EVERYDAY MONUMENTALITY Monumental figure experienced as collective spaces

The compact and generic urban fabric extends itself following the layout of the Beruto Plan defining the character of the city of Milan, leaving limited space for formal and social exceptions. Public space is neglected and overwritten by an incessant search for space that can be colonized by private development. The Twentieth century addresses this way the expansionist plans of the Lombard city, and today, in the contemporary city we ask whose public space is it? Capitalist logic does not consider the possibility of offering, but only of receiving. The contemporary city becomes hermetic, closed. Buildings abandon the character of generosity that distinguished quality architecture truly interested in the public. Collective space becomes a “luxury” within the city. Our research assumes the need to think about quality collective space within the city, starting from the dialogue between the form of the project and the existing urban form to the need to carve and retrive collective space within the buildings. Our intention is to investigate this duality by finding the focus in the ground floor of the building, of how it could accommodate a space liveable by the community. A space thought of as an interface between the city and the building itself, a hybrid condition in which to be inside the building but still feel part of the city. A dual condition also in the attitude addressed to the design of spaces, an analysis addressed to the archetypal forms of public space and human attitudes around this form. A series of past design experiences find space in parallel with the theoretical narrative that addresses at different architectural scales the attitude that monumental figures of collective spaces have with respect to the city: on a large scale that of controlling the space, while on a small scale that of connecting with the user.

Il tessuto compatto e generico si estende seguendo l’impianto del Piano Beruto definendo il carattere della città di Milano, lasciando poco spazio a eccezioni formali e sociali. Lo spazio pubblico viene trascurato e sovrascritto da un incessante ricerca di spazio da poter colonizzare da interventi privati. Il Novecento affronta cosi i piani espansionistici della città lombarda e oggi, nella città contemporanea ci chiediamo di chi sia lo spazio pubblico? La logica capitalistica non considera la possibilità di offrire, ma solo di ricevere. La città contemporanea diventa ermetica, chiusa. Gli edifici abbandonano il carattere di generosità che contraddistingueva le architetture di qualità davvero interessate al pubblico. Lo spazio collettivo diventa un bene di lusso all’interno della città. La nostra ricerca si pone come presupposto la necessità di pensare ad uno spazio collettivo di qualità all’interno della città, partendo dal dialogo tra la forma del progetto e l’esistente forma urbana fino alla necessità di scavare e ricavare spazio collettivo all’interno degli edifici. La nostra intenzione è quella di indagare questa dualità trovando il focus nell’attacco a terra dell’edificio, di come quest’ultimo possa ospitare uno spazio fruibile dalla collettività. Uno spazio pensato come un’interfaccia tra la città e l’edificio stesso, una condizione ibrida in cui essere all’interno dell’edificio ma sentirsi ancora parte della città. Una condizione duale anche nell’atteggiamento rivolto alla progettazione degli spazi, un’analisi rivolta alle forme archetipiche dello spazio pubblico e degli atteggiamenti umani attorno a questa forma. Una serie di esperienze progettuali passate trovano spazio parallelamente alla narrazione teorica che affronta a diverse scale architettoniche l’atteggiamento che le figure monumentali degli spazi collettivi hanno nel rispetto della città: a grande scala quello di controllare lo spazio, mentre su piccola scala quello di connettersi con l’utente.