Enzymatic transformations: utopia as a design approach for the revitalization of industrial heritage

The architectural project for revitalizing abandoned industry is founded on research into utopia as a design approach. Insights and conclusions from this study, alongside architectural theory, guided the project's direction. The paper tries to decode the process of adaptation of architecture to the environment, aiming to address the global challenge of achieving sustainable development through methods, concepts, and approaches utilized in utopian projects. While every project nowadays is self-declared to be sustainable, most of them are mainly showing superficial treatments without dealing with the core of the problem. One of the most important lessons learned from utopias is that they start from the society with the aim to change our relationship with the space and environment. Utopia, although it aspires for the future, advocates for protecting history. Therefore, the design project is located in the abandoned meat factory “Sljeme” in the eastern periphery of the city of Zagreb, Croatia. The site has a central location in the quarter of Sesvete, as well as important historical and mental meaning for the inhabitants. “Enzymatic transformations” (Branzi 2006) have the goal to alter this present understanding of the space and open up the imagination beyond the ruin. Furthermore, they present the transformation of the existing built environment and change the understanding of architecture, the role of the user in it and finally, transform the identity of the neighbourhood. New architecture works as an enzyme that has the characteristic to catalyse reaction from the users, hence stimulating and activating them. In contrast to the industry, which is only open to a closed circle of people, the project creates a space permeable to the public that neglects the idea of the border and invites people to leave the role of the sole observer and become active users of the space. Both inhabitants and existing structures are going through the process of “liquefaction” (Branzi 2006) when they are freed from structural nodes and containment. Architecture becomes not only enzymatic but also dispersed through the site, surpassing the limits of buildings and creating a spatial intertwining with nature, various layers of habitats and their non-human users (Leveratto 2024). The form of the grid complements existing architecture and gives users the opportunity to adopt it according to their needs and desires. Nature is given back its natural role – the tendency to perpetually spread, grow and eventually reconnect with the surrounding green network. Such an approach allows spatial intertwining on various levels and layers, functional mixing or merging and social sharing. The design is never fully finished but is left in motion and series of “to-be-continued” situations (Lacaton & Vassal 2015). It acknowledges multiple levels of processes, diverse habitats and lifestyles, and enhances and intertwines them into an intricate web of use.

Il progetto architettonico per la rivitalizzazione dell'industria abbandonata si basa sulla ricerca dell'utopia come approccio progettuale. Gli spunti e le conclusioni di questo studio, insieme alla teoria architettonica, hanno guidato la direzione del progetto. L’articolo cerca di decifrare il processo di adattamento dell’architettura all’ambiente, con l’obiettivo di affrontare la sfida globale dello sviluppo sostenibile attraverso metodi, concetti e approcci utilizzati nei progetti utopici. Sebbene oggi ogni progetto si dichiari sostenibile, la maggior parte di essi si limita a trattamenti superficiali senza affrontare il vero nucleo del problema. Una delle lezioni più importanti apprese dalle utopie è che esse partono dalla società con l'intento di trasformare il nostro rapporto con lo spazio e l'ambiente. L’utopia, pur aspirando al futuro, promuove la tutela della storia. Per questo motivo, il progetto di design si colloca all’interno della fabbrica di carne abbandonata “Sljeme”, situata nella periferia orientale della città di Zagabria, in Croazia. Il sito occupa una posizione centrale nel quartiere di Sesvete e riveste un importante significato storico e mentale per gli abitanti. “Enzymatic transformations” (Branzi 2006) mirano a modificare la percezione attuale dello spazio e ad aprire l'immaginazione oltre la rovina. Inoltre, rappresentano la trasformazione dell’ambiente costruito esistente e un cambiamento nella comprensione dell’architettura, del ruolo dell’utente al suo interno e, infine, dell’identità del quartiere. La nuova architettura agisce come un enzima, con la capacità di catalizzare reazioni negli utenti, stimolandoli e attivandoli. In contrasto con l’industria, accessibile solo a una cerchia ristretta di persone, il progetto crea uno spazio permeabile al pubblico, che abbandona l’idea di confine e invita le persone a lasciare il ruolo di semplici osservatori per diventare utenti attivi dello spazio. Sia gli abitanti che le strutture esistenti attraversano un processo di “liquefazione” (Branzi 2006), liberandosi da nodi strutturali e vincoli contenitivi. L’architettura non è solo enzimatica, ma anche diffusa attraverso il sito, superando i limiti degli edifici e creando un intreccio spaziale con la natura, i vari strati di habitat e i loro utenti non umani (Leveratto 2024). La forma della griglia si integra con l’architettura esistente e offre agli utenti la possibilità di adattarla alle proprie esigenze e desideri. Alla natura viene restituito il suo ruolo naturale: la tendenza a diffondersi, crescere e infine riconnettersi con la rete verde circostante. Questo approccio consente un intreccio spaziale su diversi livelli e strati, favorisce la mescolanza o fusione funzionale e promuove la condivisione sociale. Il progetto non è mai completamente concluso, ma rimane in movimento, in una serie di situazioni “to-be-continued” (Lacaton & Vassal 2015). Riconosce molteplici livelli di processi, habitat e stili di vita diversificati, intrecciandoli e potenziandoli in una complessa rete d’uso.