Milano scalo Porta Genova. Sperimentazioni sulla figura dei catalizzatori urbani

This thesis is part of a debate rather frequented by architects and administrators: the railway yards. More specifically, the Porta Genova railway station, also because of the Dock, has often been at the center of a heated debate on the role of the city of Milan and its vocation, monocentric or polycentric. The coexistence of large plants and working-class neighborhoods, the same overlaps and irregularities in the layout of the road network, testify to the difficulties that Milan has encountered in imposing a rigid urban model in this area. Rather, a highly dynamic hybrid regime prevails, in which exchanges between the city and a vast territory are condensed. It’s enough to think of the Tortona District and its induced activities to understand how much these innovative realities have been able to exploit legacies of the industrial periphery. Hence the design choice of morphologically reinforcing the “urban wound”, avoiding any “mimetic” attempt of mending. The concept of settlement is in fact that of a linear space with a strong topography, measured by public buildings, which due to their stratified and multi-scalar nature, we have called “urban catalysts”. These bodies take on different connotations and orientations from time to time depending on the scene in which they are placed, so to speak, in “theatrical” form. This in the conviction that the complexity of forms must give back the complexity of civil relations that we want to give back to the city.

La tesi si colloca all’interno di un dibattito piuttosto frequentato da architetti e amministratori: quello degli scali ferroviari. Più nello specifico, lo Scalo di Porta Genova, anche per via della Darsena, è stato spesso al centro di un’acceso dibattito sul ruolo della città di Milano e sulla sua vocazione, monocentrica o policentrica. La compresenza di grandi impianti e quartieri operai, le stesse sovrapposizioni e irregolarità nel tracciato della maglia viaria, testimoniano le difficoltà che il Capoluogo ha incontrato ad imporre a questa zona un modello urbanistico rigido. Prevale piuttosto un regime ibrido dalla forte dinamicità, in cui si condensano scambi tra la città e un territorio di area vasta. Basta pensare al Tortona District e al suo indotto per capire quanto queste realtà innovative abbiano potuto sfruttare lasciti della periferia industriale. Da qui la scelta progettuale di rafforzare morfologicamente la “ferita urbana”, evitando ogni tentativo “mimetico” di ricucitura. La concezione insediativa è infatti quella di uno spazio lineare dalla forte topografia, misurato da edifici pubblici, che per via della propria natura stratificata e multiscalare, abbiamo chiamato “catalizzatori urbani”. Tali organismi assumono di volta in volta differenti connotazioni e orientamenti a seconda della scena nella quale vengono collocati, per così dire, in forma “teatrale”. Ciò nella convinzione che la complessità delle forme debba restituire la complessità delle relazioni civili che vogliamo restituire alla città.