Dye plants have been extensively used since ancient times as sources of vegetal colorants for dyeing, painting, cosmetics and pharmaceuticals. Replaced in the late 19th century by synthetic substances, these colorants have recently witnessed a revival in Europe in the wake of the growing interest towards sustainable and low environmental impact productions. In the Italian context, however, most recent initiatives for the reintroduction of vegetal colorants were not able to match their integration in production processes with an adequate background of historical and scientific knowledge: consequently, most of these initiatives remained anchored in an amateur dimension, which often led to failure. This research wishes to build up a background of knowledge on plant-derived colorants by highlighting their prominent cultural dimension and multidisciplinary nature, and to explain how, grounding their reintroduction on these features, these colouring substances have the potential of becoming a resource – a “cultural tool” – that can support territorial enhancement. To this aim, the research is made up by three essays; each of them, with dedicated methods, tools, and disciplines, gives insight into a specific kind of cultural heritage bound to vegetal colorants: 1. Their history of ancient techniques and technologies, studied by means of the technical literature of the Modern Age; 2. Their uses in built heritage, examined through an analytical investigation on their painting applications on ancient architectural surfaces; 3. Present-day productions, intended as elements of material culture and expressions of an intangible heritage. Throughout the thesis, the case of woad (Isatis tinctoria, the “European indigo” plant) and its blue indigoid colour has been examined as a relevant example among dye plants to get insight into these topics. The historical research has brought to light that, on the contrary of what is often assumed, woad had not disappeared in Italy by the 18th and early 19th centuries. Instead, it was still cultivated, processed, and used in dyeing in several parts of the country, and had a more extensive diffusion than what is usually thought. Woad could be processed in different ways, and its extraction and dyeing techniques in this period had some points in common with those of Indigofera tinctoria, the “rival” foreign indigo plant. Furthermore, the dyeing processes with woad could result in by-products – especially a scum, called the “flower” of woad – that could be used to make a pigment for painting: the plausible remnants of plant tissues in such by-products provides interesting starting points for future studies. The analytical investigation targeted painting layers of ancient wooden ceilings in Cremona (Lombardy), a city that turned out to have been bound to woad cultivation and production in the past, but had never been properly search out in regard to indigoid colorants before. An indigoid blue was detected on three 15th-century ceilings, and was attributed to woad because of the extensive local availability of the colorant in this period. This result, compared with other findings of indigoid blues on coeval wooden ceilings of the Mediterranean arc, shows that indigoid pigments were used in built heritage in those places that had an active economy bound to woad. Concurrently, the finding of traces of plant tissues inside some indigoid painting layers seems attributable to woad’s processing techniques, and could become a new feature by means of which indigoid blues could be studied. Finally, the examination of current woad productions in Italy confirms that today’s reintroduction initiatives have been mostly naïve, lacked a thorough support of research, and had an insufficient knowledge of historical processes, current optimization possibilities, and of the bond with a territory’s history. Concurrently, it showed that dye plants’ cultural significance does not primarily lie in an agricultural connotation, but rather in their transformation processes and their uses. It therefore appears necessary to rebuild the “culture of transformations” of vegetal colorants, in order to set up a complete and effective production chain of woad. In conclusion, the research showed that a culture of woad existed, and could be declined in different ways and different fields. This work represents a first step within a fragmentary framework, and allows to find some cornerstones, from which a work programme can be set up. This programme can involve a plurality of people, competences, and disciplines, that engage the territory on multiple levels: in this sense, vegetal colorants can be a multifunctional “cultural tool”, that can also contribute to territorial enhancement.

