The Lebanese landscape is a palimpsest of layers—traced, scarred, overwritten—where memory and material still bind place to community. After the Lebanese Civil War, the country’s infrastructure never recovered. The railway, once a backbone, was abandoned—left to rust as roads and private cars took over. Today, the territory absorbs endless improvisation: electricity flickers, waste accumulates, and movement becomes a daily test of patience and privilege. The state, stripped to the bone, is more absence than actor. Yet what remains is not simply ruin. The railway corridor persists—a physical and symbolic thread, public and continuous, cutting across the country’s divides. SPINE proposes to work with this residue: not to restore the past, but to reclaim the possibility of collective infrastructure for the present and near future. This is not a return, but a form of cultivation—reading the line as humus, a fertile base from which to grow a more resilient metabolism. This project is a strategy of re-inhabitation, working with the layered reality of place. Stations are reimagined as nodes of exchange—sites where energy, waste, and knowledge circulate, where flows converge and diverge. Here, solar fields and biogas plants cluster in response to landscape and need; here, materials are gathered, sorted, sent back into circulation rather than left to rot or scatter. The railway’s trace becomes a framework for new patterns of movement and resourcefulness, reconnecting production and settlement, coast and hinterland, people and land. Lebanon’s future cannot be grafted from imported models or megaprojects that treat territory as blank space. It must begin with self-recognition—a careful reading of its own layered ground, an acceptance of scars as part of the living fabric. SPINE insists on working with the grain of what endures: the overlooked, the fragmentary, the forgotten lines that still hold communities together. In this view, infrastructure is not just steel and concrete, but a living flow—a capillary lifeblood for a territory at risk of atrophy. By turning the neglected railway into a living framework for integrated systems, SPINE offers a way to turn abandonment into connection—helping the country’s scattered energies flow back into something whole.

Il paesaggio libanese è un palinsesto di strati—tracciati, cicatrizzati, riscritti—dove memoria e materia continuano a legare il luogo alla comunità. Dopo la guerra civile, le infrastrutture del Paese non si sono mai riprese. La ferrovia, un tempo asse portante, è stata abbandonata—lasciata arrugginire mentre le strade e le auto private prendevano il sopravvento. Oggi, il territorio assorbe un’improvvisazione continua: l’elettricità è instabile, i rifiuti si accumulano, e muoversi è diventato una prova quotidiana di pazienza e privilegio. Lo Stato, ridotto all’osso, è più assente che presente. Eppure, ciò che resta non è solo rovina. Il tracciato ferroviario persiste—un filo fisico e simbolico, pubblico e continuo, che attraversa le fratture del Paese. SPINE sceglie di partire da ciò che resta: non per ricostruire il passato, ma per riattivare il potenziale di un’infrastruttura collettiva, capace di rispondere alle esigenze del presente e del futuro prossimo. Non è un ritorno alle origini, ma un gesto di cura e rigenerazione— riprendere il tracciato come base fertile da cui far germogliare un metabolismo territoriale più resiliente. Il progetto è una strategia di ri-abitazione, che si misura con la realtà stratificata dei luoghi. Le stazioni vengono ripensate come nodi di scambio—luoghi in cui circolano energia, rifiuti e conoscenza, dove i flussi convergono e si diramano. Qui, parchi solari e impianti a biogas si raggruppano in risposta al paesaggio e ai bisogni; qui, i materiali vengono raccolti, selezionati e rimessi in circolo, invece di marcire o disperdersi. Il tracciato ferroviario diventa uno scheletro per nuovi modelli di movimento e di ingegnosità, riconnettendo produzione e insediamento, costa e entroterra, persone e territorio. Il futuro del Libano non può essere innestato su modelli importati o megaprogetti che trattano il territorio come una tabula rasa. Deve cominciare da una consapevolezza delle proprie stratificazioni—una lettura attenta del suolo, della sua storia, un’accettazione delle cicatrici come parte del tessuto vivente. SPINE insiste nel lavorare con il senso di ciò che resiste: l’invisibile, il frammentario, le linee dimenticate che ancora tengono unite le comunità. In questa visione, l’infrastruttura non è solo acciaio e cemento, ma un flusso vivo—una linfa capillare per un territorio a rischio di atrofia. Facendo della ferrovia abbandonata un asse operativo per l’integrazione dei sistemi, SPINE offre un modo per convertire l’abbandono in connessione—aiutando le energie disperse del Paese a rifluire in qualcosa di integro.

