This master’s thesis research follows the path laid out in our undergraduate dissertation, which, starting from Matteo Vegetti’s book L’invenzione del globo, traced the history of globalization through the spatial reading lens of Carl Schmitt. We then projected the work of radical architect Andrea Branzi as a lucid analysis of a complex and fragmented contemporary world. Among the many transformations affecting both the world and the discipline of architecture, we consider the so-called “network society” to be particularly significant. This theory, developed by sociologist Manuel Castells, highlights progressive polarizations and multifaceted fractures that challenge the once-ecumenical idea of a united and connected world. The growing disconnect between the social and cultural spheres and the territories where this milieu now flourishes leads to consequences that, in our view, primarily concern space. It is within these relationships, which shape our new daily reality, that we believe new liturgies and ritual contexts are emerging, contexts that, as Martine Segalen defined them, catalyze the proliferation of new territories for fruitful exchanges and interactions. Thus, our research focuses on a project aimed at intersecting these theoretical aspects: from the problems of globalization to the need for a new coherence between sovereignty, land, and territories, through new rituals and liturgies that define their horizons. The Mediterranean, historically traversed by countless peoples, thus becomes the necessary backdrop for our thesis, where the architectural language regains its role and relevance precisely because it historically innovates in such liminal and border contexts. To address this work, we first considered the premises and language of this trajectory, identifying what is currently happening at the material and conceptual borders of the Mediterranean: the crisis of hospitality, new needs for integration and assimilation. In this way, we sought to outline the programmatic aspects of a new architecture of European sovereignty, where migrants and their temporary spaces become open, stable, and centrifugal territories, and where a new idea of citizenship is experimented with. We redefine the “other” in order to redefine ourselves. Thus, architecture, an inherently composite discipline, reestablishes its fundamental role, acting as a mediator between social and spatial demands, and striving to reconnect the different scales in which the contemporary world is fragmented. This is the trajectory we propose, a process materialized in the chapters of this work: several phases, including temporal ones, that retain their autonomy while also engaging in dialogue with one another to structure the scenario of our proposal. The first section represents the current migratory context of the Mediterranean as a communicative vessel between territories, where the global circumstances and local limits of inadequate hospitality are defined. The second section questions the programmatic and theoretical objectives of the first, materializing in the construction of an architecture that comes to life in the specific territorial context stretching from Venice, along the Terraglio, to Treviso. In this in-between place, a void between the infrastructural nodes of the network, the management of migratory flows and hospitality has now reached critical levels. However, if we rewind the historical tape, we see that this territory, now seemingly disjointed, was once shaped by ancient riverine geographies that fostered the birth of totemic places, witnesses capable of transmitting shared values and traditions. It is precisely one of these places, the former “Giramondo,” a global theme park on the shores of the quarries of Morocco in the municipality of Mogliano Veneto, that we have chosen as the palimpsest upon which to build our project. As a theoretical palimpsest, the Giramondo provides the perfect context for a practical manifesto, one that aims to establish the rules of a process rather than a model to be pursued. This new agora, a hybrid space for dialogue and activity within the surrounding territory, replaces existing reception centers, blending productive and recreational spaces, thus turning what was once an island into an archipelago. The Giramondo and the park in which it is situated respond to the urgency of intersecting different interests, and our project aims to catalyze coexistence with a code, an ornament, and a modularity that adapt over time, requalifying a celebratory landscape for the new citizenship that inhabits it. It also inevitably seeks to define a new architectural space that catalyzes new settlement processes, intersecting diverse interests at a new crossroads, offering a new idea of hospitality and developing a physical and regulatory space where an entire territory lives and works. Our proposal is an intertwining, a new liturgy that may, perhaps, territorialize even in the face of differences.