Le piante tintorie sono state ampiamente impiegate sin dai tempi più antichi come fonti di sostanze coloranti vegetali da usare in tintura, pittura, cosmetica e farmaceutica. Dopo essere stati soppiantati dai colori di sintesi verso la fine dell’Ottocento, i colori vegetali sono tornati in auge in anni recenti sull’onda della crescente attenzione verso produzioni sostenibili e a basso impatto ambientale. In Italia, tuttavia, la maggior parte delle iniziative recenti per la reintroduzione dei colori vegetali non è stata in grado di far corrispondere all’integrazione dei colori nei processi produttivi un adeguato retroterra di conoscenze storiche e scientifiche: di conseguenza, gran parte di tali iniziative è rimata ancorata a una dimensione dilettantistica, che ne ha spesso determinato il fallimento. La presente ricerca si propone di costruire un retroterra di conoscenze sulle sostanze coloranti di derivazione vegetale, mettendone in risalto la preminente dimensione culturale e la natura multidisciplinare, e spiegando come, fondando la loro reintroduzione su queste caratteristiche, queste sostanze coloranti abbiano il potenziale di diventare una risorsa – uno “strumento culturale” – che può anche supportare il rafforzamento di un territorio. Per perseguire questo obiettivo, la ricerca è articolata in tre saggi; ciascuno di essi, con discipline, metodi e strumenti dedicati, approfondisce un tipo specifico di patrimonio culturale legato ai colori vegetali: 1. La storia delle tecniche e tecnologie antiche dei colori vegetali, studiata tramite la manualistica tecnica dell’Epoca Moderna; 2. I loro impieghi nel patrimonio costruito, esaminati attraverso un’indagine analitica sulle loro applicazioni su superfici architettoniche antiche; 3. Le loro produzioni odierne, intese come elementi di cultura materiale ed espressioni di un patrimonio immateriale. Nel corso della tesi, il caso del guado (Isatis tinctoria, la pianta da indaco europea) e del suo colore blu indigoide, scelto in qualità di esempio significativo fra le piante tintorie, è stato esaminato per approfondire tali argomenti. La ricerca storica ha evidenziato che, contrariamente a quanto spesso si crede, il guado non era scomparso in Italia fra Settecento e primo Ottocento. Al contrario, veniva ancora coltivato, lavorato e usato in tintura in molti parti del Paese, ed era più estesamente diffuso di quando non si creda abitualmente. Il guado poteva venir lavorato in modi diversi, e le sue tecniche di estrazione e tintura in questo periodo avevano diversi punti in comune con quelle dell’Indigofera tinctoria, la pianta da indaco orientale, sua “rivale”. Inoltre, i processi di tintura con il guado potevano risultare in co-prodotti – in particolare una schiuma, chiamata il “fiore” del guado – che potevano essere usati per produrre un pigmento pittorico: la possibile presenza di residui di tessuti vegetali in questi co-prodotti costituisce un interessante punto di partenza per studi futuri. L’indagine analitica ha avuto come oggetto gli strati pittorici di soffitti lignei antichi localizzati a Cremona (Lombardia), una città che è risultata legata alla coltivazione e produzione del guado in passato, ma che prima d’ora non era mai stata debitamente studiata in relazione ai blu indigoidi. Un blu indigoide è stato rinvenuto su tre soffitti quattrocenteschi, ed è stato attribuito al guado per la grande disponibilità locale di questa sostanza colorante in quel periodo. Questo risultato, messo a confronto con altri ritrovamenti di blu indigoidi su soffitti lignei coevi nel bacino mediterraneo, mostra che i pigmenti indigoidi venivano impiegati nel patrimonio costruito in quei luoghi che avevano un’economia attiva legata al guado. Allo stesso tempo, il ritrovamento di tracce di tessuti vegetali all’interno di strati pittorici indigoidi pare attribuibile alle tecniche di lavorazione del guado, e potrebbe diventare in futuro una nuova caratteristica per studiare i blu indigoidi. Da ultimo, l’esame delle attuali produzioni di guado in Italia conferma che le iniziative di reintroduzione odierne sono state in gran parte ingenue, non hanno avuto un solido supporto da parte della ricerca, e hanno avuto una conoscenza insufficiente dei processi storici, delle attuali possibilità di ottimizzazione, e del legame con la storia del territorio. In parallelo, l’indagine ha mostrato che il significato culturale dei colori vegetali non risiede primariamente in una loro connotazione agronomica, ma piuttosto nei loro processi di trasformazione e negli usi. Pare quindi necessario ricostruire la “cultura delle trasformazioni” dei colori vegetali, per costituire un ciclo produttivo del guado completo ed efficace. In conclusione, la ricerca ha mostrato che esisteva una cultura del guado, che poteva venir declinata in modi e ambiti diversi. Il presente lavoro di ricerca rappresenta un primo passo all’interno di un contesto frammentario, e permette di individuare alcuni capisaldi a partire dai quali è possibile impostare un programma di lavoro. Tale programma può interessare una pluralità di persone, competenze e discipline, che coinvolge il territorio su più livelli: in questo senso, i colori vegetali possono essere uno “strumento culturale” multifunzionale, che può anche contribuire al rafforzamento di un territorio.

