Shared grounds: a cultural infrastructure for coexistence in post-industrial Izmir

This thesis explores the transformation of post-industrial urban spaces through the lens of coexistence, focusing on the Port Hinterland area in Izmir, Turkey. Once a vibrant hub of industrial activity, the area now stands as a fragmented landscape of voids, abandoned factories and informal settlements. Through an urban analysis rooted in morphological patterns, infrastructural shifts, and socio-spatial boundaries, the research identifies key forces that have shaped this transformation, from industrial decline and failed large-scale planning efforts to the persistence of marginalized communities. Two user groups emerge as central to this study: the Roma residents of Ege Neighborhood and the artists of the Daragac Collective. Though distinct in social status and cultural background, both groups engage in spatial practices that reshape their environments. Roma communities build and expand their homes informally, while artists reuse industrial buildings for creative production. Both activate public space through performance such as it weddings and street festivals or exhibitions and installations, asserting presence in a city where they are often ignored or excluded. By mapping their practices and examining the urban conditions between their neighborhoods, this thesis proposes an alternative model for shared space. Rather than imposing a singular identity or top-down regeneration, the design approach embraces adaptability, openness, and cultural layering. The result is a flexible infrastructure that supports self-expression, everyday life, and unexpected encounters. Through archival research, urban analysis, and spatial design, the thesis seeks to rethink what cultural infrastructure means in a post-industrial context. It advocates for a planning logic that values inclusion, recognizes informal practices, and supports coexistence not just as a social goal, but as a spatial strategy.

Questa tesi esplora la trasformazione degli spazi urbani post-industriali attraverso la lente della convivenza, concentrandosi sull’area retroportuale di Smirne, in Turchia. Un tempo vivace centro di attività industriale, quest’area si presenta oggi come un paesaggio frammentato, fatto di vuoti urbani, fabbriche abbandonate e insediamenti informali. Attraverso un’analisi urbana basata su schemi morfologici, cambiamenti infrastrutturali e confini socio-spaziali, la ricerca individua le forze principali che hanno plasmato questa trasformazione: dal declino industriale e i fallimenti della pianificazione su larga scala, alla persistenza delle comunità marginalizzate. Due gruppi di utenti emergono come centrali in questo studio: i residenti rom del quartiere di Ege e gli artisti del collettivo Daragac. Pur distinti per status sociale e background culturale, entrambi i gruppi attuano pratiche spaziali che trasformano i loro ambienti. Le comunità rom costruiscono ed espandono le loro case informalmente, mentre gli artisti riutilizzano gli edifici industriali per la produzione creativa. Entrambi attivano lo spazio pubblico tramite performance come matrimoni e feste di strada o mostre e installazioni, affermando la loro presenza in una città dove spesso sono ignorati o esclusi. Mappando le loro pratiche ed esaminando le condizioni urbane tra i loro quartieri, questa tesi propone un modello alternativo di spazio condiviso. Piuttosto che imporre un’identità univoca o una rigenerazione calata dall’alto, l’approccio progettuale abbraccia l’adattabilità, l’apertura e la stratificazione culturale. Il risultato è un’infrastruttura flessibile che sostiene l’espressione di sé, la vita quotidiana e incontri inaspettati. Attraverso ricerche d’archivio, analisi urbana e progettazione spaziale, la tesi mira a ripensare il significato di infrastruttura culturale in un contesto post-industriale. Sostiene una logica di pianificazione che valorizzi l’inclusione, riconosca le pratiche informali e promuova la convivenza non solo come obiettivo sociale, ma come strategia spaziale.