The research, positioning in the field of disaster preparedness, investigates how to design spaces as dual ones, capable of existing in ordinary conditions and becoming shelters in extraordinary ones. By shaping a theoretical framework, collecting and analyzing case studies concentrated in the American and Japanese contexts, the thesis considers disasters as a spatial and temporal challenge that architecture has to confront with. The chronic risks due to environmental change – rise in temperature and the subsequent shift in climatic conditions in vast areas of the planet – act as a basso continuo on the episodic ones, intensifying the presence or magnitude of disasters in areas already prone, making vulnerable territories that were not before, and therefore provoking a growing need for safety. The degree of uncertainties and difficulties in foreseeing the intensity of certain natural disasters challenges security criteria for buildings, infrastructures, and the works for defense and mitigation against the events. It questions how the human environment and consolidated fabric can dialogue with an increasingly dynamic and changeable environment and how this affects the design, challenging the very nature of architecture: the definition of a safe space. Furthermore, the ripple effect of certain disasters in provoking the failure of the so-called critical infrastructures - water, power, communication – generates a multiform context which could recall for a multiform and hybrid architecture too. A park could be designed to be transformed into an off-grid emergency campsite, a mineral square into a temporary water reservoir, a stable into an emergency housing system, a watermill into an off-grid system able to provide energy in the wake of a disaster. Therefore, how can architecture embody the possibility of a disaster and the multiple temporalities that it can open? How to design a space capable of withstanding ordinary and extraordinary conditions, the state of quiet and a potential phase of emergency? How can this inform the design process and what are the possibilities underpinned? The research explores the implication of normalizing the idea of a disaster, shifting it from a state of exception to a dynamic "as built" to inevitably dialogue with, and thus reflecting on possible scenarios, durations, configurations of a project, its functional or formal dynamicity, stressing principles such as transformability, adaptability, and typological hybridization. By looking at infrastructures as architectures, and considering the lifelines as "commons," the work questions what a safe space could be today, and how to design spaces as dual ones, capable of responding to two parallel conditions: the event, and the state of rest. The research is structured in five parts: one of literature review, one of theoretical discussion leaning on a selection of projects, two of specific case studies analysis, and one of synthesis of the different findings. Three visual essays recollect the analytical redrawing that has been done on the case studies. In a prodromal section, the main terms of the thesis are discussed in the form of a literature review for shaping a theoretical framework, defining the state of the art, and setting the cultural horizon of the work. The second section, "Architecture for Emergency," structures an overview of the relationship between architecture and disasters, tracing in history pivotal events that contributed to shaping the multifaceted concept of safe space; discussing contemporary design approaches to natural disasters leaning on projects that move on different logics; reflecting on the multiple space-time conditions entangled with emergency conditions. The third section, "Architecture for Anticipation," focuses on the Japanese Bousai Joen (bousai=disaster prevention, koen=parks), public open spaces in urban and dense contexts designed to eventually transform into open-air and public shelters for the masses, building a catalog of elements, micro-infrastructures, and principles that compose this hybrid typology. The fourth section, "Architecture for Escape," as a reverse side of the coin, investigates the Prepper movement's architecture, a countercultural movement born in the 1960s in the U.S., made of groups and individuals who, through the design and equipment of a safe inhabitable space, actively prepare for a potential emergency: environmental catastrophes, economic collapse, pandemics, nuclear attacks. The fifth section, "The Safe Space," works as a synthesis, bridging all the sections and discussing the findings of each, with the aim not to uniquely define what a safe space is, but instead, to explore what a safe space could be by exploring involved themes, principles, and possibilities and constructing a theoretical discourse that opens up to further reflections.

