Immaginari disobbedienti : progetti di design comunicativo per decolonizzare gli sguardi

The thesis presented addresses the theme of identity and its representations in design and visual communication, starting from a fundamental question: how do communicative processes contribute to building, consolidating, or putting into crisis identity forms in the contemporary world? The work therefore arises from the need to investigate an automatism, that of the communicative act, bringing out how visual culture is not neutral, but in every respect an active actor culturally, politically, and socially, able, as Tony Fry argues, to serve or to subvert the status quo. (Fry, 2007) As designers we are asked to “interfere,” to be in the middle of this intricate process, often not recognizing how much power there is behind this simple production of artifacts, causing misunderstandings and conflicts. To dig, deconstruct, and understand is what we are asked to do as designers in order to interpret the sociocultural phenomena and the contexts in which communication takes place. And it is precisely from this premise that the main objective develops: on the one hand, to analyze critically the mechanisms through which communication design has historically contributed to producing identity imaginaries, often reinforcing stereotypes and logics of power; on the other hand, to explore the possibilities of a situated and decolonial design, capable of subverting and putting these narratives into crisis and of opening to plural, hybrid, and relational forms of representation, starting from the question: how do today’s visual designers address this theme? The methodology adopted is therefore based on an approach grounded in digging and deconstruction: to dig means to investigate the philosophical, historical, and anthropological roots of the concept of identity; to deconstruct implies, instead, dismantling its cultural and communicative devices in the light of globalization, transnational flows, and the crisis of belongings. Alongside this there is a critical-design perspective, which combines theoretical analysis with the fine-tuning of operational tools. Central in this phase is the process that leads to re-learning, made possible thanks to reference to other epistemologies, which allow us to rethink design not as a neutral discipline, but as a political, ontological, and relational practice. The research finally translates into the presentation of a project: Disobedient Imaginaries. A collection to deconstruct the gaze, which takes the form of a digital mapping of theoretical tools and projects related to communication design, based on the principle of subversion of codes and repair of relationships. The results of the research are thus articulated in three main directions. First, the awareness emerges of identity as an always partial construction, the result of choices, exclusions, and boundaries: a myth that, if not questioned, risks legitimizing processes of exclusion and violence, also in the visual field. Second, the analysis of globalization and contemporary visual culture shows how the media and design have a crucial role in the production of global imaginaries, oscillating between homogenization and resistance. Third, despite the evident complexity of the contemporary world, the work highlights how alternative design experiences, which demonstrate the possibility of a design capable of taking root in contexts, activating processes of re-signification and generating plural forms of knowledge, do exist and allow new ways of thinking and doing design.

L’elaborato di tesi presentato affronta il tema dell’identità e delle sue rappresentazioni nel design e nella comunicazione visiva, a partire da una domanda fondamentale: in che modo i processi comunicativi contribuiscono a costruire, consolidare o mettere in crisi le forme identitarie nel mondo contemporaneo? Il lavoro nasce quindi dall’esigenza di indagare un automatismo, quello dell’atto comunicativo, facendo emergere come la cultura visiva non sia neutra, ma a tutti gli effetti un attore attivo culturalmente, politicamente e socialmente in grado di, come sostiene Tony Fry, servire o sovvertire lo status quo. (Fry,2007) Come designer ci viene chiesto di “intrometterci”, di essere nel mezzo di questo intricato processo, spesso non riconoscendo quanto potere vi sia dietro questa semplice produzione di artefatti, causando incomprensioni e conflitti. Scavare, decostruire, comprendere è quello che ci viene richiesto di fare come designer al fine di interpretare i fenomeni socioculturali e i contesti in cui avviene la comunicazione. Ed è proprio a partire da questa premessa che si sviluppa l’obiettivo principale: da un lato, analizzare criticamente i meccanismi attraverso cui il design della comunicazione ha storicamente contribuito a produrre immaginari identitari, spesso rafforzando stereotipi e logiche di potere; dall’altro, esplorare le possibilità di un design situato e decoloniale, capace di sovvertire e mettere in crisi queste narrazioni e di aprire a forme di rappresentazione plurali, ibride e relazionali, partendo dalla domanda: come affrontano questa tematica i visual designer di oggi? La metodologia adottata si fonda quindi su un approccio basato su scavo e decostruzione: scavare significa indagare le radici filosofiche, storiche e antropologiche del concetto di identità; decostruire implica, invece, smontarne i dispositivi culturali e comunicativi alla luce della globalizzazione, dei flussi transnazionali e della crisi delle appartenenze. A questo si affianca una prospettiva critico-progettuale, che combina l’analisi teorica con la messa a punto di strumenti operativi. Centrale in questa fase è il processo che porta al re-imparare, possibile grazie al riferimento ad epistemologie altre, che consentono di ripensare il design non come disciplina neutrale, ma come pratica politica, ontologica e relazionale. La ricerca si traduce infine nella restituzione di un progetto: Immaginari disobbedienti. Una raccolta per decostruire lo sguardo, la quale assume la forma di mappatura digitale di strumenti teorici e progetti relativi al design della comunicazione, basato sul principio di sovversione dei codici e di riparazione delle relazioni. I risultati della ricerca si articolano quindi in tre direzioni principali. Primo, emerge la consapevolezza dell’identità come costruzione sempre parziale, frutto di scelte, esclusioni e confini: un mito che, se non interrogato, rischia di legittimare processi di esclusione e violenza, anche in ambito visivo. Secondo, l’analisi della globalizzazione e della cultura visiva contemporanea mostra come i media e il design abbiano un ruolo cruciale nella produzione di immaginari globali, oscillanti tra omologazione e resistenza. Terzo, nonostante l’evidente complessità del mondo contemporaneo, il lavoro mette in luce come esperienze progettuali alternative, che dimostrano la possibilità di un design capace di radicarsi nei contesti, attivare processi di ri-significazione e generare forme di conoscenza plurali, esistano e permettano nuovi modi di pensare e fare design.