Porto Vecchio di Trieste: nuove frontiere per l'accoglienza. Progetto per la riqualificazione del Porto Franco

A huge abandoned area in the heart of the city of Trieste: this is Porto Vecchio today. No one can be seen, all is silent, but really not all. Near the harbour, migrants and homeless people look for fortune shelter, often finding them right in the old Warehouses. They are the lucky ones who cross European borders along the Balkan route, trying not to be turned away in a long and hard way on foot named “the game”, like a match whose fate is unknown. No one provides them assistance, instead the buildings are often emptied to return to their typical condition: total abandonment. Is this the future that a complex of such value deserves in a city so rich in history? The location of the Golfo di Trieste has been the key to the commercial development of the harbour since roman times. Various types of goods stopped there in large quantities and for long periods without paying customs taxes, thanks to the regime of Porto Franco. During the period of the two World Wars, the port began to be unsuited to modern maritime transport needs: increasingly competitive trade led to the progressive abandonment, and so the decay of the 19th-century buildings. Today, the most important activities of the harbour have been moved to the Porto Nuovo, located in the south of the city. The thesis project aims to give new life to these unused spaces, with new activities for hospitality and services to encourage good integration. The site is linked to the nearby historic city centre by pedestrian paths and commercial basements. Green spaces and trees give urban quality to these areas that were once completely artificial. The structure, almost alienating, and the big dimensions in length and depth characterise the buildings, and make reuse a real challenge: adapting industrial spaces to Living. The intention is to preserve the memory of the site and to give life again to the image of the city: so the revival of Porto Vecchio begins like this and it must not stop.

Una vasta area abbandonata nel cuore della città di Trieste: questo è oggi Porto Vecchio. Non si vede nessuno, tutto tace, anzi non proprio tutto. Nei luoghi limitrofi al porto, migranti e senzatetto cercano rifugi di fortuna, spesso li trovano proprio negli antichi Magazzini. Sono i fortunati che superano i confini europei lungo la rotta dei Balcani, cercando di non essere respinti in un lungo e faticoso viaggio a piedi soprannominato “il game”, come un gioco di cui non si conosce la sorte. Nessuno gli fornisce assistenza, anzi gli edifici vengono spesso sgomberati per ritornare alla loro tipica condizione: il totale abbandono. È questo il destino che si merita un complesso di tale valore in una città così ricca di storia? La posizione del Golfo di Trieste è stata la chiave dello sviluppo commerciale del porto fin dai tempi dei romani. Svariati tipi di merci vi sostavano in grandi quantità e per lunghi periodi senza pagare i dazi doganali, grazie al regime di Porto Franco. Nel periodo delle due Guerre il porto iniziava a mostrarsi inadatto alle moderne esigenze del trasporto marittimo: un commercio sempre più competitivo ha portato al progressivo abbandono, dunque al degrado delle strutture ottocentesche. Oggi le attività portuali più importanti sono state conferite al Porto Nuovo, situato a sud della città. Il progetto di tesi mira a conferire nuova vita a questi spazi inutilizzati, con nuove attività di accoglienza e servizi, tali da favorire una buona integrazione. Il sito si lega al vicino centro storico della città attraverso percorsi pedonali e basamenti commerciali. Spazi verdi e alberature conferiscono qualità urbana a quelle superfici che un tempo erano completamente impermeabili. La maglia strutturale, quasi alienante, e le vaste dimensioni in lunghezza e profondità caratterizzano i fabbricati, e rendono il riuso una vera e propria sfida: adattare spazi industriali all’Abitare. L’intento è quindi quello di conservare la memoria del luogo e ridare vita all’immagine della città: inizia così il risveglio di Porto Vecchio e non ci si deve fermare.