La ricerca, posizionandosi nel campo della preparazione ai disastri, indaga come progettare spazi duali, disegnati per esistere in condizioni ordinarie e diventare rifugi in condizioni straordinarie. Attraverso la creazione di un quadro teorico, la raccolta e l’analisi di casi studio concentrati nei contesti giapponese e americano, la tesi considera i disastri come una sfida spaziale e temporale con cui l’architettura si deve confrontare. I rischi cronici legati ai cambiamenti ambientali - l’aumento delle temperature e il conseguente mutamento delle condizioni climatiche in vaste aree del pianeta - agiscono come un basso continuo rispetto a quelli episodici, intensificando la presenza o la magnitudo dei disastri in aree già predisposte, rendendo vulnerabili territori che non lo erano prima, e provocando quindi una crescente necessità di sicurezza. Il grado di incertezza e le difficoltà nel prevedere l’intensità di certi disastri naturali sfidano i criteri di sicurezza per edifici, infrastrutture e opere di difesa e mitigazione. Si pone quindi la questione di come l’ambiente umano e il tessuto consolidato possano dialogare con un contesto sempre più dinamico e mutevole e come ciò influenzi la progettazione, sfidando la natura stessa dell’architettura: la definizione di uno spazio sicuro. Inoltre, l’effetto a catena di alcuni disastri nel provocare il fallimento delle infrastrutture critiche - acqua, energia, comunicazioni - genera un contesto multiforme che richiede un’architettura altrettanto multiforme e ibrida: un parco potrebbe essere progettato per trasformarsi in una città di emergenza off-grid, una piazza minerale potrebbe essere pensata come un serbatoio temporaneo d’acqua. Come può l’architettura allora incorporare la possibilità di un disastro e le molteplici temporalità che esso può aprire? Come progettare uno spazio in grado di esistere in condizioni ordinarie e straordinarie, in stato di quiete e in una potenziale fase di emergenza? Come può questo influenzare il processo di progettazione e quali sono le possibilità sottese? La ricerca esplora quindi le implicazioni di normalizzare l’idea di un disastro, spostando questo da uno stato di eccezione ad un dinamico e secondario “as-built” con cui inevitabilmente dialogare, e riflette su scenari possibili, durate, configurazioni di un progetto, sulla sua dinamicità funzionale o formale, enfatizzando principi come la trasformabilità, l’adattabilità, e l’ibridazione tipologica. Guardando alle infrastrutture come architetture e considerando le infrastrutture critiche come “commons", il lavoro si interroga su cosa possa essere oggi uno spazio sicuro e come progettare spazi come duali, capaci di rispondere a due condizioni parallele: lo stato di quiete e l’evento. La ricerca si struttura in cinque parti: una di revisione della letteratura, una di discussione teorica a partire dalla selezione di casi studio, due di analisi di casi studio specifici e una di sintesi dell’intero lavoro. Tre “visual essays” chiudono ciascun macro-capitolo, raccogliendo il ridisegno analitico sui casi studio. Nella sezione introduttiva, i principali termini della tesi vengono discussi sotto forma di revisione della letteratura per creare un quadro teorico, definire lo stato dell’arte e stabilire l’orizzonte culturale del lavoro. La seconda sezione, “Architecture for Emergency”, articola una panoramica della relazione tra architettura e disastri, tracciando nella storia eventi cruciali che hanno contribuito a plasmare il concetto poliedrico di spazio sicuro; discutendo approcci progettuali contemporanei in relazione a disastri naturali; riflettendo sulle molteplici condizioni spazio-temporali connesse alle condizioni di emergenza. La terza sezione, “Architecture for Anticipation”, si concentra sui “bousai koen” giapponesi (bousai= prevenzione dei disastri, koen=parchi), spazi pubblici aperti in densi contesti urbani progettati per trasformarsi eventualmente in rifugi all’aperto per le masse, e costruisce un catalogo di elementi, micro-infrastrutture e principi che compongono questa tipologia ibrida. La quarta sezione, “Architecture for Escape”, contrapponendosi concettualmente a quella precedente, indaga l’architettura dei Prepper, un movimento controculturale nato negli anni ’60 negli Stati Uniti, composto da gruppi e individui che, attraverso la progettazione e l’autocostruzione di uno spazio abitabile sicuro, si preparano attivamente a una potenziale emergenza: catastrofi ambientali, collasso economico, pandemie, attacchi nucleari. La quinta sezione, “The Safe Space”, conclude la tesi, ripercorrendo, discutendo, e sintetizzando il lavoro, con l’obiettivo non di definire in modo univoco cosa uno spazio sicuro sia, ma piuttosto di esplorare cosa uno spazio sicuro potrebbe essere, mettendo in luce temi, principi, e possibilità che aprono ad ulteriori riflessioni.

The Safe Space. Ordinary Architecture for Extraordinary Conditions.