Spine

Tarabay, Celine
2024/2025

Abstract

The Lebanese landscape is a palimpsest of layers—traced, scarred, overwritten—where memory and material still bind place to community. After the Lebanese Civil War, the country’s infrastructure never recovered. The railway, once a backbone, was abandoned—left to rust as roads and private cars took over. Today, the territory absorbs endless improvisation: electricity flickers, waste accumulates, and movement becomes a daily test of patience and privilege. The state, stripped to the bone, is more absence than actor. Yet what remains is not simply ruin. The railway corridor persists—a physical and symbolic thread, public and continuous, cutting across the country’s divides. SPINE proposes to work with this residue: not to restore the past, but to reclaim the possibility of collective infrastructure for the present and near future. This is not a return, but a form of cultivation—reading the line as humus, a fertile base from which to grow a more resilient metabolism. This project is a strategy of re-inhabitation, working with the layered reality of place. Stations are reimagined as nodes of exchange—sites where energy, waste, and knowledge circulate, where flows converge and diverge. Here, solar fields and biogas plants cluster in response to landscape and need; here, materials are gathered, sorted, sent back into circulation rather than left to rot or scatter. The railway’s trace becomes a framework for new patterns of movement and resourcefulness, reconnecting production and settlement, coast and hinterland, people and land. Lebanon’s future cannot be grafted from imported models or megaprojects that treat territory as blank space. It must begin with self-recognition—a careful reading of its own layered ground, an acceptance of scars as part of the living fabric. SPINE insists on working with the grain of what endures: the overlooked, the fragmentary, the forgotten lines that still hold communities together. In this view, infrastructure is not just steel and concrete, but a living flow—a capillary lifeblood for a territory at risk of atrophy. By turning the neglected railway into a living framework for integrated systems, SPINE offers a way to turn abandonment into connection—helping the country’s scattered energies flow back into something whole.
ARC I - Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni
22-lug-2025
2024/2025
Il paesaggio libanese è un palinsesto di strati—tracciati, cicatrizzati, riscritti—dove memoria e materia continuano a legare il luogo alla comunità. Dopo la guerra civile, le infrastrutture del Paese non si sono mai riprese. La ferrovia, un tempo asse portante, è stata abbandonata—lasciata arrugginire mentre le strade e le auto private prendevano il sopravvento. Oggi, il territorio assorbe un’improvvisazione continua: l’elettricità è instabile, i rifiuti si accumulano, e muoversi è diventato una prova quotidiana di pazienza e privilegio. Lo Stato, ridotto all’osso, è più assente che presente. Eppure, ciò che resta non è solo rovina. Il tracciato ferroviario persiste—un filo fisico e simbolico, pubblico e continuo, che attraversa le fratture del Paese. SPINE sceglie di partire da ciò che resta: non per ricostruire il passato, ma per riattivare il potenziale di un’infrastruttura collettiva, capace di rispondere alle esigenze del presente e del futuro prossimo. Non è un ritorno alle origini, ma un gesto di cura e rigenerazione— riprendere il tracciato come base fertile da cui far germogliare un metabolismo territoriale più resiliente. Il progetto è una strategia di ri-abitazione, che si misura con la realtà stratificata dei luoghi. Le stazioni vengono ripensate come nodi di scambio—luoghi in cui circolano energia, rifiuti e conoscenza, dove i flussi convergono e si diramano. Qui, parchi solari e impianti a biogas si raggruppano in risposta al paesaggio e ai bisogni; qui, i materiali vengono raccolti, selezionati e rimessi in circolo, invece di marcire o disperdersi. Il tracciato ferroviario diventa uno scheletro per nuovi modelli di movimento e di ingegnosità, riconnettendo produzione e insediamento, costa e entroterra, persone e territorio. Il futuro del Libano non può essere innestato su modelli importati o megaprogetti che trattano il territorio come una tabula rasa. Deve cominciare da una consapevolezza delle proprie stratificazioni—una lettura attenta del suolo, della sua storia, un’accettazione delle cicatrici come parte del tessuto vivente. SPINE insiste nel lavorare con il senso di ciò che resiste: l’invisibile, il frammentario, le linee dimenticate che ancora tengono unite le comunità. In questa visione, l’infrastruttura non è solo acciaio e cemento, ma un flusso vivo—una linfa capillare per un territorio a rischio di atrofia. Facendo della ferrovia abbandonata un asse operativo per l’integrazione dei sistemi, SPINE offre un modo per convertire l’abbandono in connessione—aiutando le energie disperse del Paese a rifluire in qualcosa di integro.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/240994