L’area di viale Montello è situata oggi nel pieno centro di Milano. Essa si presenta come una zona franca, di confi ne per due distinti schieramenti abitativi e commerciali dai pochi punti di contatto. Giace in un limbo che pare quasi invisibile, privato di una sua identità. L’unico motivo per cui la gente si ricorda che dietro a quel muro non c’è il nulla, è la memoria del tendone bianco e rosso, degli stendardi colorati, della colonia di 23 conigli7 che venivano lì accuditi dal Piccolo Circo. Ma si tratta di un ricordo che per molti svanirà piuttosto presto, quando le preoccupazioni quotidiane, la vita frenetica delle persone e il degrado e il silenzio dell’area lo spegneranno lentamente. “Il vuoto urbano non è un’astratta categoria concettuale, ma oggetto di esperienza, pratica di vita, forza produttiva di nuova spazialità, risorsa per la creazione di nuove forme di socialità. … E’ la sospensione della decisione ciò che defi nisce uno spazio come spazio vuoto”. E’ da queste considerazioni sull’area di viale Montello che ho deciso di affrontare il mio progetto con un occhio speciale ai margini, ai bordi, alle parti sì più a contatto con la vita cittadina, ma anche più precarie, più mutevoli: quei confini che sembrano lottare per farsi notare, ma finiscono per tracciare i lati di una invisibile scatola vuota. Ho così pensato alla riqualificazione del muro su viale Montello e al progetto di una nuova quinta sul lato Bastioni di Porta Volta, esattamente lungo il tracciato delle antiche mura spagnole, e dunque proprio al di sopra di quel terreno che ancora ne nasconde le fondazioni. Sul muro ovest, quello su viale Montello appunto, ho optato per un intervento leggero, che, da una parte, conservasse le stratifi cazioni che testimoniano più di un secolo di trasformazioni, dall’altra, andasse a reinterpretare la funzione storica delle aperture “a vetrina”, le quali creano tuttora varchi visivi tra la strada e l’area in questione. La soluzione proposta consiste in un sistema molto semplice di banco e copertura, da installare sulla pre-esistenza, che possa donare di nuovo la funzione commerciale a queste “vetrine” abbandonate, senza più però una lastra di vetro a dividere il passante dalla merce: un mercato di strada insomma. Sull’altro lato dell’area, a sostituire la debole recinzione di rete metallica, oggi sventrata in più punti, sorgerebbe, secondo il mio progetto, una lunga parete (70 m) in gabbionate metalliche, “tagliata” in un solo breve tratto a creare uno stretto varco di passaggio. L’elemento del gabbione è qui reinterpretato in funzione delle ripetute osservazioni e dai differenti rilievi svolti per un anno sull’area. Montagne di rifi uti sono state inizialmente fotografate e catalogate, fi no a comprendere che una caratteristica peculiare delle aree dismesse cittadine è proprio il loro stato di discariche a cielo aperto. Così con un processo simbolico di “trasporto” dei rifi uti dal suolo dell’area alla nuova quinta di gabbioni, ho dato forma ad una “parete ecologica”, studiata per la raccolta differenziata di imballaggi di plastica, vetro e alluminio, destinati al riciclaggio, e di oggetti dismessi, vestiti, calzature e giocattoli, da destinare invece alla ridistribuzione solidale, dunque al riuso. I rifuti, pressati in blocchi, diventano simbolicamente anche tamponamento del muro, in sostituzione alle pietre che riempiono solitamente i gabbioni, e si fanno elementi segnaletici per la raccolta differenziata. Ecco spiegato così il primo termine che compone il titolo del mio progetto di Tesi: les murs, “i muri”, ma anche “le mura”, le mura spagnole. Non secondaria tuttavia è la rifl essione su cosa può accadere in mezzo ai due muri: lavorare soltanto sui margini non farebbe altro che creare nuovi margini e lasciare ancora un grande nulla centrale - “il vuoto non si riutilizza, non si abita, non ospita, non esiste come luogo costituito dall’abbandono del potere o della produzione, né, al contrario, come struttura capace di assorbire i senza-casa o i senza-politica” 10. L’idea di una piazza centrale, da adibire a mercato, ma anche a semplice luogo di incontro e distensione, scaturisce dall’ascolto delle necessità palesate da molti abitanti del quartiere, così come dall’osservazione delle tensioni sociali date dalla consistente presenza, nella vicina “zona Sarpi” di una comunità chiusa come quella cinese. Il mercato, e in senso più ampio il commercio, si potrebbero fare portavoce di una nuova integrazione tra le varie provenienze geografi che che caratterizzano gli abitanti del quartiere di Porta Volta. Uno spazio aperto che potrebbe anche essere attrezzato per i più piccoli, perchè questo processo di integrazione possa cominciare proprio da loro. Nasce così questa “piastra” in calcestruzzo colorato, che appare come un vecchio manufatto che riaffi ora dal terreno; la sua forma ricorda l’ingombro del tendone bianco e rosso del Piccolo Circo, che, durante la sua