Balducci, Beatrice
2022/2023

Abstract

The research, positioning in the field of disaster preparedness, investigates how to design spaces as dual ones, capable of existing in ordinary conditions and becoming shelters in extraordinary ones. By shaping a theoretical framework, collecting and analyzing case studies concentrated in the American and Japanese contexts, the thesis considers disasters as a spatial and temporal challenge that architecture has to confront with. The chronic risks due to environmental change – rise in temperature and the subsequent shift in climatic conditions in vast areas of the planet – act as a basso continuo on the episodic ones, intensifying the presence or magnitude of disasters in areas already prone, making vulnerable territories that were not before, and therefore provoking a growing need for safety. The degree of uncertainties and difficulties in foreseeing the intensity of certain natural disasters challenges security criteria for buildings, infrastructures, and the works for defense and mitigation against the events. It questions how the human environment and consolidated fabric can dialogue with an increasingly dynamic and changeable environment and how this affects the design, challenging the very nature of architecture: the definition of a safe space. Furthermore, the ripple effect of certain disasters in provoking the failure of the so-called critical infrastructures - water, power, communication – generates a multiform context which could recall for a multiform and hybrid architecture too. A park could be designed to be transformed into an off-grid emergency campsite, a mineral square into a temporary water reservoir, a stable into an emergency housing system, a watermill into an off-grid system able to provide energy in the wake of a disaster. Therefore, how can architecture embody the possibility of a disaster and the multiple temporalities that it can open? How to design a space capable of withstanding ordinary and extraordinary conditions, the state of quiet and a potential phase of emergency? How can this inform the design process and what are the possibilities underpinned? The research explores the implication of normalizing the idea of a disaster, shifting it from a state of exception to a dynamic "as built" to inevitably dialogue with, and thus reflecting on possible scenarios, durations, configurations of a project, its functional or formal dynamicity, stressing principles such as transformability, adaptability, and typological hybridization. By looking at infrastructures as architectures, and considering the lifelines as "commons," the work questions what a safe space could be today, and how to design spaces as dual ones, capable of responding to two parallel conditions: the event, and the state of rest. The research is structured in five parts: one of literature review, one of theoretical discussion leaning on a selection of projects, two of specific case studies analysis, and one of synthesis of the different findings. Three visual essays recollect the analytical redrawing that has been done on the case studies. In a prodromal section, the main terms of the thesis are discussed in the form of a literature review for shaping a theoretical framework, defining the state of the art, and setting the cultural horizon of the work. The second section, "Architecture for Emergency," structures an overview of the relationship between architecture and disasters, tracing in history pivotal events that contributed to shaping the multifaceted concept of safe space; discussing contemporary design approaches to natural disasters leaning on projects that move on different logics; reflecting on the multiple space-time conditions entangled with emergency conditions. The third section, "Architecture for Anticipation," focuses on the Japanese Bousai Joen (bousai=disaster prevention, koen=parks), public open spaces in urban and dense contexts designed to eventually transform into open-air and public shelters for the masses, building a catalog of elements, micro-infrastructures, and principles that compose this hybrid typology. The fourth section, "Architecture for Escape," as a reverse side of the coin, investigates the Prepper movement's architecture, a countercultural movement born in the 1960s in the U.S., made of groups and individuals who, through the design and equipment of a safe inhabitable space, actively prepare for a potential emergency: environmental catastrophes, economic collapse, pandemics, nuclear attacks. The fifth section, "The Safe Space," works as a synthesis, bridging all the sections and discussing the findings of each, with the aim not to uniquely define what a safe space is, but instead, to explore what a safe space could be by exploring involved themes, principles, and possibilities and constructing a theoretical discourse that opens up to further reflections.
ROCCA, ALESSANDRO
null, null
18-ott-2023
The Safe Space. Ordinary Architecture for Extraordinary Conditions.
