Questo progetto di tesi vuole presentare una ricerca teorica sul tema dei campi profughi e delle loro principali problematiche, per definirsi successivamente in un progetto di design. Vediamo come un fenomeno così drammaticamente importante ed attuale come quello della migrazione per cause non naturali, trovi una soluzione predefinita sul come e per quanto tempo l’UNHCR (Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite) si prenderà carico dell’assitenza umanitaria a queste persone. Sono modelli di applicazione standardizzati, privi cioè di uno studio approfondito sulle diverse etnie e sulle abitudini di queste popolazioni, che hanno il solo scopo di porre riguardo la sistemazione di ingenti masse di persone, di fatto impedendo la costruzione di comunità vere e proprie. Dov’è il problema? Lo riscontriamo quando vediamo casi studio di campi profughi che sopravvivono da più di 20 anni. Dadaab e Kakuma, in Kenya, nascono negli anni 90 a causa dei pesanti conflitti in Africa Centrale; in Cisgiordania, Striscia di Gaza, Siria, Giordania e Libano i campi sono ancora quelli seguiti alla costituzione dello Stato d’Israele nel 1948. In questi esempi di urbanizzazione non esiste più il concetto di temporaneità: queste condizioni estreme generano e favoriscono lo sviluppo di traumi psicologici che rendono ancora più “inumani” gli ospiti del campo, alienati dal mondo per come la conosciamo noi. Possiamo vedere inoltre come con il tempo, in una evoluzione del tutto naturale, queste urbanizzazioni labili si trasformino sempre di più in città, comunità di persone con un loro ritmo sommesso ma comunque simbolo di una voglia di vita che non può morire nemmeno se rinchiusa fra confini così stretti. Cosa può fare il design in questo senso? Può tutto. Sicuramente, la sua peculiarità è quella di disegnare il mondo intorno a noi, da qui il suo contributo nel passaggio da campo a città diventa fondamentale. Ovviamente, trattandosi di forme comunitarie studiate solo in base ai dati, è necessario che questa trasformazione acquisista tutta una base teorica e di dati disponibile solo in loco. Per questo, l’idea di Design Field Lab è quella di essere uno strumento mobile che possa inserirsi all’interno dei campi profughi con l’intenzione di intervenire sull’ambiente cittadino, favorendo quindi il benessere di chi vi abita. Per farlo, coinvolge la popolazione in raccolte dati, informazioni ed opinioni; sulla base dei risultati elabora un progetto che viene poi realizzato sempre con l’aiuto della comunità. DFL vuole rappresentare un’idea “on the road” dell’intervento in luoghi di crisi umanitarie, eliminando il concetto di “progetto a priori” per ristabilire la qualità degli interventi fatti su, per e da chi realmente vive nel luogo.

Design field lab : questo non è più un campo profughi

ZUCCHIATTI, ELENA
2010/2011

Abstract

Questo progetto di tesi vuole presentare una ricerca teorica sul tema dei campi profughi e delle loro principali problematiche, per definirsi successivamente in un progetto di design. Vediamo come un fenomeno così drammaticamente importante ed attuale come quello della migrazione per cause non naturali, trovi una soluzione predefinita sul come e per quanto tempo l’UNHCR (Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite) si prenderà carico dell’assitenza umanitaria a queste persone. Sono modelli di applicazione standardizzati, privi cioè di uno studio approfondito sulle diverse etnie e sulle abitudini di queste popolazioni, che hanno il solo scopo di porre riguardo la sistemazione di ingenti masse di persone, di fatto impedendo la costruzione di comunità vere e proprie. Dov’è il problema? Lo riscontriamo quando vediamo casi studio di campi profughi che sopravvivono da più di 20 anni. Dadaab e Kakuma, in Kenya, nascono negli anni 90 a causa dei pesanti conflitti in Africa Centrale; in Cisgiordania, Striscia di Gaza, Siria, Giordania e Libano i campi sono ancora quelli seguiti alla costituzione dello Stato d’Israele nel 1948. In questi esempi di urbanizzazione non esiste più il concetto di temporaneità: queste condizioni estreme generano e favoriscono lo sviluppo di traumi psicologici che rendono ancora più “inumani” gli ospiti del campo, alienati dal mondo per come la conosciamo noi. Possiamo vedere inoltre come con il tempo, in una evoluzione del tutto naturale, queste urbanizzazioni labili si trasformino sempre di più in città, comunità di persone con un loro ritmo sommesso ma comunque simbolo di una voglia di vita che non può morire nemmeno se rinchiusa fra confini così stretti. Cosa può fare il design in questo senso? Può tutto. Sicuramente, la sua peculiarità è quella di disegnare il mondo intorno a noi, da qui il suo contributo nel passaggio da campo a città diventa fondamentale. Ovviamente, trattandosi di forme comunitarie studiate solo in base ai dati, è necessario che questa trasformazione acquisista tutta una base teorica e di dati disponibile solo in loco. Per questo, l’idea di Design Field Lab è quella di essere uno strumento mobile che possa inserirsi all’interno dei campi profughi con l’intenzione di intervenire sull’ambiente cittadino, favorendo quindi il benessere di chi vi abita. Per farlo, coinvolge la popolazione in raccolte dati, informazioni ed opinioni; sulla base dei risultati elabora un progetto che viene poi realizzato sempre con l’aiuto della comunità. DFL vuole rappresentare un’idea “on the road” dell’intervento in luoghi di crisi umanitarie, eliminando il concetto di “progetto a priori” per ristabilire la qualità degli interventi fatti su, per e da chi realmente vive nel luogo.
ARC III - Scuola del Design
20-lug-2011
2010/2011
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/23085