Questa ricerca di tesi magistrale segue le orme di un percorso iniziato con la tesi di laurea triennale, dove, a partire dal volume di Matteo Vegetti “L’invenzione del globo”, abbiamo ripercorso la storia della globalizzazione seguendo la chiave di lettura spaziale di Carl Schmitt. Abbiamo poi proiettato l’opera dell’architetto radicale Andrea Branzi come lucida analisi di una contemporaneità complessa e frammentata. Tra le tante trasformazioni che coinvolgono il mondo e la disciplina dell’architettura, riteniamo degna di nota la cosiddetta società delle reti. Si tratta di una teoria del sociologo Manuel Castells che intravede progressive polarizzazioni e multiformi fratture che investono l’idea ecumenica di mondo unito e connesso. La scarsa aderenza tra la sfera sociale e culturale e i territori dove questo milieu oggi fermenta porta a conseguenze che, secondo noi, interessano innanzitutto lo spazio. Ed è all’interno di questi rapporti che abitano il nostro nuovo quotidiano, che a nostro avviso oggi si stanno strutturando nuove liturgie e nuovi contesti rituali, che alla stregua della definizione che ne diede Martine Segalen catalizzano la proliferazione di territori inediti per proficui scambi e interazioni. La nostra ricerca si è pertanto focalizzata attorno a un progetto che mira a intersecare questi aspetti teorici: dai problemi della globalizzazione alla necessità di una nuova coerenza tra sovranità, terreno e territori, mediante nuovi riti e nuove liturgie che ne delineano gli orizzonti. Il Mediterraneo, attraversato nella storia da innumerevoli genti, diventa così lo sfondo necessario del nostro lavoro di tesi, laddove in primo piano il linguaggio architettonico riacquisisce il proprio ruolo e rilevanza proprio perché storicamente innova in contesti liminari e confinari come questi. Per affrontare questo lavoro abbiamo innanzitutto ritenuto di discutere le premesse e il linguaggio di tale traiettoria, identificando ciò che oggi accade ai confini materiali e concettuali del Mediterraneo: la crisi dell’accoglienza, nuove necessità di integrazione e assimilazione. In questo modo abbiamo cercato di delineare gli aspetti programmatici di una nuova architettura della sovranità europea, dove i migranti e i loro luoghi provvisori diventano territori aperti, stabili e centrifughi e dove si sperimenta una nuova idea di cittadinanza. Ridefiniamo l’altro per ridefinire noi stessi. È così che l’architettura, disciplina necessariamente composita, ristabilisce un suo ruolo fondamentale, quello di marcare l’importanza del progetto come atto di responsabilità anche politica, diventando in questo modo mediatrice tra le istanze sociali e quelle spaziali e cercando così di riavvicinare le diverse scale in cui è frammentato il mondo contemporaneo. È una traiettoria quella che proponiamo, un processo che si materializza nei capitoli di questo nostro lavoro: più fasi, anche temporali, che da un lato mantengono la loro autonomia e dall’altro dialogano tra loro per strutturare lo scenario della nostra proposta. La prima sezione rappresenta l’attuale contesto migratorio del mar Mediterraneo come vaso comunicante tra territori, dove vengono definite le circostanze globali e i limiti locali di un’accoglienza inadeguata. La seconda questiona gli obiettivi programmatici e teorici della prima, materializzandosi nella costruzione di un’architettura che riprende vita nello specifico contesto territoriale che da Venezia costeggia il Terraglio fino a Treviso. In questo luogo di mezzo, vuoto tra i nodi infrastrutturali della rete, la gestione dei flussi migratori e dell’accoglienza oggi raggiunge livelli critici. Se però riavvolgiamo il nastro della Storia, notiamo come questo territorio, ora apparentemente sconnesso, sia stato interessato da antiche geografie fluviali che hanno favorito la nascita di luoghi totemici: testimoni capaci di tramandare valori e tradizioni comuni. È proprio uno di questi luoghi, quello che fu il Giramondo, parco tematico globale sulle rive delle cave di Marocco nel comune di Mogliano Veneto, che abbiamo scelto come palinsesto su cui costruire il nostro progetto. Proprio perché palinsesto teorico, infatti, il Giramondo è il contesto perfetto per un manifesto pratico che ha l’ambizione di stabilire le regole di un processo più che un modello da perseguire. Questa nuova agorà, luogo ibrido di confronto e di attività per l’intero territorio nel quale si inserisce, sostituisce ciò che oggi sono i centri di accoglienza, mescolando spazi produttivi e ludici e rendendo arcipelago quello che fino ad oggi era solo isola. Il Giramondo e il parco in cui è inserito colgono l’urgenza di intersecare differenti interessi, e il nostro progetto si prefigge di catalizzare la coesistenza con un codice, un ornato e una modularità che si adeguano all’evoluzione nel tempo riqualificando un paesaggio celebrativo per la nuova cittadinanza che lo abita. Si propone anche, inevitabilmente, di definire un nuovo spazio architettonico che catalizza nuovi processi insediativi intersecando interessi diversi in un nuovo crocevia, così da offrire una nuova idea di accoglienza e sviluppare uno spazio fisico e ordinamentale dove un intero territorio vive e lavora. La nostra proposta è un intreccio, una nuova liturgia capace forse di territorializzare anche nelle differenze.