La ricerca, posizionandosi nel campo della preparazione ai disastri, indaga come progettare spazi duali, disegnati per esistere in condizioni ordinarie e diventare rifugi in condizioni straordinarie. Attraverso la creazione di un quadro teorico, la raccolta e l’analisi di casi studio concentrati nei contesti giapponese e americano, la tesi considera i disastri come una sfida spaziale e temporale con cui l’architettura si deve confrontare. I rischi cronici legati ai cambiamenti ambientali - l’aumento delle temperature e il conseguente mutamento delle condizioni climatiche in vaste aree del pianeta - agiscono come un basso continuo rispetto a quelli episodici, intensificando la presenza o la magnitudo dei disastri in aree già predisposte, rendendo vulnerabili territori che non lo erano prima, e provocando quindi una crescente necessità di sicurezza. Il grado di incertezza e le difficoltà nel prevedere l’intensità di certi disastri naturali sfidano i criteri di sicurezza per edifici, infrastrutture e opere di difesa e mitigazione. Si pone quindi la questione di come l’ambiente umano e il tessuto consolidato possano dialogare con un contesto sempre più dinamico e mutevole e come ciò influenzi la progettazione, sfidando la natura stessa dell’architettura: la definizione di uno spazio sicuro. Inoltre, l’effetto a catena di alcuni disastri nel provocare il fallimento delle infrastrutture critiche - acqua, energia, comunicazioni - genera un contesto multiforme che richiede un’architettura altrettanto multiforme e ibrida: un parco potrebbe essere progettato per trasformarsi in una città di emergenza off-grid, una piazza minerale potrebbe essere pensata come un serbatoio temporaneo d’acqua. Come può l’architettura allora incorporare la possibilità di un disastro e le molteplici temporalità che esso può aprire? Come progettare uno spazio in grado di esistere in condizioni ordinarie e straordinarie, in stato di quiete e in una potenziale fase di emergenza? Come può questo influenzare il processo di progettazione e quali sono le possibilità sottese? La ricerca esplora quindi le implicazioni di normalizzare l’idea di un disastro, spostando questo da uno stato di eccezione ad un dinamico e secondario “as-built” con cui inevitabilmente dialogare, e riflette su scenari possibili, durate, configurazioni di un progetto, sulla sua dinamicità funzionale o formale, enfatizzando principi come la trasformabilità, l’adattabilità, e l’ibridazione tipologica. Guardando alle infrastrutture come architetture e considerando le infrastrutture critiche come “commons", il lavoro si interroga su cosa possa essere oggi uno spazio sicuro e come progettare spazi come duali, capaci di rispondere a due condizioni parallele: lo stato di quiete e l’evento. La ricerca si struttura in cinque parti: una di revisione della letteratura, una di discussione teorica a partire dalla selezione di casi studio, due di analisi di casi studio specifici e una di sintesi dell’intero lavoro. Tre “visual essays” chiudono ciascun macro-capitolo, raccogliendo il ridisegno analitico sui casi studio. Nella sezione introduttiva, i principali termini della tesi vengono discussi sotto forma di revisione della letteratura per creare un quadro teorico, definire lo stato dell’arte e stabilire l’orizzonte culturale del lavoro. La seconda sezione, “Architecture for Emergency”, articola una panoramica della relazione tra architettura e disastri, tracciando nella storia eventi cruciali che hanno contribuito a plasmare il concetto poliedrico di spazio sicuro; discutendo approcci progettuali contemporanei in relazione a disastri naturali; riflettendo sulle molteplici condizioni spazio-temporali connesse alle condizioni di emergenza. La terza sezione, “Architecture for Anticipation”, si concentra sui “bousai koen” giapponesi (bousai= prevenzione dei disastri, koen=parchi), spazi pubblici aperti in densi contesti urbani progettati per trasformarsi eventualmente in rifugi all’aperto per le masse, e costruisce un catalogo di elementi, micro-infrastrutture e principi che compongono questa tipologia ibrida. La quarta sezione, “Architecture for Escape”, contrapponendosi concettualmente a quella precedente, indaga l’architettura dei Prepper, un movimento controculturale nato negli anni ’60 negli Stati Uniti, composto da gruppi e individui che, attraverso la progettazione e l’autocostruzione di uno spazio abitabile sicuro, si preparano attivamente a una potenziale emergenza: catastrofi ambientali, collasso economico, pandemie, attacchi nucleari. La quinta sezione, “The Safe Space”, conclude la tesi, ripercorrendo, discutendo, e sintetizzando il lavoro, con l’obiettivo non di definire in modo univoco cosa uno spazio sicuro sia, ma piuttosto di esplorare cosa uno spazio sicuro potrebbe essere, mettendo in luce temi, principi, e possibilità che aprono ad ulteriori riflessioni.
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