architettura nella quale i dati sono conservati: quali modelli giaciono dietro alla loro forza computazionale? E come questo influisce lo spazio in cui viviamo? In quale momento nel corso della storia i network di internet hanno smesso di essere un mezzo di comunicazione e sono diventati sinonimi di un modello economico molto specifico? Nel 2017, l’Economist ha affermato la celebre frase “i dati sono il nuovo petrolio.” Comparando le dieci maggiori compagnie al mondo per fatturato oggi con quelle negli anni ottanta, è subito chiaro il perché di questa affermazione: Amoco è stata sostituita da Facebook, Exxon da Google e Mobil da Amazon. Per affrontare questi interrogativi, è fondamentale tracciare geografie che passano/si distendono dalle scale globali dei flussi economici alle dimensioni microscopiche dei cavi che trasportano i dati. Solo indagando questi aspetti è possibile verificare come la spazialità dell’infrastruttura dei dati sia la diretta conseguenza di modelli di gestione ben definiti. Allo stesso modo, comprendere profondamente le tecnologie che permettono ai dati, le nostre anime digitali, di fluire attraverso i dispositivi digitali può rivelare modelli alternativi di convivenza con questa infrastruttura: i prototipi di network costruiti da alcune comunità in diverse parti del mondo e le riflessioni teoriche di diversi progettisti serviranno da base per l’ipotesi di network alternativi che mettano in discussione il presupposto che i dati debbano passare soltanto attraverso il controllo di Big Tech. Il territorio di Milano costituirà un terreno di sperimentazione per dubitare la formula consolidata con la quale i dati sono estratti, controllati e usati e per esplorare la possibilità di un network diverso, che si adatti alla complessità del territorio urbano e che suggerisca una diversa relazione con l’infrastruttura delle telecomunicazioni, la città, e con agenti diversi dall’uomo, creando sacche di autonomia. Un approccio diverso all’infrastruttura di cui i creatori un tempo pensarono potesse “democratizzare il mondo intero”.
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