L’interesse verso la malattia di Alzheimer è spinto dal fatto che è una delle malattie che si sta maggiormente diffondendo e per il coinvolgimento sociale che comporta. Questa malattia si può definire una malattia della società non solo dal punto di vista della considerevole ricaduta in termini di costi e dal coinvolgimento delle famiglie, ma anche dalle notevoli analogie, in una visione più semplicistica, tra le varie ossessioni dei malati nei confronti del tempo, dello spazio e degli oggetti e alcuni funzionamenti tipici dell’uomo contemporaneo. L’approccio è di vedere la condizione delle persone affette dal morbo come occasione di appropriazione di sé e come strumento di lettura più profonda della realtà. I malati sono padroni di un linguaggio incompleto a causa dello stato di salute, ma allo stesso tempo straordinario poiché rappresenta la realtà in maniera minuziosa e con una sensibilità diversa. L’obiettivo è quello di creare spazi o sistemi per l’Alzheimer che siano in grado di indagare questo linguaggio e creare scenari ed esperienze protesiche utili per formare una dimensione di benessere e di tranquillità sia per il malato sia per chi lo assiste, ridando una dignità oggi perduta a causa dei pregiudizi e delle paure della collettività. Mezzi utili allo scopo, vista la carenza di servizi e strutture, sono i principi su cui si basano le terapie non farmacologiche, unici elementi in grado di sostenere e aiutare il malato nel suo ambiente. Sono veicoli di gestione sociale, visto il possibile coinvolgimento di più individui, malati e non, e visto il fatto che si possano utilizzare anche in situazioni extraospedaliere con possibile diffusione nella città. Sono veicoli di progetto che possono stabilire dei requisiti per lo spazio per avvicinare i così detti “normodotati” ai malati, e fornire nuovi elementi che oscillano tra il reale e il ricordato, tra la memoria, l’archetipo e l’inconscio per creare spazi protesici. Gli spazi per l’Alzheimer saranno luoghi esperienziali dove non si persegue come obiettivo generale un progetto per la “salute”, ma il fine da seguire è quello di ridare al malato un’identità e un rapporto più sicuro e partecipativo con lo spazio.
Nuovi scenari per l'Alzheimer. Strumenti del design d’interni per le terapie non farmacologiche per l’Alzheimer
BALORDI, PAOLA
2009/2010
Abstract
L’interesse verso la malattia di Alzheimer è spinto dal fatto che è una delle malattie che si sta maggiormente diffondendo e per il coinvolgimento sociale che comporta. Questa malattia si può definire una malattia della società non solo dal punto di vista della considerevole ricaduta in termini di costi e dal coinvolgimento delle famiglie, ma anche dalle notevoli analogie, in una visione più semplicistica, tra le varie ossessioni dei malati nei confronti del tempo, dello spazio e degli oggetti e alcuni funzionamenti tipici dell’uomo contemporaneo. L’approccio è di vedere la condizione delle persone affette dal morbo come occasione di appropriazione di sé e come strumento di lettura più profonda della realtà. I malati sono padroni di un linguaggio incompleto a causa dello stato di salute, ma allo stesso tempo straordinario poiché rappresenta la realtà in maniera minuziosa e con una sensibilità diversa. L’obiettivo è quello di creare spazi o sistemi per l’Alzheimer che siano in grado di indagare questo linguaggio e creare scenari ed esperienze protesiche utili per formare una dimensione di benessere e di tranquillità sia per il malato sia per chi lo assiste, ridando una dignità oggi perduta a causa dei pregiudizi e delle paure della collettività. Mezzi utili allo scopo, vista la carenza di servizi e strutture, sono i principi su cui si basano le terapie non farmacologiche, unici elementi in grado di sostenere e aiutare il malato nel suo ambiente. Sono veicoli di gestione sociale, visto il possibile coinvolgimento di più individui, malati e non, e visto il fatto che si possano utilizzare anche in situazioni extraospedaliere con possibile diffusione nella città. Sono veicoli di progetto che possono stabilire dei requisiti per lo spazio per avvicinare i così detti “normodotati” ai malati, e fornire nuovi elementi che oscillano tra il reale e il ricordato, tra la memoria, l’archetipo e l’inconscio per creare spazi protesici. Gli spazi per l’Alzheimer saranno luoghi esperienziali dove non si persegue come obiettivo generale un progetto per la “salute”, ma il fine da seguire è quello di ridare al malato un’identità e un rapporto più sicuro e partecipativo con lo spazio.File | Dimensione | Formato | |
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