Territori mediterranei : laboratori di accoglienza tra riti e nuove cittadinanze

Agostini, Francesco;Baletti, Sara
2023/2024

Abstract

This master’s thesis research follows the path laid out in our undergraduate dissertation, which, starting from Matteo Vegetti’s book L’invenzione del globo, traced the history of globalization through the spatial reading lens of Carl Schmitt. We then projected the work of radical architect Andrea Branzi as a lucid analysis of a complex and fragmented contemporary world. Among the many transformations affecting both the world and the discipline of architecture, we consider the so-called “network society” to be particularly significant. This theory, developed by sociologist Manuel Castells, highlights progressive polarizations and multifaceted fractures that challenge the once-ecumenical idea of a united and connected world. The growing disconnect between the social and cultural spheres and the territories where this milieu now flourishes leads to consequences that, in our view, primarily concern space. It is within these relationships, which shape our new daily reality, that we believe new liturgies and ritual contexts are emerging, contexts that, as Martine Segalen defined them, catalyze the proliferation of new territories for fruitful exchanges and interactions. Thus, our research focuses on a project aimed at intersecting these theoretical aspects: from the problems of globalization to the need for a new coherence between sovereignty, land, and territories, through new rituals and liturgies that define their horizons. The Mediterranean, historically traversed by countless peoples, thus becomes the necessary backdrop for our thesis, where the architectural language regains its role and relevance precisely because it historically innovates in such liminal and border contexts. To address this work, we first considered the premises and language of this trajectory, identifying what is currently happening at the material and conceptual borders of the Mediterranean: the crisis of hospitality, new needs for integration and assimilation. In this way, we sought to outline the programmatic aspects of a new architecture of European sovereignty, where migrants and their temporary spaces become open, stable, and centrifugal territories, and where a new idea of citizenship is experimented with. We redefine the “other” in order to redefine ourselves. Thus, architecture, an inherently composite discipline, reestablishes its fundamental role, acting as a mediator between social and spatial demands, and striving to reconnect the different scales in which the contemporary world is fragmented. This is the trajectory we propose, a process materialized in the chapters of this work: several phases, including temporal ones, that retain their autonomy while also engaging in dialogue with one another to structure the scenario of our proposal. The first section represents the current migratory context of the Mediterranean as a communicative vessel between territories, where the global circumstances and local limits of inadequate hospitality are defined. The second section questions the programmatic and theoretical objectives of the first, materializing in the construction of an architecture that comes to life in the specific territorial context stretching from Venice, along the Terraglio, to Treviso. In this in-between place, a void between the infrastructural nodes of the network, the management of migratory flows and hospitality has now reached critical levels. However, if we rewind the historical tape, we see that this territory, now seemingly disjointed, was once shaped by ancient riverine geographies that fostered the birth of totemic places, witnesses capable of transmitting shared values and traditions. It is precisely one of these places, the former “Giramondo,” a global theme park on the shores of the quarries of Morocco in the municipality of Mogliano Veneto, that we have chosen as the palimpsest upon which to build our project. As a theoretical palimpsest, the Giramondo provides the perfect context for a practical manifesto, one that aims to establish the rules of a process rather than a model to be pursued. This new agora, a hybrid space for dialogue and activity within the surrounding territory, replaces existing reception centers, blending productive and recreational spaces, thus turning what was once an island into an archipelago. The Giramondo and the park in which it is situated respond to the urgency of intersecting different interests, and our project aims to catalyze coexistence with a code, an ornament, and a modularity that adapt over time, requalifying a celebratory landscape for the new citizenship that inhabits it. It also inevitably seeks to define a new architectural space that catalyzes new settlement processes, intersecting diverse interests at a new crossroads, offering a new idea of hospitality and developing a physical and regulatory space where an entire territory lives and works. Our proposal is an intertwining, a new liturgy that may, perhaps, territorialize even in the face of differences.