permanenza in viale Montello, era stato capace di ridare all’area una forte identità e di riunire gente di ogni età, livello sociale e provenienza geografica. Come un vecchio manufatto abbandonato la piazza si crepa, si spacca e su di essa compaiono fessure e solchi che diventeranno fertile letto per una caparbia vegetazione spontanea. La place, “la piazza”, ma, allo stesso tempo, “lo spazio”, “il luogo” è il secondo termine che compone il titolo della mia Tesi. Tra i muri e la piazza, tra i confi ni e il centro, ho deciso di dare importanza ad un altro elemento caratteristico dei margini urbani, delle aree dismesse e ruderali, di ogni vuoto urbano: la vegetazione spontanea. Dall’approfondimento delle teorie elaborate dal celebre paesaggista Gilles Clément e, grazie al suo supporto durante tutto il processo di elaborazione del mio progetto di tesi, ho potutto comprendere l’importanza della vegetazione spontanea in un ambiente fortemente antropizzato come quello cittadino. E’ proprio in ambito urbano infatti, e in particolare nelle aree di margine, abbandonate e dimenticate, che la “fl ora urbica” crea dei veri e propri serbatoi di biodiversità. Il progetto di una cornice verde che separi e allo stesso tempo connetta il centro e i limiti, diventa motivo di “non-progetto”, di semplici previsioni sulla possibile evoluzione nel tempo della vegetazione spontanea, in base all’osservazione del suo comportamento durante l’ultimo anno. Questo giardino selvaggio si presta così a divenire occasione di “esplorazione” e scoperta di un microcosmo considerato, ad oggi, “di serie B”, o meglio, non considerato affatto. Uno spazio verde che può trasformarsi in un’occasione di esposizione e comunicazione dell’importanza della diversità, ponendo i presupposti per una diversa e più consapevole osservazione della natura che si insedia in silenzio negli spazi più vicini alla vita quotidiana delle persone. Grazie ad attraversamenti irregolari, realizzati con lastre di pavè dismesse dal Comune, i visitatori possono immergersi in una natura dalle poche pretese, guardarla da vicino e, con l’ausilio di eventuali strumenti informativi, comprendere i processi biologici che stanno alla base di un tale ordine “disordinato”; osservare e capire le Tiers Paysage, il terzo termine che conclude il titolo del mio progetto di Tesi.

Les murs, la place et le Tiers Paysage. Colonizzazione di un’area dismessa a Porta Volta Milano

MANCA, MATTEO
2010/2011

Abstract

L’area di viale Montello è situata oggi nel pieno centro di Milano. Essa si presenta come una zona franca, di confi ne per due distinti schieramenti abitativi e commerciali dai pochi punti di contatto. Giace in un limbo che pare quasi invisibile, privato di una sua identità. L’unico motivo per cui la gente si ricorda che dietro a quel muro non c’è il nulla, è la memoria del tendone bianco e rosso, degli stendardi colorati, della colonia di 23 conigli7 che venivano lì accuditi dal Piccolo Circo. Ma si tratta di un ricordo che per molti svanirà piuttosto presto, quando le preoccupazioni quotidiane, la vita frenetica delle persone e il degrado e il silenzio dell’area lo spegneranno lentamente. “Il vuoto urbano non è un’astratta categoria concettuale, ma oggetto di esperienza, pratica di vita, forza produttiva di nuova spazialità, risorsa per la creazione di nuove forme di socialità. … E’ la sospensione della decisione ciò che defi nisce uno spazio come spazio vuoto”. E’ da queste considerazioni sull’area di viale Montello che ho deciso di affrontare il mio progetto con un occhio speciale ai margini, ai bordi, alle parti sì più a contatto con la vita cittadina, ma anche più precarie, più mutevoli: quei confini che sembrano lottare per farsi notare, ma finiscono per tracciare i lati di una invisibile scatola vuota. Ho così pensato alla riqualificazione del muro su viale Montello e al progetto di una nuova quinta sul lato Bastioni di Porta Volta, esattamente lungo il tracciato delle antiche mura spagnole, e dunque proprio al di sopra di quel terreno che ancora ne nasconde le fondazioni. Sul muro ovest, quello su viale Montello appunto, ho optato per un intervento leggero, che, da una parte, conservasse le stratifi cazioni che testimoniano più di un secolo di trasformazioni, dall’altra, andasse a reinterpretare la funzione storica delle aperture “a vetrina”, le quali creano tuttora varchi visivi tra la strada e l’area in questione. La soluzione proposta consiste in un sistema molto semplice di banco e copertura, da installare sulla pre-esistenza, che possa donare di nuovo la funzione commerciale a queste “vetrine” abbandonate, senza più però una lastra di vetro a dividere il passante dalla merce: un mercato di strada insomma. Sull’altro lato dell’area, a sostituire la debole recinzione di rete metallica, oggi sventrata in più punti, sorgerebbe, secondo il mio progetto, una lunga parete (70 m) in gabbionate metalliche, “tagliata” in un solo breve tratto a