Plant-derived colorants as cultural heritage: between history of techniques, applications on ancient architectural surfaces, and prospects in present-day productions

TARTAGLIA, CAMILLA
2022/2023

Abstract

Dye plants have been extensively used since ancient times as sources of vegetal colorants for dyeing, painting, cosmetics and pharmaceuticals. Replaced in the late 19th century by synthetic substances, these colorants have recently witnessed a revival in Europe in the wake of the growing interest towards sustainable and low environmental impact productions. In the Italian context, however, most recent initiatives for the reintroduction of vegetal colorants were not able to match their integration in production processes with an adequate background of historical and scientific knowledge: consequently, most of these initiatives remained anchored in an amateur dimension, which often led to failure. This research wishes to build up a background of knowledge on plant-derived colorants by highlighting their prominent cultural dimension and multidisciplinary nature, and to explain how, grounding their reintroduction on these features, these colouring substances have the potential of becoming a resource – a “cultural tool” – that can support territorial enhancement. To this aim, the research is made up by three essays; each of them, with dedicated methods, tools, and disciplines, gives insight into a specific kind of cultural heritage bound to vegetal colorants: 1. Their history of ancient techniques and technologies, studied by means of the technical literature of the Modern Age; 2. Their uses in built heritage, examined through an analytical investigation on their painting applications on ancient architectural surfaces; 3. Present-day productions, intended as elements of material culture and expressions of an intangible heritage. Throughout the thesis, the case of woad (Isatis tinctoria, the “European indigo” plant) and its blue indigoid colour has been examined as a relevant example among dye plants to get insight into these topics. The historical research has brought to light that, on the contrary of what is often assumed, woad had not disappeared in Italy by the 18th and early 19th centuries. Instead, it was still cultivated, processed, and used in dyeing in several parts of the country, and had a more extensive diffusion than what is usually thought. Woad could be processed in different ways, and its extraction and dyeing techniques in this period had some points in common with those of Indigofera tinctoria, the “rival” foreign indigo plant. Furthermore, the dyeing processes with woad could result in by-products – especially a scum, called the “flower” of woad – that could be used to make a pigment for painting: the plausible remnants of plant tissues in such by-products provides interesting starting points for future studies. The analytical investigation targeted painting layers of ancient wooden ceilings in Cremona (Lombardy), a city that turned out to have been bound to woad cultivation and production in the past, but had never been properly search out in regard to indigoid colorants before. An indigoid blue was detected on three 15th-century ceilings, and was attributed to woad because of the extensive local availability of the colorant in this period. This result, compared with other findings of indigoid blues on coeval wooden ceilings of the Mediterranean arc, shows that indigoid pigments were used in built heritage in those places that had an active economy bound to woad. Concurrently, the finding of traces of plant tissues inside some indigoid painting layers seems attributable to woad’s processing techniques, and could become a new feature by means of which indigoid blues could be studied. Finally, the examination of current woad productions in Italy confirms that today’s reintroduction initiatives have been mostly naïve, lacked a thorough support of research, and had an insufficient knowledge of historical processes, current optimization possibilities, and of the bond with a territory’s history. Concurrently, it showed that dye plants’ cultural significance does not primarily lie in an agricultural connotation, but rather in their transformation processes and their uses. It therefore appears necessary to rebuild the “culture of transformations” of vegetal colorants, in order to set up a complete and effective production chain of woad. In conclusion, the research showed that a culture of woad existed, and could be declined in different ways and different fields. This work represents a first step within a fragmentary framework, and allows to find some cornerstones, from which a work programme can be set up. This programme can involve a plurality of people, competences, and disciplines, that engage the territory on multiple levels: in this sense, vegetal colorants can be a multifunctional “cultural tool”, that can also contribute to territorial enhancement.