CAMPANELLA, CHRISTIAN
JURINA, LORENZO
PAGANIN, GIANCARLO
PALMA, DANIELE
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
11-dic-2024
2023/2024
Questa ricerca di tesi magistrale segue le orme di un percorso iniziato con la tesi di laurea triennale, dove, a partire dal volume di Matteo Vegetti “L’invenzione del globo”, abbiamo ripercorso la storia della globalizzazione seguendo la chiave di lettura spaziale di Carl Schmitt. Abbiamo poi proiettato l’opera dell’architetto radicale Andrea Branzi come lucida analisi di una contemporaneità complessa e frammentata. Tra le tante trasformazioni che coinvolgono il mondo e la disciplina dell’architettura, riteniamo degna di nota la cosiddetta società delle reti. Si tratta di una teoria del sociologo Manuel Castells che intravede progressive polarizzazioni e multiformi fratture che investono l’idea ecumenica di mondo unito e connesso. La scarsa aderenza tra la sfera sociale e culturale e i territori dove questo milieu oggi fermenta porta a conseguenze che, secondo noi, interessano innanzitutto lo spazio. Ed è all’interno di questi rapporti che abitano il nostro nuovo quotidiano, che a nostro avviso oggi si stanno strutturando nuove liturgie e nuovi contesti rituali, che alla stregua della definizione che ne diede Martine Segalen catalizzano la proliferazione di territori inediti per proficui scambi e interazioni. La nostra ricerca si è pertanto focalizzata attorno a un progetto che mira a intersecare questi aspetti teorici: dai problemi della globalizzazione alla necessità di una nuova coerenza tra sovranità, terreno e territori, mediante nuovi riti e nuove liturgie che ne delineano gli orizzonti. Il Mediterraneo, attraversato nella storia da innumerevoli genti, diventa così lo sfondo necessario del nostro lavoro di tesi, laddove in primo piano il linguaggio architettonico riacquisisce il proprio ruolo e rilevanza proprio perché storicamente innova in contesti liminari e confinari come questi. Per affrontare questo lavoro abbiamo innanzitutto ritenuto di discutere le premesse e il linguaggio di tale traiettoria, identificando ciò che oggi accade ai confini materiali e concettuali del Mediterraneo: la crisi dell’accoglienza, nuove necessità di integrazione e assimilazione. In questo modo abbiamo cercato di delineare gli aspetti programmatici di una nuova architettura della sovranità europea, dove i migranti e i loro luoghi provvisori diventano territori aperti, stabili e centrifughi e dove si sperimenta una nuova idea di cittadinanza. Ridefiniamo l’altro per ridefinire noi stessi. È così che l’architettura, disciplina necessariamente composita, ristabilisce un suo ruolo fondamentale, quello di marcare l’importanza del progetto come atto di responsabilità anche politica, diventando in questo modo mediatrice tra le istanze sociali e quelle spaziali e cercando così di riavvicinare le diverse scale in cui è frammentato il mondo contemporaneo. È una traiettoria quella che proponiamo, un processo che si materializza nei capitoli di questo nostro lavoro: più fasi, anche temporali, che da un lato mantengono la loro autonomia e dall’altro dialogano tra loro per strutturare lo scenario della nostra proposta. La prima sezione rappresenta l’attuale contesto migratorio del mar Mediterraneo come vaso comunicante tra territori, dove vengono definite le circostanze globali e i limiti locali di un’accoglienza inadeguata. La seconda questiona gli obiettivi programmatici e teorici della prima, materializzandosi nella costruzione di un’architettura che riprende vita nello specifico contesto territoriale che da Venezia costeggia il Terraglio fino a Treviso. In questo luogo di mezzo, vuoto tra i nodi infrastrutturali della rete, la gestione dei flussi migratori e dell’accoglienza oggi raggiunge livelli critici. Se però riavvolgiamo il nastro della Storia, notiamo come questo territorio, ora apparentemente sconnesso, sia stato interessato da antiche geografie fluviali che hanno favorito la nascita di luoghi totemici: testimoni capaci di tramandare valori e tradizioni comuni. È proprio uno di questi luoghi, quello che fu il Giramondo, parco tematico globale sulle rive delle cave di Marocco nel comune di Mogliano Veneto, che abbiamo scelto come palinsesto su cui costruire il nostro progetto. Proprio perché palinsesto teorico, infatti, il Giramondo è il contesto perfetto per un manifesto pratico che ha l’ambizione di stabilire le regole di un processo più che un modello da perseguire. Questa nuova agorà, luogo ibrido di confronto e di attività per l’intero territorio nel quale si inserisce, sostituisce ciò che oggi sono i centri di accoglienza, mescolando spazi produttivi e ludici e rendendo arcipelago quello che fino ad oggi era solo isola. Il Giramondo e il parco in cui è inserito colgono l’urgenza di intersecare differenti interessi, e il nostro progetto si prefigge di catalizzare la coesistenza con un codice, un ornato e una modularità che si adeguano all’evoluzione nel tempo riqualificando un paesaggio celebrativo per la nuova cittadinanza che lo abita. Si propone anche, inevitabilmente, di definire un nuovo spazio architettonico che catalizza nuovi processi insediativi intersecando interessi diversi in un nuovo crocevia, così da offrire una nuova idea di accoglienza e sviluppare uno spazio fisico e ordinamentale dove un intero territorio vive e lavora. La nostra proposta è un intreccio, una nuova liturgia capace forse di territorializzare anche nelle differenze.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/231078