creare uno stretto varco di passaggio. L’elemento del gabbione è qui reinterpretato in funzione delle ripetute osservazioni e dai differenti rilievi svolti per un anno sull’area. Montagne di rifi uti sono state inizialmente fotografate e catalogate, fi no a comprendere che una caratteristica peculiare delle aree dismesse cittadine è proprio il loro stato di discariche a cielo aperto. Così con un processo simbolico di “trasporto” dei rifi uti dal suolo dell’area alla nuova quinta di gabbioni, ho dato forma ad una “parete ecologica”, studiata per la raccolta differenziata di imballaggi di plastica, vetro e alluminio, destinati al riciclaggio, e di oggetti dismessi, vestiti, calzature e giocattoli, da destinare invece alla ridistribuzione solidale, dunque al riuso. I rifuti, pressati in blocchi, diventano simbolicamente anche tamponamento del muro, in sostituzione alle pietre che riempiono solitamente i gabbioni, e si fanno elementi segnaletici per la raccolta differenziata. Ecco spiegato così il primo termine che compone il titolo del mio progetto di Tesi: les murs, “i muri”, ma anche “le mura”, le mura spagnole. Non secondaria tuttavia è la rifl essione su cosa può accadere in mezzo ai due muri: lavorare soltanto sui margini non farebbe altro che creare nuovi margini e lasciare ancora un grande nulla centrale - “il vuoto non si riutilizza, non si abita, non ospita, non esiste come luogo costituito dall’abbandono del potere o della produzione, né, al contrario, come struttura capace di assorbire i senza-casa o i senza-politica” 10. L’idea di una piazza centrale, da adibire a mercato, ma anche a semplice luogo di incontro e distensione, scaturisce dall’ascolto delle necessità palesate da molti abitanti del quartiere, così come dall’osservazione delle tensioni sociali date dalla consistente presenza, nella vicina “zona Sarpi” di una comunità chiusa come quella cinese. Il mercato, e in senso più ampio il commercio, si potrebbero fare portavoce di una nuova integrazione tra le varie provenienze geografi che che caratterizzano gli abitanti del quartiere di Porta Volta. Uno spazio aperto che potrebbe anche essere attrezzato per i più piccoli, perchè questo processo di integrazione possa cominciare proprio da loro. Nasce così questa “piastra” in calcestruzzo colorato, che appare come un vecchio manufatto che riaffi ora dal terreno; la sua forma ricorda l’ingombro del tendone bianco e rosso del Piccolo Circo, che, durante la sua permanenza in viale Montello, era stato capace di ridare all’area una forte identità e di riunire gente di ogni età, livello sociale e provenienza geografica. Come un vecchio manufatto abbandonato la piazza si crepa, si spacca e su di essa compaiono fessure e solchi che diventeranno fertile letto per una caparbia vegetazione spontanea. La place, “la piazza”, ma, allo stesso tempo, “lo spazio”, “il luogo” è il secondo termine che compone il titolo della mia Tesi. Tra i muri e la piazza, tra i confi ni e il centro, ho deciso di dare importanza ad un altro elemento caratteristico dei margini urbani, delle aree dismesse e ruderali, di ogni vuoto urbano: la vegetazione spontanea. Dall’approfondimento delle teorie elaborate dal celebre paesaggista Gilles Clément e, grazie al suo supporto durante tutto il processo di elaborazione del mio progetto di tesi, ho potutto comprendere l’importanza della vegetazione spontanea in un ambiente fortemente antropizzato come quello cittadino. E’ proprio in ambito urbano infatti, e in particolare nelle aree di margine, abbandonate e dimenticate, che la “fl ora urbica” crea dei veri e propri serbatoi di biodiversità. Il progetto di una cornice verde che separi e allo stesso tempo connetta il centro e i limiti, diventa motivo di “non-progetto”, di semplici previsioni sulla possibile evoluzione nel tempo della vegetazione spontanea, in base all’osservazione del suo comportamento durante l’ultimo anno. Questo giardino selvaggio si presta così a divenire occasione di “esplorazione” e scoperta di un microcosmo considerato, ad oggi, “di serie B”, o meglio, non considerato affatto. Uno spazio verde che può trasformarsi in un’occasione di esposizione e comunicazione dell’importanza della diversità, ponendo i presupposti per una diversa e più consapevole osservazione della natura che si insedia in silenzio negli spazi più vicini alla vita quotidiana delle persone. Grazie ad attraversamenti irregolari, realizzati con lastre di pavè dismesse dal Comune, i visitatori possono immergersi in una natura dalle poche pretese, guardarla da vicino e, con l’ausilio di eventuali strumenti informativi, comprendere i processi biologici che stanno alla base di un tale ordine “disordinato”; osservare e capire le Tiers Paysage, il terzo termine che conclude il titolo del mio progetto di Tesi.
CLEMENT, GILLES
ROSSI, MICHELA
ARC III - Scuola del Design
20-lug-2011
2010/2011
Tesi di laurea Magistrale
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