Today, designers, brands and influencers are worried about a never-ending question: is it really possible to design contents that does not offend anyone's sensitivity? In fact, in recent years, hate speech and politically correct hold the position in the daily debate on the main social platforms. On the one hand, the cancel culture was born as an act of rebellion against contents considered ethically wrong for minorities and underrepresented communities. But on the other, social media algorithms nullify all these efforts, generating echo chambers in which the confrontation with the Other outside one's own circle is difficult to be carried out. Bias and skepticism are increasing and current data shows us increasingly polarized users and continuously more divided communities. This thesis introduces the origins of cancel culture as a phenomenon framed within a broader grassroots participatory culture. After deepening the diffusion of online controversy and censorship mechanisms, an analysis on the economics of algorithmic attention follows, identified as the main catalytic cause of the cancel culture. Fifty case studies will be considered, analyzed according to a numerically comparable system of Key Performance Indicators (KPI parameters). From the insights that emerged from the case studies, the necessary findings will be revealed to outline the role of the communication designer. Then, it will proceed with the drafting of the their guidelines. Finally, a debiasing toolkit will be presented to help designers recognize the most common mistakes made in diversified communications. Boosting a human-centered approach, designers can be spokespersons for the transition from a culture of exclusion to a culture of dialogue for a more aware and inclusive design of the artifacts spread online.

Designer, brand e influencer oggi sono tediati da un perenne quesito: è davvero possibile progettare e diffondere un contenuto che non offenda la sensibilità di nessuno? Hate speech e politically correct infatti in questi anni dilagano nel centro del dibattito quotidiano sulle principali piattaforme social. Se da un lato la cancel culture nasce come atto di ribellione nei confronti di contenuti considerati eticamente sbagliati per minoranze e community che si sentono poco rappresentate, dall’altro gli algoritmi dei social media vanificano tutti questi sforzi: generano infatti camere d’eco in cui il confronto con l’Altro al di fuori della propria cerchia è faticoso. Bias e scetticismo incrementano, e così i dati attuali ci mostrano utenti sempre più polarizzati e comunità sempre più divise. La tesi introduce le origini della cancel culture come fenomeno all’interno di una più ampia cultura partecipativa grassroots. Per inquadrare la diffusione dei meccanismi di polemica e censura online segue un’analisi sull’economia dell’attenzione algoritmica, rilevata come principale causa catalizzatrice della cultura della cancellazione. Verranno presi in considerazione cinquanta casi studio analizzati secondo una sistema di Key Performance Indicators (parametri KPI) numericamente confrontabili. Dalle insights emerse dai casi studio si riveleranno i findings necessari per delineare il ruolo del designer della comunicazione, per procedere alla stesura delle linee guida progettuali. Infine verrà presentato un toolkit di debiasing che aiuti i progettisti a riconoscere gli errori maggiormente commessi nelle comunicazioni diversiste. Attraverso un approccio human centered, i designer possono farsi portavoce del passaggio da una cultura dell’esclusione a una cultura del dialogo per una progettazione più consapevole e inclusiva degli artefatti diffusi in rete.

Il paradigma della polarizzazione: comunicare nell'era della cancel culture

Desogus, Luca
2020/2021

Abstract

Today, designers, brands and influencers are worried about a never-ending question: is it really possible to design contents that does not offend anyone's sensitivity? In fact, in recent years, hate speech and politically correct hold the position in the daily debate on the main social platforms. On the one hand, the cancel culture was born as an act of rebellion against contents considered ethically wrong for minorities and underrepresented communities. But on the other, social media algorithms nullify all these efforts, generating echo chambers in which the confrontation with the Other outside one's own circle is difficult to be carried out. Bias and skepticism are increasing and current data shows us increasingly polarized users and continuously more divided communities. This thesis introduces the origins of cancel culture as a phenomenon framed within a broader grassroots participatory culture. After deepening the diffusion of online controversy and censorship mechanisms, an analysis on the economics of algorithmic attention follows, identified as the main catalytic cause of the cancel culture. Fifty case studies will be considered, analyzed according to a numerically comparable system of Key Performance Indicators (KPI parameters). From the insights that emerged from the case studies, the necessary findings will be revealed to outline the role of the communication designer. Then, it will proceed with the drafting of the their guidelines. Finally, a debiasing toolkit will be presented to help designers recognize the most common mistakes made in diversified communications. Boosting a human-centered approach, designers can be spokespersons for the transition from a culture of exclusion to a culture of dialogue for a more aware and inclusive design of the artifacts spread online.
VALPREDA, FABRIZIO
ARC III - Scuola del Design
28-apr-2022
2020/2021
Designer, brand e influencer oggi sono tediati da un perenne quesito: è davvero possibile progettare e diffondere un contenuto che non offenda la sensibilità di nessuno? Hate speech e politically correct infatti in questi anni dilagano nel centro del dibattito quotidiano sulle principali piattaforme social. Se da un lato la cancel culture nasce come atto di ribellione nei confronti di contenuti considerati eticamente sbagliati per minoranze e community che si sentono poco rappresentate, dall’altro gli algoritmi dei social media vanificano tutti questi sforzi: generano infatti camere d’eco in cui il confronto con l’Altro al di fuori della propria cerchia è faticoso. Bias e scetticismo incrementano, e così i dati attuali ci mostrano utenti sempre più polarizzati e comunità sempre più divise. La tesi introduce le origini della cancel culture come fenomeno all’interno di una più ampia cultura partecipativa grassroots. Per inquadrare la diffusione dei meccanismi di polemica e censura online segue un’analisi sull’economia dell’attenzione algoritmica, rilevata come principale causa catalizzatrice della cultura della cancellazione. Verranno presi in considerazione cinquanta casi studio analizzati secondo una sistema di Key Performance Indicators (parametri KPI) numericamente confrontabili. Dalle insights emerse dai casi studio si riveleranno i findings necessari per delineare il ruolo del designer della comunicazione, per procedere alla stesura delle linee guida progettuali. Infine verrà presentato un toolkit di debiasing che aiuti i progettisti a riconoscere gli errori maggiormente commessi nelle comunicazioni diversiste. Attraverso un approccio human centered, i designer possono farsi portavoce del passaggio da una cultura dell’esclusione a una cultura del dialogo per una progettazione più consapevole e inclusiva degli artefatti diffusi in rete.
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Descrizione: IL PARADIGMA DELLA POLARIZZAZIONE. Comunicare nell’era della cancel culture
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/220035