GIAMBRUNO, MARIA CRISTINA
17-lug-2023
Plant-derived colorants as cultural heritage: between history of techniques, applications on ancient architectural surfaces, and prospects in present-day productions
Le piante tintorie sono state ampiamente impiegate sin dai tempi più antichi come fonti di sostanze coloranti vegetali da usare in tintura, pittura, cosmetica e farmaceutica. Dopo essere stati soppiantati dai colori di sintesi verso la fine dell’Ottocento, i colori vegetali sono tornati in auge in anni recenti sull’onda della crescente attenzione verso produzioni sostenibili e a basso impatto ambientale. In Italia, tuttavia, la maggior parte delle iniziative recenti per la reintroduzione dei colori vegetali non è stata in grado di far corrispondere all’integrazione dei colori nei processi produttivi un adeguato retroterra di conoscenze storiche e scientifiche: di conseguenza, gran parte di tali iniziative è rimata ancorata a una dimensione dilettantistica, che ne ha spesso determinato il fallimento. La presente ricerca si propone di costruire un retroterra di conoscenze sulle sostanze coloranti di derivazione vegetale, mettendone in risalto la preminente dimensione culturale e la natura multidisciplinare, e spiegando come, fondando la loro reintroduzione su queste caratteristiche, queste sostanze coloranti abbiano il potenziale di diventare una risorsa – uno “strumento culturale” – che può anche supportare il rafforzamento di un territorio. Per perseguire questo obiettivo, la ricerca è articolata in tre saggi; ciascuno di essi, con discipline, metodi e strumenti dedicati, approfondisce un tipo specifico di patrimonio culturale legato ai colori vegetali: 1. La storia delle tecniche e tecnologie antiche dei colori vegetali, studiata tramite la manualistica tecnica dell’Epoca Moderna; 2. I loro impieghi nel patrimonio costruito, esaminati attraverso un’indagine analitica sulle loro applicazioni su superfici architettoniche antiche; 3. Le loro produzioni odierne, intese come elementi di cultura materiale ed espressioni di un patrimonio immateriale. Nel corso della tesi, il caso del guado (Isatis tinctoria, la pianta da indaco europea) e del suo colore blu indigoide, scelto in qualità di esempio significativo fra le piante tintorie, è stato esaminato per approfondire tali argomenti. La ricerca storica ha evidenziato che, contrariamente a quanto spesso si crede, il guado non era scomparso in Italia fra Settecento e primo Ottocento. Al contrario, veniva ancora coltivato, lavorato e usato in tintura in molti parti del Paese, ed era più estesamente diffuso di quando non si creda abitualmente. Il guado poteva venir lavorato in modi diversi, e le sue tecniche di estrazione e tintura in questo periodo avevano diversi punti in comune con quelle dell’Indigofera tinctoria, la pianta da indaco orientale, sua “rivale”. Inoltre, i processi di tintura con il guado potevano risultare in co-prodotti – in particolare una schiuma, chiamata il “fiore” del guado – che potevano essere usati per produrre un pigmento pittorico: la possibile presenza di residui di tessuti vegetali in questi co-prodotti costituisce un interessante punto di partenza per studi futuri. L’indagine analitica ha avuto come oggetto gli strati pittorici di soffitti lignei antichi localizzati a Cremona (Lombardia), una città che è risultata legata alla coltivazione e produzione del guado in passato, ma che prima d’ora non era mai stata debitamente studiata in relazione ai blu indigoidi. Un blu indigoide è stato rinvenuto su tre soffitti quattrocenteschi, ed è stato attribuito al guado per la grande disponibilità locale di questa sostanza colorante in quel periodo. Questo risultato, messo a confronto con altri ritrovamenti di blu indigoidi su soffitti lignei coevi nel bacino mediterraneo, mostra che i pigmenti indigoidi venivano impiegati nel patrimonio costruito in quei luoghi che avevano un’economia attiva legata al guado. Allo stesso tempo, il ritrovamento di tracce di tessuti vegetali all’interno di strati pittorici indigoidi pare attribuibile alle tecniche di lavorazione del guado, e potrebbe diventare in futuro una nuova caratteristica per studiare i blu indigoidi. Da ultimo, l’esame delle attuali produzioni di guado in Italia conferma che le iniziative di reintroduzione odierne sono state in gran parte ingenue, non hanno avuto un solido supporto da parte della ricerca, e hanno avuto una conoscenza insufficiente dei processi storici, delle attuali possibilità di ottimizzazione, e del legame con la storia del territorio. In parallelo, l’indagine ha mostrato che il significato culturale dei colori vegetali non risiede primariamente in una loro connotazione agronomica, ma piuttosto nei loro processi di trasformazione e negli usi. Pare quindi necessario ricostruire la “cultura delle trasformazioni” dei colori vegetali, per costituire un ciclo produttivo del guado completo ed efficace. In conclusione, la ricerca ha mostrato che esisteva una cultura del guado, che poteva venir declinata in modi e ambiti diversi. Il presente lavoro di ricerca rappresenta un primo passo all’interno di un contesto frammentario, e permette di individuare alcuni capisaldi a partire dai quali è possibile impostare un programma di lavoro. Tale programma può interessare una pluralità di persone, competenze e discipline, che coinvolge il territorio su più livelli: in questo senso, i colori vegetali possono essere uno “strumento culturale” multifunzionale, che può anche contribuire al rafforzamento di un territorio.
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