Le cronache e la storia dell’architettura quasi non citano il quartiere di edilizia residenziale pubblica Rozzol Melara di Luciano Celli. Eppure, si tratta di un “condensatore sociale” se non altro di grande rilievo territoriale che si staglia isolato sulle colline appena fuori l’impianto urbano della città di Trieste. La concezione architettonica conserva tutt’oggi la forza propria di un esperimento, riferendosi al falansterio di Charles Fourier sul piano concettuale e al linguaggio di Le Corbusier su quello stilistico formale. La risultante è un ibrido fra l’ “attrazione passionale” di Fourier in una comunità socialista e l’ “individualità e comunità si riconoscono come dualismo fondamentale” di Le Corbusier in una comunità religiosa. L’impianto stesso, del resto, sembra riflettere quello della Tourette, a sua volta ibridato dai ritmi costruttivi dell’Unité d’Habitation e da altri termini del linguaggio lecorbuseriano. Tra questi il tetto-terrazza, che tuttavia è assai lontano dalla “serie di oggetti scultorei” (W.J. Curtis) di Marsiglia e che viene risolto in corridoio-atrio ai magazzini-cantine, per altro già serviti da scale ed ascensori. Oggi RM continua a stagliarsi nel paesaggio ma ha in parte perduto il suo “splendido isolamento”, raggiunto dai processi di sprawl urbano, comunicando a un tempo l’idea di land-mark territoriale e deprecabile impatto ambientale. Fra gli abitanti si sono innescate dinamiche tipiche di altre comunità estranee rispetto alla città: fierezza dell’isolamento con sviluppo di un forte senso di appartenenza ed insieme insofferenza verso quella stessa condizione di estraneità. Quanto alla condizione sociale, i servizi in parte funzionano, in parte sono degradati, denunciando carenze soprattutto negli spazi della corte e nei vani talvolta chiusi all’interno delle stecche edilizie. Si è qui voluto assumere come tale lo stato di fatto e sperimentare un’ipotesi di micro interventi integrativi dei servizi esistenti, tesi alla valorizzazione di effetti paesistici e ambientali scarsamente considerati nel progetto originario. In questa logica, il tetto terrazza è apparso da subito come il luogo privilegiato dell’intervento per la possibilità di promuovere una sorta di “lungomare alto”. Sfruttando lo sviluppo lineare di 400 metri delle coperture basse, si ipotizza l’innesto di tre tipi di strutture ripetute e distinte, con l’intento di creare una promenade disposizione degli abitanti e aperta alla città, che unisca all’articolazione dell’offerta funzionale il pregio dell’esclusività ambientale. Alle esistenti soffitte si alternano: un sistema di unità polifunzionali in aggetto verso il cielo, il mare e le colline, spazi illuminati naturalmente, dotati di ambienti flessibili e specializzati –possibilità di buio totale o isolamento acustico-; giardini pensili sul paesaggio; teatri panoramici che propongono un’esperienza ambientale misteriosa giocando con gli elementi naturali luce, ombra, vento. Si ricerca in questo l’auspicata commistione fra dimensione privata e collettiva, residenziale e urbana.

High rise. Dal tetto di un falansterio moderno una terrazza per la città contemporanea. Il quartiere Rozzol Melara a Trieste : Luciano Celli ed altri 1969/1982

GALLI, DANIELE
2010/2011

Abstract

Le cronache e la storia dell’architettura quasi non citano il quartiere di edilizia residenziale pubblica Rozzol Melara di Luciano Celli. Eppure, si tratta di un “condensatore sociale” se non altro di grande rilievo territoriale che si staglia isolato sulle colline appena fuori l’impianto urbano della città di Trieste. La concezione architettonica conserva tutt’oggi la forza propria di un esperimento, riferendosi al falansterio di Charles Fourier sul piano concettuale e al linguaggio di Le Corbusier su quello stilistico formale. La risultante è un ibrido fra l’ “attrazione passionale” di Fourier in una comunità socialista e l’ “individualità e comunità si riconoscono come dualismo fondamentale” di Le Corbusier in una comunità religiosa. L’impianto stesso, del resto, sembra riflettere quello della Tourette, a sua volta ibridato dai ritmi costruttivi dell’Unité d’Habitation e da altri termini del linguaggio lecorbuseriano. Tra questi il tetto-terrazza, che tuttavia è assai lontano dalla “serie di oggetti scultorei” (W.J. Curtis) di Marsiglia e che viene risolto in corridoio-atrio ai magazzini-cantine, per altro già serviti da scale ed ascensori. Oggi RM continua a stagliarsi nel paesaggio ma ha in parte perduto il suo “splendido isolamento”, raggiunto dai processi di sprawl urbano, comunicando a un tempo l’idea di land-mark territoriale e deprecabile impatto ambientale. Fra gli abitanti si sono innescate dinamiche tipiche di altre comunità estranee rispetto alla città: fierezza dell’isolamento con sviluppo di un forte senso di appartenenza ed insieme insofferenza verso quella stessa condizione di estraneità. Quanto alla condizione sociale, i servizi in parte funzionano, in parte sono degradati, denunciando carenze soprattutto negli spazi della corte e nei vani talvolta chiusi all’interno delle stecche edilizie. Si è qui voluto assumere come tale lo stato di fatto e sperimentare un’ipotesi di micro interventi integrativi dei servizi esistenti, tesi alla valorizzazione di effetti paesistici e ambientali scarsamente considerati nel progetto originario. In questa logica, il tetto terrazza è apparso da subito come il luogo privilegiato dell’intervento per la possibilità di promuovere una sorta di “lungomare alto”. Sfruttando lo sviluppo lineare di 400 metri delle coperture basse, si ipotizza l’innesto di tre tipi di strutture ripetute e distinte, con l’intento di creare una promenade disposizione degli abitanti e aperta alla città, che unisca all’articolazione dell’offerta funzionale il pregio dell’esclusività ambientale. Alle esistenti soffitte si alternano: un sistema di unità polifunzionali in aggetto verso il cielo, il mare e le colline, spazi illuminati naturalmente, dotati di ambienti flessibili e specializzati –possibilità di buio totale o isolamento acustico-; giardini pensili sul paesaggio; teatri panoramici che propongono un’esperienza ambientale misteriosa giocando con gli elementi naturali luce, ombra, vento. Si ricerca in questo l’auspicata commistione fra dimensione privata e collettiva, residenziale e urbana.
ARC III - Scuola del Design
3-ott-2011
2010/2011
Tesi di laurea Magistrale
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/10589/29341